Brunetta, Orlando, Giorgetti, Speranza, Bonetti, Franco, Patuanelli. Insieme a Mario Draghi costituiscono la “cabina di regia” che ieri ha deciso lo sblocco dei licenziamenti, dando così via libera alle aziende che da giovedì potranno cominciare a “liberarsi” dei lavoratori dipendenti.
Una decisione fortemente voluta da Confindustria e fiaccamente osteggiata dai sindacati “complici”, che oggi incontreranno “il boss” per farsi comunicare i dettagli, ma che neanche fanno finta di minacciare una qualche mobilitazione.
L’unico comparto per cui il blocco resta attivo è, genericamente, quello del “tessile e settori collegati” (con il calzaturiero e la moda), nonché le “imprese in difficoltà” (definizione altamente vaga e soggetta a forzature di ogni tipo).
Qui resterà perciò in vigore la cassa integrazione straordinaria totalmente a carico dello Stato e senza alcun onere per le aziende.
La “cabina di regia”, naturalmente, ha solo stilato il testo che dovrà domani essere portato in consiglio dei ministri, sotto forma di decreto legge “ponte”
Il nodo è comunque sciolto e si tratta del più duro attacco alla condizione del lavoro in Italia dopo l’abolizione dell’art.18 da parte di Matteo Renzi.
Difficile prevedere esattamente la dimensione dei licenziamenti che saranno effettivamente messi in atto. Confindustria parla di 70.000 persone, i sindacati di almeno 600.000. E va da sé che anche i 70.000 sarebbero un’enormità, dopo il milione di posti già persi dall’inizio della pandemia (soprattutto precari e donne, alla faccia delle dichiarazioni sull’importanza della “parità”).
Il quadro delle posizioni aziendali è troppo ampio. C’è chi si vuol liberare di lavoratori anziani, con contratti “semi-blindati” e stipendi dignitosi, ma ha difficoltà a trovare sostituti all’altezza (l’esperienza, in numerose mansioni, è più produttiva della pura energia fisica). E c’è chi sogna una manodopera totalmente “liquida”, senza diritti, orario, ferie, “a chiamata”.
Ovvio che molto dipende dall’organizzazione della produzione, dalle competenze necessarie. E meno ne servono, più facile sarà trovare “forza lavoro” a basso prezzo.
Ma proprio questo sblocco, fatto per accontentare il basso livello tecnologico della maggior parte delle aziende italiane, conferma la volontà di mantenere un modello economico fondato su bassi salari e produzione orientata all’esportazione. Ovvero quel modello che ha portato tutta Europa nella fogna della crescita zero e della deflazione, non solo salariale.
Sulle contorsioni della “classe politica”, tutta compatta a favore delle imprese (e l’”oppositrice” Meloni è forse la più feroce sostenitrice di questo sblocco), lasciamo volentieri la parola a Giorgio Cremaschi.
Una decisione fortemente voluta da Confindustria e fiaccamente osteggiata dai sindacati “complici”, che oggi incontreranno “il boss” per farsi comunicare i dettagli, ma che neanche fanno finta di minacciare una qualche mobilitazione.
L’unico comparto per cui il blocco resta attivo è, genericamente, quello del “tessile e settori collegati” (con il calzaturiero e la moda), nonché le “imprese in difficoltà” (definizione altamente vaga e soggetta a forzature di ogni tipo).
Qui resterà perciò in vigore la cassa integrazione straordinaria totalmente a carico dello Stato e senza alcun onere per le aziende.
La “cabina di regia”, naturalmente, ha solo stilato il testo che dovrà domani essere portato in consiglio dei ministri, sotto forma di decreto legge “ponte”
Il nodo è comunque sciolto e si tratta del più duro attacco alla condizione del lavoro in Italia dopo l’abolizione dell’art.18 da parte di Matteo Renzi.
Difficile prevedere esattamente la dimensione dei licenziamenti che saranno effettivamente messi in atto. Confindustria parla di 70.000 persone, i sindacati di almeno 600.000. E va da sé che anche i 70.000 sarebbero un’enormità, dopo il milione di posti già persi dall’inizio della pandemia (soprattutto precari e donne, alla faccia delle dichiarazioni sull’importanza della “parità”).
Il quadro delle posizioni aziendali è troppo ampio. C’è chi si vuol liberare di lavoratori anziani, con contratti “semi-blindati” e stipendi dignitosi, ma ha difficoltà a trovare sostituti all’altezza (l’esperienza, in numerose mansioni, è più produttiva della pura energia fisica). E c’è chi sogna una manodopera totalmente “liquida”, senza diritti, orario, ferie, “a chiamata”.
Ovvio che molto dipende dall’organizzazione della produzione, dalle competenze necessarie. E meno ne servono, più facile sarà trovare “forza lavoro” a basso prezzo.
Ma proprio questo sblocco, fatto per accontentare il basso livello tecnologico della maggior parte delle aziende italiane, conferma la volontà di mantenere un modello economico fondato su bassi salari e produzione orientata all’esportazione. Ovvero quel modello che ha portato tutta Europa nella fogna della crescita zero e della deflazione, non solo salariale.
Sulle contorsioni della “classe politica”, tutta compatta a favore delle imprese (e l’”oppositrice” Meloni è forse la più feroce sostenitrice di questo sblocco), lasciamo volentieri la parola a Giorgio Cremaschi.
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I licenziatori e i loro complici
I licenziatori e i loro complici
Mentre Grillo e Conte imperversano sui mass media con diarchie, garanti, visioni, comandi politici, il governo Draghi, che entrambi sostengono e si vantano di sostenere, ha dato il via libera ai licenziamenti di massa.
Queste giornate sono un riassunto del degrado della classe politica, della sua subalternità assoluta al mondo degli affari e del profitto, della cialtroneria dei suoi conflitti, che nascondono la sostanziale unanimità nelle scelte vere.
Torniamo al mercato ha festeggiato Brunetta, mentre decine di migliaia di operai si preparano a finire sulla strada. E da Meloni a Speranza, da Salvini a Letta, da Berlusconi a Renzi, tutti convengono che le povere imprese non potevano aspettare ancora a licenziare, soprattutto quelle che vanno bene e che nella pandemia hanno guadagnato tanto.
Del resto tutti costoro hanno eliminato l’articolo 18. Perché ora dovrebbero impedire agli imprenditori di licenziare i lavoratori più costosi e sostituirli con precari sottopagati?
Non bisogna forse dare una lezione ai fannulloni del reddito di cittadinanza? Sarebbe stata una così insopportabile violazione dei diritti civili dei padroni, pretendere da loro un po’ di sensibilità sociale e non licenziare? Magari aspettando quella estensione degli ammortizzatori sociali che sarebbe il primo dovere di un sistema un poco meno ingiusto?
Ma oggi la società italiana è una brutale società di classe, dove i ricchi comandano e i politici li adulano e festeggiano.
I cinquestelle sono arrivati a oltre il trenta per cento dei voti perché hanno raccolto la protesta contro la classe politica, ed ora ne fanno parte nel modo più opportunista e ridicolo.
Draghi, la Confindustria, le multinazionali, le banche, i poteri economici italiani ed europei, tutti questi sono il governo reale del paese, quelli che vanno in televisione a fare scena come leader politici sono solo burattini. Che il sistema inventa, usa e getta.
Ieri era benedetto dal successo Renzi, poi è toccato a Di Maio, poi a Salvini, ora è il momento di Meloni. Tranquilli, la postfascista sarà consumata come i suoi predecessori, come Marine Le Pen già insegna.
Ciò che non cambia è il governo dei ricchi per i ricchi, il resto è scena per convincere i poveri che tutto si fa per i loro interessi.
I licenziamenti mentre non siamo ancora fuori dalla pandemia sono una infamia del sistema, la seconda dopo i tanti morti per Covid dovuti alla scelta di tutta la classe politica di convivere con il virus, anziché di provare a fermarlo.
Ora dobbiamo solo lottare con tutta l’indignazione la determinazione che abbiamo, contro i licenziamenti, i licenziatori e tutti i loro servi e complici.
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