Come ogni giugno che si rispetti, anche quest’anno sono arrivate le pagelle. Quest’anno però è differente e le pagelle non riguardano solamente decine di migliaia di studentesse e studenti, ma anche Stati teoricamente sovrani che, per avere accesso ai fondi del Next Generation EU (altrimenti noto come Recovery Plan) hanno presentato nei mesi scorsi alle istituzioni europee dettagliati compiti a casa con cui dimostrare la propria responsabilità e rispettabilità.
Nel suggestivo scenario di Cinecittà, la presidentessa della Commissione Europea Von der Leyen ha quindi consegnato al presidente del Consiglio Draghi la valutazione europea del PNRR italiano. La notizia è stata accolta con toni trionfalistici e si sono sprecate le espressioni roboanti – l’orgoglio nazionale che si ridesta! Una giornata storica!! Un’occasione irripetibile che cambierà per sempre le sorti del nostro Paese!!! – in quanto il piano di riforme presentato dal Governo Draghi ha ricevuto un’approvazione piena, che di fatto sblocca anche i primi fondi, che dovrebbero arrivare nei prossimi mesi.
Purtroppo non stupisce che, coperta dalla propaganda e dalla coltre di informazioni cattive e/o parziali, la sostanza dei fatti sia passata sotto traccia. Ancora una volta, però, è sufficiente rivolgere l’attenzione direttamente e senza filtri alle dichiarazioni dei protagonisti e ai documenti ufficiali prodotti dalla Commissione Europea per comprendere appieno la portata di quanto sta succedendo ed il disegno politico che sottende la strategia europea di contenimento delle conseguenze economiche della pandemia.
È la stessa Von der Leyen a ricordare che i fondi del Recovery Plan – tra l’altro quantitativamente assolutamente insufficienti a risollevare le economie colpite dalla pandemia – verranno erogati a rate. L’Italia, con il suo PNRR, si è impegnata ad effettuare 58 riforme e 132 progetti specifici d’investimento. Su base semestrale le istituzioni europee vigileranno sul grado di avanzamento lungo questo cammino ed avranno facoltà di interrompere l’erogazione dei fondi, qualora il Paese devii dalla retta via. Al riguardo, lapalissiano è un recente intervento del ministro Brunetta: “Il PNRR cos’è? È un contratto. Io non temo questa definizione: è un contratto. È un contratto che ci obbliga nei confronti dell’Europa (…), in cambio di 40 pagine di riforme, da realizzare i 5 anni secondo un timing assolutamente stretto e obbligato. Se non si fanno le riforme in quel timing e con quelle caratteristiche, non ci sono i soldi. Brutale, sì, brutalissimo.”
Ecco, allora, che la pagella per l’Italia assume la luce sinistra del cronoprogramma della nostra discesa nei meandri sempre più profondi di un attacco ai residui di stato sociale e regolamentazione dei mercati, un piano dettagliato di tutto quello a cui dovremo rinunciare nei prossimi anni e di come pochi privilegiati riusciranno a trarre profitto dalla drammatica crisi economica nella quale siamo avviluppati.
In maniera emblematica, il documento preparato dalla Commissione Europea in vista dell’approvazione finale, da parte del Consiglio Europeo, del PNRR italiano, parte con una prolungata tirata contro l’elevato indebitamento pubblico italiano (l’Italia presenta squilibri macroeconomici eccessivi, soprattutto per quanto riguarda l’elevato debito pubblico e la prolungata debole dinamica della produttività), per preparare il terreno all’austerità che si annuncia all’orizzonte, non appena il Patto di Stabilità e Crescita tornerà a mordere. Si passa poi a una disamina delle principali linee di intervento messe in programma dal Governo Draghi, che coincidono esattamente con le priorità delle istituzioni europee:
- Enfasi assoluta sulle politiche attive del lavoro, cioè quelle misure imbevute della retorica secondo la quale la ‘colpa’ della disoccupazione è del disoccupato,
non abbastanza appetibile per il padrone e non al passo con i tempi.
Una visione favolistica del mercato del lavoro che ci racconta di
imprenditori che desidererebbero enormemente assumere a più non posso,
frenati esclusivamente dalla qualità scadente dei lavoratori disponibili
e dal non allineamento tra le loro esigenze produttive e le ‘skills’
(le capacità) di chi cerca un lavoro. Tutto questo in barba alla realtà
dei fatti, che purtroppo hanno la testa dura e ci ricordano che, a fronte
di 2,5 milioni di disoccupati e di altrettante persone inattive causa
scoraggiamento o motivi simili, i posti vacanti – cioè i lavori
disponibili e che aspettano di essere occupati – sono solo 350mila.
- Il ritorno della famigerata ‘spending review’, cioè tagli feroci alla spesa pubblica presentati come misure tese a migliorare l’efficienza della spesa pubblica attraverso un quadro rafforzato di revisione della spesa e il completamento della riforma delle relazioni in materia di bilancio tra i diversi livelli amministrativi.
- Mano libera al mercato, nella convinzione che quest’ultimo sappia, in autonomia, generare al contempo benefici per tutti ed efficienza. Si scopre infatti che fare il padrone in Italia è un’attività faticosa e gravata da miriadi di noiosi impedimenti burocratici. Ecco allora la necessità di riforme sostanziali per migliorare il contesto imprenditoriale generale e ridurre gli ostacoli alla concorrenza. E non si tratta semplicemente di un pronunciamento generale, imbevuto di ideologia neoliberista. Le misure da prendere, ossia le scelte di politica economica sulle quali il Governo Draghi si è impegnato sotto l’occhio benevolo delle istituzioni europee, prevedono il potenziamento di processi competitivi per l’aggiudicazione dei contratti di servizi pubblici locali, in particolare per quanto riguarda la gestione dei rifiuti, i trasporti (porti, ferrovie regionali e trasporto pubblico locale) e le concessioni (autostrade, stazioni di ricarica per la mobilità elettrica ed energia idroelettrica). Tradotto in parole povere: bisognerà eliminare ogni residua gestione pubblica fuori dalle dinamiche del mercato e della concorrenza nei servizi pubblici già da anni intensamente logorati da riforme liberiste che ne hanno snaturato la funzione.
Non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Si tratta esattamente delle stesse viete e banali ricette che compongono l’agenda neoliberista da quarant’anni. Nonostante tutta l’enfasi sui cambiamenti epocali che stiamo vivendo, sugli interventi senza precedenti messi in campo e la solidarietà europea, assistiamo semplicemente a un ulteriore tassello dell’offensiva che le classi dominanti portano avanti, con resistenza via via minore, dal principio degli anni ’80.
In maniera sempre più lampante, Draghi e il suo governo ci stanno mostrando quanto siano all’avanguardia nel compiere tale offensiva, usando il grimaldello del PNRR allo scopo di impegnare il Paese per anni sulla via dell’austerità e delle riforme. Il tutto, come ammesso dalla stessa Commissione europea, sotto il ricatto della condizionalità dei fondi del Recovery Plan. Altro che governo tecnico e neutrale: l’esecutivo Draghi non è venuto in pace, rendendosi disponibile a proseguire il programma di tagli e di riforme lacrime e sangue che ci hanno condotti alla miseria e alla precarietà in cui ci troviamo oggi e alle quali, senza invertire decisamente la rotta, ci troveremo per i prossimi decenni.
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