di Guglielmo Forges Davanzati
Il liberismo è fondato sul dogma per il quale il privato funziona sempre meglio del pubblico. La riduzione al minimo dell’intervento pubblico in economia, dunque, è considerata essenziale per conseguire obiettivi di efficienza: libero di operare in assenza di interferenze esterne, il mercato – si sostiene – crea ricchezza e la diffonde. Questa posizione, oltre a essere assai discutibile sul piano teorico, è palesemente fallimentare nei fatti. Come è mostrato, nei tempi più recenti, dalla seguente circostanza. Come ho rilevato in un precedente articolo (“Nuovo Quotidiano di Puglia”, 10 settembre 2022), l’accelerazione dell’inflazione dipende soprattutto dall’incredibile aumento del prezzo del gas, e quest’ultimo, a sua volta, si è verificato soprattutto dopo l’imposizione – anche da parte nostra – delle sanzioni alla Russia.
ARERA, l’autorità di regolamentazione del mercato, a luglio scorso, ha stimato che le bollette del gas subiranno un aumento del 100 per cento a partire dal primo di ottobre. La riduzione dell’offerta di gas da parte di Gazprom è senza dubbio all’origine della situazione attuale.
L’ex Presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha recentemente dichiarato che “non prevedere che lo scollamento dell’intero occidente dai rapporti commerciali con la Federazione Russa avrebbe avuto conseguenze catastrofiche anzitutto e soprattutto sui nostri standard abituali di benessere, fa pensare a una forma di miopia particolarmente grave, che ci porta a confondere completamente la realtà coi nostri desideri.”
Vi è di più. È ormai ampiamente noto che il prezzo del gas che consumiamo viene determinato nel mercato di Amsterdam, dove un numero ristretto di operatori stipula contratti di acquisto e vendita sulla base delle aspettative di guadagno. Si chiama speculazione (dal latino “specula”, ovvero vedere nel futuro) e non è né moralmente censurabile né buona, né ha un significato deteriore. La speculazione non è un evento eccezionale: è pienamente connaturata a un’economia capitalistica di mercato e ne è parte integrante. La decisione di liberalizzare quel mercato, a partire dal 2003, rientra a pieno titolo nella visione liberista della conduzione della politica economica ed è una delle cause più importanti dei nostri problemi attuali.
Si osservi che ben difficilmente l’ipotesi del cosiddetto price cap (la fissazione di un tetto massimo di prezzo all’acquisto) potrà dare gli esiti sperati in un lasso di tempo ragionevolmente breve. Ciò soprattutto a ragione del fatto, affinché il tetto al prezzo sia una misura efficace, occorre l’accordo di tutti i Paesi europei. Ed è sufficiente una breve riflessione per giungere alla conclusione che questa proposta – salutata positivamente dal pensiero economico dominante – è in radicale contraddizione con quest’ultimo, segnalando l’ipocrisia dell’esaltazione (a parole o nei libri) delle virtù del mercato (e, dunque, della libera fluttuazione dei prezzi) e invocando, di fatto, dispositivi di controllo del mercato stesso.
Per fuoruscire dalla crisi in atto, occorrerebbe innanzitutto rivalutare la produzione pubblica – soprattutto ma non solo, di energia – o almeno non esserne pregiudizialmente contrari. Per contro, ENI persegue l’obiettivo del profitto prima ancora di svolgere un servizio pubblico. È stata privatizzata definitivamente nel 1995, è quotata in Borsa e risponde prioritariamente ad azionisti privati. Il richiamo all’intervento pubblico di produzione diretta di beni e servizi è motivato anche dalla considerazione che è da almeno trent’anni (in particolare dal 1992, anno di smantellamento dell’industria pubblica, a partire da IRI) che l’Italia insiste sulla reiterazione di politiche di liberalizzazione dei mercati e di incentivo alle imprese private.
Il XXI Rapporto INPS stabilisce che, nel 2021, le agevolazioni alle imprese private in Italia sono costate al bilancio pubblico circa 20 miliardi di euro, a fronte degli 8 miliardi circa necessari per l’erogazione del reddito di cittadinanza.
Gli effetti sulla crescita economica, come è visibile a tutti, sono stati irrisori, mostrando, peraltro, tutte le ipocrisie del liberismo praticato: libero mercato nella teoria, aiuti statali nella prassi.
E soprattutto dando ragione ad Albert Einstein, che ammoniva che “è follia ripetere lo stesso errore aspettandosi risultati diversi”.
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