È stata trovata morta Denise Galatà, la studentessa diciannovenne che risultava dispersa da ieri dopo essere caduta in acqua mentre faceva rafting sul fiume Lao, a Laino Borgo (Cosenza), durante la gita scolastica. Questa è la notizia nella sua brutale essenzialità cronachistica.
Tuttavia, la gravità di questo fatto merita di essere tanto più sottolineata quanto più è palese il tentativo di sfumare le responsabilità di chi ha autorizzato la partecipazione degli studenti ad uno sport estremo in cui si rischia la vita.
In effetti, i ripetuti e diffusi incidenti, alcuni dei quali mortali, che costellano le gite scolastiche ci mostrano che la farsa può anche degenerare in tragedia.
Chi scrive apparteneva a quella minoranza che da anni, sia nei consigli di classe sia nei collegi dei docenti, non ha mai mancato né di denunciare il carattere socialmente classista né di contestare la validità culturale e formativa delle gite scolastiche, denominate nelle circolari ministeriali per antìfrasi ‘viaggi di istruzione’ (l’antìfrasi è una figura retorica con cui si vuole significare il contrario di ciò che si dice, come nella frase “quel brav’uomo di Nerone”).
D’altronde, i nostri antenati romani sapevano assai bene che “nominibus mollire licet mala”, ossia che è permesso mitigare i mali dando loro altri nomi.
Nella fattispecie tale “nomen” (intendo quello di ‘viaggio di istruzione’) non è altro, nella stragrande maggioranza dei casi, che la foglia di fico che copre le vergogne costituite da un insano miscuglio di degradazione degli insegnanti ridotti al ruolo meschino di ‘chaperons’, di evasione goliardica (non solo degli studenti...) e d’interessi mercantili (quelli delle agenzie turistiche, non meno voraci di quelli delle case editrici, benché le prime forniscano alla scuola servizi più scadenti dei manuali che forniscono le seconde, nel mentre le famiglie, che lamentano il caro-libri, accettano senza fiatare un caro-gite assai più gravoso).
In realtà, la scuola, lungi dall’essere protagonista ed autonoma, è sùccuba e funzionale a queste iniziative, che la vedono sempre più sottomessa alla mano, in questo caso tutt’altro che invisibile, del mercato grazie all’attivo concorso delle autorità scolastiche (banausicamente solerti nel provvedere al “soddisfacimento dei bisogni degli utenti/clienti”), delle famiglie (strette fra tendenze consumistiche ed illusioni educazionistiche), degli studenti (che fanno del ‘diritto alla gita’ il perno dei loro interessi ‘scolastici’) e di un buon numero d’insegnanti (fra i quali, va detto, ve ne sono anche alcuni che si sforzano di garantire un qualche legame tra la didattica e questo genere di attività).
Da questo punto di vista, se è giusto denunciare la proliferazione d’interventi e iniziative di natura parascolastica ed extrascolastica connotati dalla fragilità delle motivazioni culturali e dalla vaghezza degli scopi formativi, è altrettanto indispensabile denunciare gli effetti diseducativi e perfino socialmente pericolosi che ha generato nella formazione delle nuove generazioni, sotto la spinta di forze ben più potenti delle intenzioni dei più motivati educatori, lo spostamento del fulcro della vita scolastica dall’impegno specifico e qualificante nello studio ad un impegno generico e scarsamente responsabile in una socializzazione a sfondo consumistico, che può costare perfino la vita di una giovane.
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