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04/12/2023

I bombardamenti su Gaza "pesano" sul commercio israeliano e globale

È degli ultimi giorni la notizia che la compagnia marittima israeliana ZIM, ha dichiarato che non farà passare le sue navi dal canale di Suez a causa degli attacchi delle milizie yemenite Houti verso navi commerciali riconducibili ad Israele. Questa decisione costringerà le navi portacontainer dell’azienda a circumnavigare l’Africa, passando da Capo di Buona Speranza, per continuare a mantenere i suoi servizi di linea verso il Far East.

Dall’inizio del massacro in corso a Gaza l’esercito dei ribelli yemeniti Houti, forza politico-militare supportata dall’Iran, ha iniziato a prendere di mira le navi commerciali riconducibili a proprietà israeliane.

Come riporta il sito della CNN le forze navali Houthi hanno infatti dichiarato che le navi nel Mar Rosso battenti bandiera israeliana, gestite da società israeliane o di proprietà di israeliani sarebbero state obbiettivo di operazioni militari finché “l’aggressione di Israele contro Gaza non cesserà“.

I ribelli hanno messo inoltre in guardia qualsiasi unità militare che fornisse protezione alle navi israeliane, affermando che sarebbero state considerate obiettivi legittimi.

Il 19 novembre i ribelli yemeniti hanno effettuato la prima azione militare nei confronti della nave cargo Galaxy Leader tramite un’eclatante operazione militare via elicottero che ha portato al sequestro dell’imbarcazione che tuttora è in mano alle forze Houti.

La nave di tipo Ro-Ro, tipologia di nave utilizzata per il trasporto di auto ma anche di materiale bellico, è utilizzata dalla compagnia giapponese NYK ma di proprietà di una compagnia armatoriale facente capo all’israeliano Abraham Rami Ungar.

Un secondo attacco è avvenuto nel golfo di Aden la notte tra il 26 e il 27 novembre verso la nave tanker “Central Park”, la cui proprietà è collegabile al miliardario israeliano Eyal Ofer, anche se non è ancora chiaro se l’azione è stata materialmente compiuta dai ribelli yemeniti.

Il tentativo di sequestro è stato però impedito dall’arrivo di una nave della marina militare americana presente nell’area in pattugliamento con funzione “antipirateria”. Due missili balistici sono stati però lanciati nelle ore immediatamente successive da un’area dello Yemen sotto controllo dei ribelli Houti in direzione della nave militare americana anche se pare siano caduti in mare a qualche miglio di distanza.

Episodi che confermano quanto le coste yemenite adiacenti allo sbocco del Mar Rosso siano un’area sensibile per le navi israeliane e la fine della tregua nei bombardamenti non può che inasprire la situazione.

Lo stretto di Bab el Mandeb è uno dei cosiddetti choke point (in italiano “colli di bottiglia”) del commercio marittimo internazionale attraverso cui passano i flussi commerciali tra i paesi occidentali ed il Far East (Paesi asiatici e soprattutto Cina).

Queste operazioni hanno reso estremamente difficoltoso e pericoloso il traffico di navi riconducibili a Israele e per questo la ZIM si è vista costretta a cambiare le proprie rotte.

La ZIM è una storica compagnia marittima battente bandiera israeliana nata nel 1945 e ora di proprietà condivisa tra lo stato di Israele e un fondo privato sempre israeliano.

La compagnia è oggi al decimo posto nel ranking globale delle maggiori compagnie marittime di navi portacontainer e offre servizi di linea che garantiscono la sicurezza dei traffici commerciali marittimi di import ed export dei porti israeliani. I suoi servizi di linea offrono un network logistico che copre le principali rotte globali.

Negli anni è stata anche oggetto di numerose azioni di protesta in solidarietà alla causa palestinese in numerosi porti del mondo. Uno tra gli ultimi è stato il blocco dei varchi portuali del porto di Genova messo in atto dai portuali del Calp, dall’USB e da altre realtà solidali in protesta contro l’attracco in porto di una nave della compagnia israeliana.

La compagnia che già dall’inizio dei bombardamenti aveva annunciato il suo impegno a fornire supporto logistico e infrastrutture per la sicurezza di Israele (leggasi anche supporto al trasporto di armi), si è vista costretta a modificare le rotte dei suoi servizi di linea provenienti dai porti europei e mediterranei verso i paesi asiatici, nonché per i collegamenti tra porti nord americani e Far East.

Il mancato passaggio dal Canale di Suez ed il conseguente obbligo di circumnavigazione dell’Africa passando da Capo di Buona Speranza allungano il tragitto delle navi di almeno 6 giorni e costringeranno le navi della ZIM ad escludere alcuni porti dalle rotte di linea ordinarie.

Questi due fattori ovviamente creano un danno economico notevole per l’azienda e rendono più difficoltosi i collegamenti internazionali di Israele con paesi terzi.

Tra le grandi compagnie marittime non è però solo la ZIM a doversi preoccupare della situazione. Nei giorni appena successivi al 7 ottobre la compagnia MSC ha sospeso le crociere nel Mar Rosso e alcuni scali in paesi del medio-oriente.

La stessa compagnia, leader globale nel settore del trasporto marittimo containerizzato, è al centro di diversi consorzi con la ZIM per la gestione di rotte di collegamento con i port Nord-Americani e non è escluso che decida di deviare alcune sue rotte.

Il traffico di navi portacontainer è già stato infatti oggetto di attacco nelle acque internazionali dell’Oceano Indiano il 25 novembre quando la nave CMA CGM Symi, nave operata dalla compagnia marittima francese CMA CGM ma di proprietà riconducibile ad un miliardario israeliano, è stata colpita con droni kamikaze di fabbricazione iraniana mentre viaggiava con il sistema di posizionamento satellitare AIS spento.

Il protrarsi dei bombardamenti su Gaza rischia quindi di avere effetti rilevanti sui traffici commerciali via mare a livello internazionale. Il Mar Rosso ed il Canale di Suez sono infatti snodo cruciale dei flussi commerciali tra l’Europa e la Costa Est americana ed i paesi asiatici.

Un ulteriore aggravamento della crisi potrebbe influenzare molto negativamente le catene di approvvigionamento globali già messe in crisi dagli effetti dell’epidemia di Covid-19 e spingerebbe ad un aumento della presenza militare nell’area delle marine militari di diversi paesi occidentali (soprattutto americana), alzando ulteriormente la tensione nell’area.

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