Con un pressante battage pubblicitario diffuso sui social Sigfrido Ranucci e i suoi della trasmissione Report, un format d’approfondimento televisivo prodotto da Rai 3 che attinge spesso al mondo opaco delle fonti riservate, propone per la prossima domenica 7 gennaio 2024 una inchiesta sulle verità che sarebbero rimaste fino ad oggi nascoste sul sequestro del leader democristiano Aldo Moro, avvenuto nel marzo del 1978 da parte delle Brigate rosse. Ranucci promette grandi novità ma dai promo che annunciano la trasmissione e da quanto lui stesso ha scritto nella sua pagina Fb di nuovo sembra esserci ben poco, comprese le improponibili fake news sostenute dall’ex giudice Imposimato nella sua fase senile e che smentiscono quanto da lui fatto e scritto durante l’inchiesta e nei decenni successivi:
Argomenti infinite volte analizzati, scansionati, scarnificati durante cinque inchieste giudiziarie più altre due ancora in corso, quattro processi e relativi gradi di giudizio, quattro commissioni parlamentari, infinite inchieste giornalistiche, la memorialistica dei protagonisti, una sterminata produzione bibliografica, film, opere teatrali, blog e siti internet. Una mole gigantesca di parole, argomenti, ipotesi, suggestioni, congetture, fatti accertati e inventati, bugie, verità e menzogne, una sorta di aleph infinito e introvabile che mai è approdato a dimostrare il contrario di ciò che è realmente accaduto in quei 55 giorni e in quei diciannove anni, dal 1969 al 1988: il sequestro fu opera delle Brigate rosse, le Brigate rosse erano composte solo da operai, studenti, donne, giovani delle periferie urbane, meridionali migrati nel settentrione, le lettere di Moro erano di Moro, la fermezza, il rifiuto della trattativa chiesta prima da Moro e poi dalla Brigate rosse fu una decisione scellerata e autolesiva delle forze politiche, Dc e Pci in primis.
Rievocare aspetti già chiariti, come i pochi nastri registrati dell’interrogatorio poi distrutti per tutelare la voce di chi faceva domande e discuteva con Moro (Moretti) e dopo pochi giorni non più utilizzati perché Moro scriveva tantissimo, senza bisogno di essere sollecitato, o la falsa informazione sulla mancata pubblicazione dell’interrogatorio, sequestrato in realtà dai carabinieri il primo ottobre 1978 in via Monte Nevoso a Milano, quando ancora era in fase di editing.
Tirare in ballo l’assenza di una macchina blindata, che Moro non aveva perché non aveva incarichi istituzionali (e che non avrebbe fermato i brigatisti) e i protocolli di sicurezza non aggiornati facendosi così cogliere impreparati, tanto che dopo il sequestro furono vagliati in sede Nato dando luogo a un aggiornamento delle misure di sicurezza studiate proprio sull’esempio dell’attacco subito in via Fani (tutto ciò è documentato negli archivi resi accessibili negli ultimi anni e pubblicato anche in un libro), è solo la prova della inconsistenza di una inchiesta che cerca il sensazionalismo senza avere dalla propria parte solide fonti.
Per non parlare delle affermazioni del povero Scotti, ex esponente di una corrente Dc (i nuovi dorotei della «corrente del golfo» travolta da inchieste giudiziarie per i rapporti molto stretti con la camorra, il voto di scambio, corruzione e affarismo) da sempre contraria alla politica di Moro, suo avversario di partito, che appare ridicolo nell’evocare un Moro antiatlantista, proprio lui che tra i capi di governo fu uno di quelli che più di ogni altro fece uso del segreto di Stato, gli omissis, per coprire i tentativi di golpe, i dossieraggi contro gli avversari politici, le compromissioni dei servizi segreti (che sapeva maneggiare benissimo) negli anni dell’atlantismo più eversivo che volle coprire più che difendere, animato da un profondo conservatorismo delle istituzioni.
Richiamare il ruolo di Kissinger quando l’amministrazione Usa non era più in mano a Nixon, dopo lo scandalo Watergate, ma al democratico Carter con Vance e Brzezinski a governare la politica estera e la sicurezza nazionale. Oppure citare perizie dei carabinieri (del tutto inesistenti) che smentirebbero l’esecuzione di Moro nel garage di via Montalcini, con tanto di testimone che vide il frontalino della R4, come ha fatto Ilaria Moroni, la presidente della Fondazione Flamigni, una delle agenzie più attive nella intossicazione dei fatti e nella produzione di fake news, allorché le prove di tiro e acustiche nonché gli studi sulle macchie di sangue svolte dal Ris, su richiesta della Cm2 nel garage di via Montalcini, sui vestiti di Moro e sulle foto che ritraggono la Renault 4, dove venne ucciso e fatto ritrovare, hanno dimostrato la piena compatibilità col racconto dei brigatisti (Moretti, Braghetti, Maccari, Gallinari).
Quel poco che abbiamo visto in questi giorni è già sufficiente per ritenere che quella di domani, davanti alle bufale propinate da Report e ripetute da Sigfrido Ranucci, sarà una domenica bestiale.
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