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13/03/2025

La politica fibrilla sulla guerra, è un bene

La guerra è come una spada tagliente, divide nettamente le posizioni in campo azzerando tutti i bizantinismi che troppo spesso eleggono l’ambiguità a vera cifra della politica. E su questa materia l’ambiguità diventa complicità, oggettiva e soggettiva, in una spirale che porta alla catastrofe.

In Europa la questione è particolarmente drammatica. Il continente è stato il teatro principale di due guerre mondiali. Questa amara esperienza storica ha reso possibile per alcuni decenni l’apparenza di una ritrovata “saggezza” diventata patrimonio comune di intere classi dirigenti.

Ma l’Europa del XXI° Secolo – diventata Unione Europea con un processo gerarchico e dominato dagli spiriti animali dell’ordoliberismo di stampo tedesco – ha esaurito da almeno una trentina d’anni tale patrimonio, costruendo e selezionando classi dirigenti arroganti, avventuriste, disabituate alla lungimiranza e dalla visione spaventosamente corta.

I furori bellicisti incarnati da Von der Leyen, ai quali si allineano volentieri molti leader e forze politiche europee, sembrano voler riprodurre molti dei fattori – e dei linguaggi – degli anni Trenta dello scorso secolo, quelli che hanno incubato i mostri e le tragedie successive.

Non solo. Il piano da 800 miliardi per il riarmo europeo e il relativo posizionamento a favore o contro, richiama molto da vicino il sostegno ai “crediti di guerra” del 1914 che spaccò e mise in ginocchio l'allora crescente movimento operaio in Europa. La minoranza che si oppose ai crediti di guerra con la Conferenza di Zimmerwald aveva visto lungo, tutti gli altri trascinarono i propri paesi e i propri popoli nella carneficina delle trincee.

Immemore di tutto questo, oggi la politica in Europa e in Italia si divide per linee trasversali a favore o contro il processo bellicista che si va imponendo quasi senza resistenza nei nostri paesi.

Se la tagliente spada del “sì” o del “no” alla guerra divide il campo, è tempo di affrontare di petto il come collocarsi e agire dentro il campo che si oppone alle forze guerrafondaie.

Al Parlamento europeo abbiamo assistito ad un voto trasversale a favore del piano Von der Leyen e alla dichiarazione di sostegno militare all’Ucraina.

Contro hanno votato le forze della sinistra alternativa ma anche parte della destra, mentre l’ambiguità ha nuovamente divorato dall’interno il PD, spaccatosi tra favorevoli e “astenuti”; una posizione, quest’ultima, che ha diviso a sua volta il gruppo parlamentare europeo dei “socialisti e democratici”.

Il PD ha invece votato più compatto a favore della risoluzione sull’Ucraina, la cui logica non era molto diversa ma, non parlando di soldi, deve essere sembrata più “potabile”.

AVS ha visto il voto contrario della sola Ilaria Salis e dei Verdi alla risoluzione sul piano di riarmo della Von der Leyen, diventato però solo astensione alla risoluzione sull’Ucraina.

Se non altro più nitida, invece, la posizione del M5S – e a destra della Lega – che hanno votato contro entrambe le risoluzioni.

Dunque i campi di chi è favore o contro le misure che spingono alla guerra in Europa si sono divisi trasversalmente e questo ci pone alcuni problemi che vanno presi rapidamente in considerazione.

Il primo è che sulla guerra tutti coloro che vi si oppongono – spesso con motivazioni totalmente diverse – diventano in qualche modo, “oggettivamente”, compagni di strada. Diciamo che in presenza della “contraddizione principale” (la guerra), le altre diventano contraddizioni secondarie. Ma non per questo possono o devono essere annullate o sottovalutate.

Il secondo è che dentro un campo siffatto l’autonomia e il peso delle proprie posizioni vanno rafforzati, non indeboliti. Non è mai un paradosso affermare che “per unirsi occorre definirsi”.

In un campo contro la guerra che tiene dentro forze di sinistra, M5S, cattolici ma anche forze di destra, sarebbe un errore rinunciare alle proprie posizioni in nome dell’unità di scopo. Anche dentro un obiettivo comune e prioritario – sottrarre il proprio paese alla spirale dell’economia di guerra e della guerra – le posizioni antimperialiste devono avere la loro visibilità e conquistarsi la loro credibilità.

Il terzo problema è che vediamo troppa “compagneria”, più o meno organizzata, rinunciare al proprio ruolo autonomo e affidarsi alla maggiore forza progressista oggi attiva nel campo contro la guerra: il M5S.

C’è molta differenza tra il riconoscere questo ruolo al M5S e il rendersi subalterni alla sua chiave di lettura e capacità di iniziativa solo “perché è più grosso”. Su questo terreno occorre saper coniugare autonomia politica, capacità di azione e convergenze quando necessarie, ma le seconde senza le prima portano alla subalternità e quindi alla scomparsa di una visione alternativa o antagonista.

Infine, il problema non è quello della riuscita di una manifestazione – e siamo sicuri che quella in piazza Barberini alternativa a quella dell’Effetto Serra riuscirà.

Il problema è avere in mente e cominciare a ragionare su un percorso di mobilitazione contro la guerra che abbia presente sia l’autonomia politica che l’unità d’azione. Questo riguarda una capacità di interlocuzione sociale oltre che politica.

Il complesso militare-industriale e l’economia di guerra hanno una loro base materiale di consenso e un apparato ideologico a proprio sostegno. Quale è invece la nostra? E se ancora non esiste o non riesce a rappresentarsi, come ci apprestiamo a dargli riconoscibilità di interessi e rappresentanza?

Una visione corta e subalterna relegherebbe le forze di classe in una posizione del tutto marginale, anche davanti ad una necessità/opportunità come quella che la storia ci va presentando.

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