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18/05/2025

Gli Usa perdono la “tripla A”, ma stavolta può essere per sempre

Non siamo noi che “gufiamo” contro, sono proprio gli Stati Uniti che stanno messi male. Per la terza volta nella storia del dopoguerra – da quando gli Usa sono diventati la prima superpotenza economica occidentale e poi del mondo – hanno perso la “tripla A” sul rating relativo al debito pubblico.

Cosa significa? Che per far acquistare i propri titoli di stato – i treasuries, proverbiale bene “liquido” al pari dei dollari in contanti – Washington dovrà pagare qualche centesimo di interessi in più, aumentando così il “servizio del debito” e in definitiva il debito pubblico stesso.

Era successo solo nel 2011, quando lo abbassò l’agenzia Standard & Poor’s (ad AA+), e poi nel 2023, quando fu Fitch a fare altrettanto. Entrambe le volte la causa fu trovata nell’aumento del deficit e/o del debito pubblico, nonché nelle tensioni politiche, sia interne che mondiali. Va notato che solo negli ultimi 15 anni ci sono stati smottamenti simili nell’affidabilità dei titoli statunitensi, a conferma di un generale venir meno della “presa” Usa sul mondo.

Ora il “colpevole” è la terza agenzia, Moody’s – statunitense come le altre due – che ha declassato il rating a Aa1 (il secondo grado, a prescindere dai caratteri usati), quasi per le stesse ragioni ma aggiungendo quel tocco di scetticismo sulle possibilità di correggersi che dovrebbe costringere tutti a pensare.

Moody’s ha citato infatti l’aumento del debito statunitense e il suo costo per il bilancio federale: “I governi successivi e i funzionari eletti non sono riusciti a concordare misure per invertire la tendenza, il che ha portato a un deficit annuale significativo”.

Ma ha dovuto far presente che “Non crediamo che si possano ottenere riduzioni di spesa e deficit con la legge di bilancio attualmente in discussione”.

Il riferimento in tempo reale è al mega-disegno di legge in discussione al Congresso, considerato il fulcro dell’agenda del presidente Donald Trump, che prevede tagli al bilancio per 880 miliardi di dollari nell’arco di un decennio, che colpiranno principalmente i programmi di assicurazione sanitaria per 70 milioni di americani a basso reddito.

Ma come tutte le strategie basate sul taglio della spesa sociale i risultati saranno completamente diversi da quelli attesi. Persino Moody’, infatti, riconosce che si verificheranno “deficit ancora maggiori nel prossimo decennio, con una spesa in aumento e entrate stabili. Ciò aumenterà il peso del debito sulle finanze pubbliche”. Già ora, del resto, la spesa per interessi sul debito supera la spesa militare, che è anche la più alta del mondo.

Dall’altra parte dei tagli, com’è noto, l’amministrazione Trump – come tutte le altre neoliberiste – mette riduzioni della pressione fiscale, ossia tagli alle tasse soprattutto per i più ricchi. Il che inevitabilmente toglie risorse al bilancio pubblico, mentre i tagli di spesa si trasformano in riduzione dei consumi e dunque del Pil, specie in un paese dove i consumi rappresentano ormai il 68% del Prodotto interno lordo (con i servizi a fare la parte del leone: sanità, istruzione, intrattenimento, ecc.).

Non a caso l‘agenzia invita il governo ad “attuare riforme fiscali che rallenteranno significativamente e persino invertiranno il deterioramento del debito pubblico e dei deficit, sia aumentando le entrate sia riducendo le spese”. Evita ovviamente di dire “a chi” dovranno essere chiesti più “sacrifici” in termini di fisco, ma è ovvio che se Trump dovesse mantenere la promessa dell’ulteriore taglio per i super-ricchi saranno le fasce di reddito più basse a vedersi svuotare le tasche.

La coperta – per l’amministrazione Usa – è ormai cortissima. Ogni mossa che farà è potenzialmente a rischio: “un deterioramento più rapido e significativo dei saldi di bilancio” o un allontanamento degli investitori globali dal dollaro come valuta di riserva potrebbero avere un impatto molto negativo e causare “un aumento dei tassi di interesse, che aumenterebbe il costo del debito”.

Uno scenario al momento “improbabile”, secondo Moody’s, perché nonostante tutto non si è manifestata ancora una valida alternativa al dollaro. Ma è proprio qui la novità che anche l’agenzia non coglie (o non vuole cogliere): nessuno sta lavorando per proporsi come “egemonia alternativa” agli Usa. In tanti – i BRICS+ in testa – lavorano invece per creare un nuovo ordine multipolare dove nessuno è in grado di imporre la propria volontà – ovvero i propri interessi – a tutto il resto del mondo.

Ma intanto gli Usa devono abbassare la cresta. Quella “tripla A” – e i benefici economici relativi – può essere davvero persa per sempre...

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