Una lunga inchiesta apparsa sul Financial Times il 4 luglio, a firma di Stephen Foley, ha rivelato che la Boston Consulting Group (BCG), società di consulenza statunitense, ha lavorato alla modellazione finanziaria per la ricostruzione postbellica di Gaza, commissionata da sostenitori israeliani, con uno scenario che prevedeva il “ricollocamento volontario” dei palestinesi dall’enclave.
La BCG è già stata coinvolta in quello che non può più nemmeno essere definito uno scandalo, ma una pratica tra le tante del genocidio che viene portato avanti da Israele: quello dell’utilizzo dei centri di distribuzione per gli aiuti della Gaza Humanitarian Foundation (GHF) come campi in cui ‘mietere vittime‘ ammassate alla ricerca di un po’ di cibo.
La BCG ha negato di aver avuto parte nella costruzione di questa Organizzazione Non Governativa pensata e istituita tra USA e stato sionista, dicendo che aveva inizialmente dato solo del “supporto pro bono”, e che due soci senior dello studio non hanno dato informazioni complete sul contenuto del progetto. Per questo, sono stati in pratica obbligati a dimettersi, mentre sono cominciate indagini interne.
Tuttavia, alcune fonti interne che hanno parlato col Financial Times hanno dichiarato che la società di consulenza è stata coinvolta molto più di quanto sia disposta a riconoscere: avrebbe ricevuto 4 milioni di dollari nell’arco di 7 mesi, tra ottobre e fine maggio, e ben 12 suoi dipendenti avrebbero lavorato al progetto, in fase di continua evoluzione, chiamato ‘Aurora’.
In sostanza, dietro tale nome si trova il piano di trasformare Gaza in quella riviera turistica che Trump aveva già accennato mesi fa, e la BCG si sarebbe occupata di programmare le attività finanziarie collegate, compreso il pagamento di “pacchetti di ricollocazione” per ben 500 mila persone, del valore di 9 mila dollari (circa 5 miliardi di dollari in totale), per invogliare i gazawi a lasciare la propria terra.
Nel modello preparato si prevedeva che l’altro milione e mezzo di abitanti della Striscia difficilmente avrebbe scelto di tornare, senza però dire che ciò non deriva da una decisione libera e individuale, ma dal fatto che Gaza è stata ridotta a un cumulo di macerie dal terrorismo sionista, mentre l’apartheid non si è e non si sarebbe mai fermata, nemmeno in futuro.
Questa operazione di pulizia etnica veniva mostrata come conveniente anche dal punto di vista economico: il trasferimento dei palestinesi fuori dalla Striscia costerebbe 23 mila dollari in meno a persona, rispetto al fornire a ogni abitante di Gaza il supporto necessario nel corso della ricostruzione delle loro case e delle infrastrutture essenziali rase al suolo da Tel Aviv.
Anche se è vero che, mossi dal montare delle critiche verso l’attività della GHF, nella BCG hanno cominciato a muoversi dubbi anche sul senso del progetto Aurora, fino a tagliare i ponti con quel programma, è evidente che, dopo due anni di massacri continui e dichiarazioni anche piuttosto esplicite, non sarebbe dovuto servire molto sforzo a capire che la società si stava rendendo complice di pulizia etnica.
Sicuramente, anche Tony Blair lo sapeva bene, quando il think tank da lui istituito – il Tony Blair Institute (TBI), appunto – ha partecipato a una presentazione di una serie di diapositive intitolata The Great Trust, un progetto promosso da imprenditori israeliani per rendere Gaza un polo di attrazione di investimenti, con schemi commerciali basati su zone economiche speciali e isole artificiali come quelle di Dubai.
Va precisato che il Tony Blair Institute non ha redatto né dato approvazione alla presentazione citata, ma solo che due suoi membri hanno partecipato alle discussioni e alle chiamate per lo sviluppo del progetto. Bisogna però anche dire che, come per il BCG, decine di migliaia di morti rendevano abbastanza chiaro la finalità genocida di questo sforzo imprenditoriale.
Del resto, Blair è colui che è stato accusato di aver fatto distruggere documenti importanti che delineavano come illegale l’intervento in Iraq nel 2003, e non è dunque nuovo alla partecipazione a crimini contro l’umanità. Come allora, questi sono giustificati in virtù dell’utilità che gli viene attribuita nel sostenere la lotta dell’Occidente contro il mondo multipolare.
In un documento interno del TBI, intitolato Gaza Economic Blueprint, viene delineata anche la costruzione di un porto in acque profonde che fungerebbe da snodo centrale del corridoio commerciale che dovrebbe unire l’India con l’Europa, la famosa ‘Via del Cotone’ pensata per competere con quella cinese della Seta.
Al TBI è andata a lavorare dalla fine del 2023 anche Sanna Marin, l’ex prima ministra finlandese che ha rappresentato per qualche mese un esempio per il centrosinistra europeo, perché donna e... guerrafondaia. Dopo aver portato il suo paese nella NATO, millantando che la Russia è un pericolo esistenziale, si è poi dedicata all’organizzazione di Tony Blair, senza mai spendere una parola sul genocidio dei palestinesi.
Queste sono le porte girevoli della politica del nostro continente, che unita sostiene la pulizia etnica in Palestina mentre dimostra di essere sempre meno capace a governare un mondo sempre più complesso, e a esprimere valori in grado di raccogliere consenso tra masse di persone ormai consapevoli dei crimini sionisti.
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