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17/03/2014

Gli effetti del referendum in Crimea

S'innalza la tensione sulla linea di faglia Europa-Russia.

Come era prevedibile, la stragrande maggioranza della popolazione della Repubblica Autonoma nel sud della Crimea ha espresso un esplicita volontà di tornare a far parte della Russia. Il risultato è, come si diceva un tempo, "bulgaro": a chiedere che la penisola venga integrata all’interno della Federazione Russa nel voto di ieri si sono espressi il 96,6% degli abitanti della regione del Mar Nero. Un vero e proprio plebiscito, con la sola astensione-boicottaggio della popolazione ucraina e degli appartenenti alla minoranza tatara (turcofona e islamista). Un boicottaggio non riuscito visto che l’affluenza ai seggi è stata molto alta, pari all'81,7% degli aventi diritto. Sulla base del voto di ieri le autorità di Simferopoli hanno proclamato alle prime ore del mattino l'indipendenza e chiesto ufficialmente di avviare le procedure per il ricongiungimento con la Russia come Repubblica Autonoma, che secondo le previsioni dovrebbero durare circa tre mesi. Altre misure (russo come lingua ufficiale, introduzione del rublo ecc.) hanno già reso operativa la decisioni di ieri.

Altrettanto scontate le dure quanto ipocrite prese di posizione delle potenze occidentali che giudicano ‘illegale’ e ‘ininfluente’ la decisione espressa dalla stragrande maggioranza del popolo della penisola dove immediate erano state le reazioni delle autorità ma anche degli abitanti al golpe nazionalista andato in scena a Kiev proprio sotto l’egida di Usa, Ue e Nato. Il referendum in Crimea è stato "una grande farsa" ha naturalmente commentato il presidente ucraino ad interim, Oleksandr Turchinov . Il parlamento di Kiev ha intanto approvato la parziale mobilitazione dell'esercito ordinata da Turchinov. Da parte sua Barack Obama ha minacciato "costi crescenti" per la Russia. il presidente USA ha stabilito per decreto sanzioni economiche e congelamento dei beni ai danni di diversi alti funzionari russi, tra cui stretti collaboratori di Vladimir Putin e lo stesso ex presidente ucraino Ianukovich. In un secondo tempo la Casa Bianca ha poi specificato che le sanzioni si applicano, oltre che alle 11 personalità russe e ucraine espressamente citate, anche a "qualsiasi entità (società o azienda) o singoli (persone) attive nell'industria delle armi russe". Così come "i patrimoni personali o dei prestanome" degli esponenti della leadership russa. Anche l'Ue si appresta a varare, già oggi, un primo pacchetto di misure in parte già concordate dal Consiglio europeo del 6 marzo, ricalcanti fedelmente le misure statunitensi.

Ma sembra di assistere comunque a mosse estremamente calcolate. Già nel pomeriggio le minacce si fanno più circostanziate: fonti dell'amministrazione Obama hanno spiegato che le sanzioni che hanno colpito 11 funzionari non hanno riguardato direttamente Vladimir Putin perché, "sarebbe stato estremamente insolito e piuttosto straordinario", chiamare in causa direttamente un capo di Stato. Così, facendo eco alle dichiarazioni della diplomazia europea, la neo-ministra degli Esteri, Federica Mogherini ha precisato che tra le 21 persone colpite dalle sanzioni di divieto di visti e congelamento dei beni "non ci sono membri del governo, né giornalisti, né rappresentanti di società e aziende".

Dal canto sua la Russia continua con la tattica ben consolidata del bastone e della carota, dichiarando l'annessione e dichiarandosi al contempo disponibile a compromessi "federativi" concertati con Kiev e Bruxelles (che per ora rispondono picche). Ha quindi inviato aiuti alla Crimea per 15 miliardi di rubli (400 milioni di dollari), precisando che la cifra "raddoppia il bilancio della Crimea". Ma Putin erediterà probabilmente una regione in crisi economica per la quale dovrebbe sborsare vari miliardi di dollari in più di quelli attualmente stanziati. Le scelte russe in materia di nuova legislazione della neonata "repubblica autonoma" ribadiscono in qualche modo la normalità procedurali tipiche della fondazione di un nuovo stato o di una terra (ri-)annessa.


Ostinarsi però a voler vedere in questa vittoria referendaria russ(ofon)a e nelle mosse putiniane una rivincita dell'antifascismo in stile "grande guerra patriottica" condotta dall'Armata Rossa nella seconda guerra mondiale è fuorviante e rischia di far prendere fischi per fiaschi. Non tanto per quella popolazione che certamente porta ancora sulla propria pelle la memoria dei disastri dell'occupazione tedesca e del collaborazionismo ucraino anti-bolscevico e anti-ebraico (le due cose si sovrapponevano) quanto perché questi sentimenti vengono abilmente sfruttati dal governo russo in chiave di esclusiva politica di potenza (che ha necessariamente, tra i suoi compiti - oltre al mantenimento di confini geostrategici"sicuri"- quello di proteggere i propri cittadini oltre-confine per motivi di consenso e legittimità interna).

Putin non ha esitato a usare in questi anni d'incontrastato dominio (con effettivo consenso) gruppi fascisti e nazional-sciovinisti per cementare la propria popolarità e arginare ogni ipotesi di alternativa al suo governo autocratico. Così, Mosca si è detta disposta a fare entrare tra gli osservatori nella penisola non gli inviati dell'Osce (giustamente, visto la loro sudditanza occidento-centrica) ma vari rappresentanti dei partiti neofascisti e neonazisti europei (legittimando i discorsi ambigui e densi di conseguenze negative del rosso-brunismo eurasiatico).

L'unica cosa che continua ad essere certa in questa crisi è l'attivismo primariamente statale e militar-diplomatico dei grossi poli geopolitici, con tutto ciò che questo comporta in termini di strumentalizzazione e detournamento dell'attivismo dal basso e delle legittime aspirazioni che hanno certamente informato le spinte iniziali di quelle migliaia di persone che hanno popolato piazza Indipendenza per mesi, in larga parte ignare delle mosse euro-atlantiche e di essere cinicamente utilizzate (fino al punto di diventare prede per cecchini che non lesinavano un "fuoco amico" premeditato) dai settori para-militari dell'ultra-destra locale. Qualcosa di quello spirito genuino inizia a fare capolinea nella russia putiniana, dove ieri le manifestazioni contro scenari di guerra hanno ampiamente sorpassato quelle lealiste pro-Putin, intrise di ideologia nazionalista grande-russa. Sperando però in una differente capacità autonoma di dar voce a legittime aspirazioni di pace, senza farsi strumentalizzare dalle potenze imperialiste euro-atlantiche. Per quanto deboli e in ritardo, queste mobilitazioni dal basso sono l'unico antidoto alle scellerate manovre geopolitiche di un'Europa che continua a giocare col fuoco.

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