03/03/2014
La Fiom si muove per contrastare "l'accordo del 10 gennaio"
Durissimo confronto, oggi, al Comitato Centrale della Fiom. In discussione l'atteggiamento da tenere... nei confronti della Cgil. La confederazione guidata da Susanna Camusso ha firmato il 10 gennaio un “accordo sulla rappresentanza sindacale”, pomposamente chiamato “testo unico” per far sembrare che equivalga a una legge dello Stato; e pretende che tutte le categorie l'accettino così com'è senza discuterlo. Tra le tante norme contestate – alcune delle quali addirittura incostituzionali, come le “sanzioni anche economiche” per chi sciopera – c'è tra l'altro la cancellazione dell'autonomia contrattuale delle categorie. Tradotto dal sindacalese: ogni contratto dei metalmeccanici potrebbe venir “commissariato” dalla segreteria della Cgil – insieme a Cisl e Uil – estromettendo la Fiom.
Camusso – nel Direttivo Nazionale – ha imposto una consultazione-farsa della base degli iscritti, da condurre rapidamente, senza esporre posizioni contrarie alla sua e con un voto finale che deve esser limitato a un solo “sì” o “no” al parere espresso dallo stesso segretario generale su quell'accordo. Di fatto, un referendum su di lei, non sul merito del “testo unico”.
Al Comitato Centrale, nella relazione d'apertura, Maurizio Landini ha proposto – né più né meno – “un'altra consultazione” tra i metalmeccanici. E se alla fine la categoria, i lavoratori delle fabbriche, dovessero dir di “no” la segreteria della Fiom si impegna a non rispettare il “testo unico”.
Uno strappo mai visto nella storia del sindacato italiano, che – a rigore – dovrebbe costituire un preludio a una possibile scissione. O quantomeno a un “trarre le conseguenze” della contrapposizione.
L'impressione di una “giornata storica” è confermata con altrettanta durezza dalla presenza nel Comitato Centrale della stessa Susanna Camusso. Che interviene come un delegato qualsiasi ed esordisce con un “frontale” contro la stessa “centralità” della figura dei metalmeccanici rispetto all'insieme delle categorie del lavoro. I tempi cambiano, spiega con la voce bassa di chi ha già deciso cosa fare, e quindi le “tute blu” non devono più contare come prima nella definizione delle scelte della Cgil. Una banalità analitica – il numero dei metalmeccanici è certamente calato molto, in questi primi sei anni di crisi, che hanno cancellato il 25% della capacità produttiva esistente – per giustificare un rovesciamento totale del “modello contrattuale”, del ruolo del sindacato in questo paese e più in generale nei “tempi moderni”.
Fino a giustificare l'immondo percorso dal “31 maggio” al “10 gennaio” del 2013 come un modo – vincente, ça và sans dire! – d'uscire dall'isolamento in cui la Cgil si era venuta a trovare nel 2009, quando Cisl e Uil siglarono con Marcegaglia un “accordo separato” proprio sul modello contrattuale. Una giravolta a 360° per cui, alla fine, l'accettazione di quel modello e di tutti i peggioramenti “di regime” che hanno portato al nuovo “patto di Palazzo Vidoni” risulterebbe... un successo della Cgil!
Fino a esporre il “testo unico” come un “limite” posto alla prepotenza delle imprese nelle situazioni dove il sindacato è più debole... Fino a difendere “l'arbitrato” – un plotone di fucilazione puntato contro ogni sindacato o delegato un po' troppo combattivo – come un organismo di “tutela”...
Fino all'affondo “argomentativo” per cui, “in democrazia”, alla fine decide la maggioranza... Ovvero la sua segreteria. E quindi, una volta fatta “la consultazione” tra i lavoratori, quella decisione vincola tutta l'organizzazione. Fiom compresa...
Un burocratico esercizio di retorica che evoca di continuo “regole generali” – in quanto ideali, ampiamente condivisibili – per nascondere ciò che concretamente avviene al di sotto, e contro quelle regole. Come per la “consultazione” nelle modalità proposte da lei stessa: “un modo di far partecipare i lavoratori”...
E così, infine, per l'assenza del “doppio relatore” all'interno delle assemblee. Che non è mai esistito, nella storia della Cgil, perché “non si deve dare l'impressione che ci siano due idee della Cgil”. Perché un'organizzazione che ha come obiettivo la contrattazione non può presentarsi con un doppio volto, una doppia rappresentazione. L'organizzazione è insomma una sola: ed ora è la sua.
A Landini, come ovvio, il compito di tirare le conclusioni.
Parte dalla contestazione di ogni “abitudine al rinvio” delle discussioni interne, in nome della “superiore esigenza dell'unità”, “tanto c'è il congresso, ne parleremo lì...”. La questione è in fondo semplice: “non c'è mai stata una situazione in cui ci si è trovati davanti a un testo prendere o lasciare”. Non c'è mai stato un “uso del Direttivo come una clava per cui se sei d'accordo bene, altrimenti vedi tu quel che vuoi fare”.
E spara direttamente su chi – i “camussiani” della Fiom – “non si è presentato al precedente Comitato Centrale", andando a rapporto dalla Camusso, "e poi viene qui a dar lezione di democrazia interna”. Contestando anche la vecchia "arte” del Pci, per cui si accettava un contratto che avrebbe fatto stare peggio i lavoratori “tanto un giorno ci sarà il socialismo e staremo meglio”. Pragmaticamente, “quand'è che si può discutere di come si fa a stare meglio ora?”
E ironicamente: “serve a me, come segretario Fiom, di sapere quel che pensano tutti i miei prima di prendere decisioni, perché può darsi che soltanto io abbia una certa idea e allora sbaglierei”.
Fuoco serrato sulle nuove norme infilate nel “testo unico” e non presenti nemmeno nel “28 giugno” e nel “31 maggio”. Come l'obbligo a rispettare tutti gli accordi, anche quelli cui non si è partecipato e con cui non si è d'accordo. In violazione del pluralismo sindacale sancito dall'art. 39 della Costituzione. E scopre, come evidenziato dai giuslavoristi e dai costituzionalisti, che non basta neppure essere la maggioranza se non si è anche firmato il contratto precedente e non si è “partecipato alla formulazione della piattaforma”. Un modo per rendere impossibile l'agibilità sindacale di tutte quelle organizzazioni che hanno contemporaneamente tutte e tre le caratteristiche. “Un accordo tra privati che esclude chi non è d'accordo e in barba alla Costituzione”.
Così come sulle sanzioni, che “dovranno essere definite in sede contrattuale” - non “potranno” - e quindi otterranno l'esatto opposto della “tutela per i più deboli” decantata dalla Camusso. In pratica, “là dove non siamo maggioranza, gli altri decidono per te e tu non puoi far nulla”. Un vero e proprio rovesciamento delle relazioni industriali, un cambio di segno di portata storica.
Un peggioramento persino rispetto all'art. 8 della “manovra d'estate” di Sacconi e Berlusconi (quello che introduceva "deroghe" alle leggi e ai contratti), che se non altro prevedeva ancora il voto confermativo dei lavoratori. E in un quadro di relazioni tra organizzazioni sindacali per cui, in Fiat, Cisl e Uil sono pronte a ricorrere alla magistratura... se la Fiat ammetterà la Fiom alle trattative! Anzi. Fim e Uilm si rifiutano persino di fare insieme alla Fiom tra i metalmeccanici, le “assemblee informative” di cui parla la Camusso. Un modo chiaro di usare il “testo unico” per escludere la Fiom dalle fabbriche di tutta Italia, nello spirito autentico del “nuovo patto di Palazzo Vidoni”. Senza che al Cgil alzi un sopracciglio critico...
Paradossalmente – lo ammette – Landini è obbligato a difendere la libertà sindacale di tutte le organizzazioni, anche quelle non confederali (come Usb o Cobas), per difendere la propria.
E quindi, per la “consultazione”, Landini chiede una modalità di voto in cui si chiede a tutti i lavoratori cosa pensano dell'accordo. E se la maggioranza sarà negativa, la Fiom non se ne sentirà vincolata. Del resto, fa parte dell'”autonomia contrattuale” delle singole categorie, senza la quale “non si può dare confederalità”.
Per tutto questo, e dovendo porre “le nostre proposte” mentre il governo – ora, nei prossimi giorni – sta per prendere decisioni sul lavoro e non solo, le si pone con una iniziativa oppure no?
La proposta di odg finale diventa: sottoporre l'accordo alla consultazione di tutti i lavoratori, con la presenza dei due relatori per illustrare posizioni diverse; conferma i giudizi e impegna le strutture a organizzare la consultazione, che si svolgerà con voto certificato e segreto tra 26 marzo e il 2 aprile; organizza un piano di assemblee in tutti i luoghi di lavoro; convocherà per il 21 marzo un attivo nazionale dei delegati e delle strutture. In pratica una semi-manifestazione nazionale contro l'accordo, ma “all'interno” dei soli metalmeccanici.
Contrario ovviamente Venturi (membro della segreteria nazionale della Fiom in rappresentanza dei “camussiani”), che annuncia l'uscita dall'aula al momento del voto. Bellavita – rappresentante del "secondo documento congressuale" – annuncia l'astensione sul dispositivo, riconoscendo però che “si va in una direzione importante: il contrasto dell'accordo del 10 gennaio”. Risultato: 84 a favore e 13 astenuti. Alla presenza di Camusso, rimasta in sala, impassibile, a meditare vendetta in altra sede.
In ogni caso: la rottura c'è stata. Le settimane di primavera ci diranno fin dove arriverà a spingersi.
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