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15/04/2014

Prove di forza in Ucraina

di Michele Paris

La continua mobilitazione dei manifestanti filo-russi in numerose città dell’Ucraina orientale sembra smentire in maniera evidente le insistenti pretese del regime golpista di Kiev e dei suoi sponsor occidentali circa un presunto complotto di Mosca messo in atto per giustificare un’invasione delle forze del Cremlino. Nella giornata di lunedì, dopo che l’ultimatum lanciato dalle autorità ucraine ai separatisti che avevano occupato svariati edifici governativi era stato ignorato, il presidente ad interim Oleksandr Turchynov ha minacciato un intervento militare per ristabilire l’ordine nelle circa dieci località interessate dai disordini.

Sempre lunedì, inoltre, un attacco al quartier generale della polizia ucraina nella città di Horlivka, non lontano da Donetsk, condotto da un centinaio di attivisti filo-russi, avrebbe provocato un certo numero di feriti e il decesso del capo della polizia locale.

Lo stesso Turchynov, tuttavia, aveva in precedenza mostrato qualche apertura sull’ipotesi di un referendum circa la struttura futura dell’Ucraina, anche se i manifestanti nelle regioni orientali sono intenzionati, sull’esempio della Crimea, ad inserire nell’eventuale consultazione popolare l’opzione dell’indipendenza e dell’ingresso nella Federazione Russa.

Turchynov, poi, ha proposto di tenere un referendum nazionale in concomitanza con le elezioni presidenziali del 25 maggio prossimo, così da diluire le tendenze separatiste, mentre i filo-russi vogliono che il voto si tenga soltanto nelle regioni al confine con la Russia. Il presidente è stato protagonista infine di una conversazione telefonica con il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, al quale avrebbe chiesto il dispiegamento di “peacekeepers” nel paese per allentare la crisi e condurre operazioni “anti-terrorismo” con le forze di sicurezza ucraine. Visto il potere di veto della Russia al Consiglio di Sicurezza, è comunque evidente l’improbabilità di una tale ipotesi.

Da Mosca, intanto, non sembra esserci alcun desiderio di smembrare l’Ucraina, tanto che il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, ha appoggiato l’idea di un referendum per dare al paese una struttura federale, anche se ha tenuto a sottolineare che tutti i cittadini dovranno essere trattati allo stesso modo. Il regime installato a Kiev con l’appoggio dell’Occidente aveva infatti deciso in maniera tempestiva di cancellare lo status di lingua ufficiale del russo - assieme all’ucraino - in un gesto inequivocabile della natura delle forze “rivoluzionarie”.

Nonostante la retorica e le accuse lanciate contro il Cremlino, in ogni caso, sono i governi occidentali che continuano a soffiare sul fuoco della crisi, rendendo sempre più concreto il rischio di un confronto armato tra Kiev e Mosca che, a sua volta, potrebbe scatenare un conflitto tra la Russia e gli Stati Uniti o i loro alleati, com’è ovvio con conseguenze potenzialmente rovinose.

Questo pericolo alimentato dall’irresponsabile politica estera occidentale è stato denunciato nella serata di domenica dall’ambasciatore russo alle Nazioni Unite, Vitaly Churkin, nel corso di una riunione di emergenza del Consiglio di Sicurezza richiesta da Mosca. Il diplomatico russo ha affermato che l’eventuale scivolamento dell’Ucraina nella guerra civile dipende ora dall’Occidente, correttamente accusato di avere provocato in maniera deliberata l’escalation della crisi nel paese dell’Europa orientale.

Churkin ha anche chiesto al governo ucraino di “avviare un dialogo genuino” con la maggioranza filo-russa nel paese, ricordando ai colleghi occidentali i pericoli derivanti dalla loro strategia, fondata sull’appoggio a forze “neo-naziste e anti-semite”.

Dal Cremlino hanno anche fatto notare come, vista la massiccia presenza di cittadini di nazionalità russa nelle regioni orientali dell’Ucraina, risulti inevitabile che una parte di essi stia partecipando alle proteste, pur non essendo agenti di Mosca. La composizione etnica di queste regioni renderebbe dunque pressoché inevitabile un qualche coinvolgimento diretto della Russia in caso di guerra civile.

Da Washington gli appelli russi sono stati però respinti, mentre si continua ad appoggiare i piani di repressione studiati da Kiev, così come vengono ribadite le accuse senza fondamento alla Russia di avere ammassato ai confini con l’Ucraina decine di migliaia di truppe e armamenti in vista di una possibile invasione. Le mosse del governo sembrano comunque essere concordate con l’Occidente, come rivelerebbe una visita non confermata nel fine settimana del direttore della CIA, John Brennan, a Kiev per “consultazioni” con i vertici della sicurezza interna ucraina.

I vari leader occidentali sembrano poi fare a gara nel rilasciare affermazioni ufficiali che ribaltano incredibilmente la realtà dei fatti. Il vice-cancelliere tedesco, il socialdemocratico Sigmar Gabriel, ha ad esempio sostenuto che la “Russia è pronta a consentire ai suoi carri armati di passare attraverso le frontiere dell’Europa”, proprio mentre l’Occidente attraverso la NATO sta presiedendo ad un’escalation militare senza precedenti ai confini con la stessa Russia.

Minacce di ulteriori sanzioni contro Mosca non sono inoltre mancate ed esse sono state discusse anche in un vertice dei ministri degli Esteri UE andato in scena lunedì in Lussemburgo. Se gli Stati Uniti hanno peraltro già preso nuovi provvedimenti nei giorni scorsi, i partner europei continuano ad essere molto cauti, viste le implicazioni e i rischi economici che misure più severe potrebbero comportare.

La favola del complotto di Mosca dietro all’occupazione degli edifici governativi a Donetsk, Slavyansk, Kharkiv, Lugansk e altre località dell’Ucraina orientale è comunque smentita anche dalla crescente partecipazione alle proteste contro il regime di Kiev di alcune sezioni dei lavoratori dell’industria pesante indigena strettamente legata al mercato russo.

Alcuni media anche occidentali hanno raccontato, ad esempio, della mobilitazione dei minatori della regione del Donbas, molti dei quali stanno sorvegliando gli edifici occupati e affermano di essere motivati dalla loro ferma opposizione alle politiche del nuovo governo centrale e dai timori per lo strapotere di milizie neo-fasciste, come il cosiddetto “Settore Destro”.

Le prospettive economiche dell’Ucraina, in particolare, suscitano estrema apprensione, con ogni probabilità non solo tra la popolazione filo-russa. Il prestito da 27 miliardi di dollari promesso dal Fondo Monetario Internazionale, infatti, richiederà misure di ristrutturazione e di devastazione sociale nel paese, con conseguenze molto pesanti soprattutto per i dipendenti dell’industria pesante nell’Ucraina orientale, decisamente poco competitiva sui mercati globali.

La minaccia alla maggioranza filo-russa, nonostante le rassicurazioni di Kiev e dell’Occidente, è più che mai concreta, visto che le organizzazioni neo-fasciste che avevano contribuito in maniera decisiva alla deposizione dell’ex presidente Yanukovich sembrano pronte ad intervenire nuovamente.

I membri di “Settore Destro”, soprattutto, sono stati chiamati alle armi dal loro leader, Dmitri Yarosh, il quale ha lanciato un appello alla mobilitazione per “difendere la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina”, chiedendo alla popolazione di aiutare la sua milizia “a ristabilire l’ordine e la legalità”.

Simili appelli mettono i brividi a molti, dal momento che queste ed altre formazioni armate di estrema destra sono responsabili in larga misura della strage di manifestanti avvenuta nelle fasi finali della battaglia per la rimozione di Yanukovich nel febbraio scorso.

Che i cecchini responsabili dei decessi fossero membri dell’opposizione è stato confermato recentemente anche da un’indagine della TV tedesca ARD, secondo la quale sarebbe perciò confermata la tesi sostenuta qualche settimana fa dal ministro degli Esteri estone, Urmas Paet, nel corso di una sconvolgente conversazione telefonica apparsa in rete con la responsabile della politica estera UE, Catherine Ashton.

La “rivoluzione democratica” ucraina si è dunque realizzata grazie anche a forze simili - protagoniste nei mesi della lotta contro il governo di Yanukovich dell’occupazione di edifici governativi come sta ora accadendo nell’Ucraina orientale - nonché alla promozione da parte dell’Occidente di politici e partiti di destra, pronti a favorire la penetrazione di Washington o Berlino in un paese strategicamente cruciale per la Russia.

La prevalenza di formazioni ultra-reazionarie e apertamente razziste ha determinato l’inevitabile quanto limitato intervento della Russia in Crimea, strumentalizzato dall’Occidente per giustificare un ampliamento drammatico - e previsto da tempo - delle operazioni e della presenza NATO in svariati ex satelliti sovietici.

La trasformazione della Russia nell’aggressore è stata resa possibile infine da un’incessante propaganda orchestrata dagli stessi governi e media occidentali, in collaborazione con il nuovo regime-fantoccio di Kiev, pronto ad agitare continuamente lo spettro dell’invasione del paese da parte delle forze di Mosca.

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