di Michele Paris
La continua mobilitazione
dei manifestanti filo-russi in numerose città dell’Ucraina orientale
sembra smentire in maniera evidente le insistenti pretese del regime
golpista di Kiev e dei suoi sponsor occidentali circa un presunto
complotto di Mosca messo in atto per giustificare un’invasione delle
forze del Cremlino. Nella giornata di lunedì, dopo che l’ultimatum
lanciato dalle autorità ucraine ai separatisti che avevano occupato
svariati edifici governativi era stato ignorato, il presidente ad
interim Oleksandr Turchynov ha minacciato un intervento militare per ristabilire l’ordine nelle circa dieci località interessate dai
disordini.
Sempre lunedì, inoltre, un attacco al quartier
generale della polizia ucraina nella città di Horlivka, non lontano da
Donetsk, condotto da un centinaio di attivisti filo-russi, avrebbe
provocato un certo numero di feriti e il decesso del capo della polizia
locale.
Lo stesso Turchynov, tuttavia, aveva in precedenza
mostrato qualche apertura sull’ipotesi di un referendum circa la
struttura futura dell’Ucraina, anche se i manifestanti nelle regioni
orientali sono intenzionati, sull’esempio della Crimea, ad inserire
nell’eventuale consultazione popolare l’opzione dell’indipendenza e
dell’ingresso nella Federazione Russa.
Turchynov, poi, ha
proposto di tenere un referendum nazionale in concomitanza con le
elezioni presidenziali del 25 maggio prossimo, così da diluire le
tendenze separatiste, mentre i filo-russi vogliono che il voto si tenga
soltanto nelle regioni al confine con la Russia. Il presidente è stato
protagonista infine di una conversazione telefonica con il segretario
generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, al quale avrebbe chiesto il
dispiegamento di “peacekeepers” nel paese per allentare la crisi e
condurre operazioni “anti-terrorismo” con le forze di sicurezza ucraine.
Visto il potere di veto della Russia al Consiglio di Sicurezza, è
comunque evidente l’improbabilità di una tale ipotesi.
Da Mosca,
intanto, non sembra esserci alcun desiderio di smembrare l’Ucraina,
tanto che il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, ha appoggiato l’idea
di un referendum per dare al paese una struttura federale, anche se ha
tenuto a sottolineare che tutti i cittadini dovranno essere trattati
allo stesso modo. Il regime installato a Kiev con l’appoggio
dell’Occidente aveva infatti deciso in maniera tempestiva di cancellare
lo status di lingua ufficiale del russo - assieme all’ucraino - in un
gesto inequivocabile della natura delle forze “rivoluzionarie”.
Nonostante
la retorica e le accuse lanciate contro il Cremlino, in ogni caso, sono
i governi occidentali che continuano a soffiare sul fuoco della crisi,
rendendo sempre più concreto il rischio di un confronto armato tra Kiev e
Mosca che, a sua volta, potrebbe scatenare un conflitto tra la Russia e
gli Stati Uniti o i loro alleati, com’è ovvio con conseguenze
potenzialmente rovinose.
Questo
pericolo alimentato dall’irresponsabile politica estera occidentale è
stato denunciato nella serata di domenica dall’ambasciatore russo alle
Nazioni Unite, Vitaly Churkin, nel corso di una riunione di emergenza
del Consiglio di Sicurezza richiesta da Mosca. Il diplomatico russo ha
affermato che l’eventuale scivolamento dell’Ucraina nella guerra civile
dipende ora dall’Occidente, correttamente accusato di avere provocato in
maniera deliberata l’escalation della crisi nel paese dell’Europa
orientale.
Churkin ha anche chiesto al governo ucraino di
“avviare un dialogo genuino” con la maggioranza filo-russa nel paese,
ricordando ai colleghi occidentali i pericoli derivanti dalla loro
strategia, fondata sull’appoggio a forze “neo-naziste e anti-semite”.
Dal
Cremlino hanno anche fatto notare come, vista la massiccia presenza di
cittadini di nazionalità russa nelle regioni orientali dell’Ucraina,
risulti inevitabile che una parte di essi stia partecipando alle
proteste, pur non essendo agenti di Mosca. La composizione etnica di
queste regioni renderebbe dunque pressoché inevitabile un qualche
coinvolgimento diretto della Russia in caso di guerra civile.
Da
Washington gli appelli russi sono stati però respinti, mentre si
continua ad appoggiare i piani di repressione studiati da Kiev, così
come vengono ribadite le accuse senza fondamento alla Russia di avere
ammassato ai confini con l’Ucraina decine di migliaia di truppe e
armamenti in vista di una possibile invasione. Le mosse del governo
sembrano comunque essere concordate con l’Occidente, come rivelerebbe
una visita non confermata nel fine settimana del direttore della CIA,
John Brennan, a Kiev per “consultazioni” con i vertici della sicurezza
interna ucraina.
I vari leader occidentali sembrano poi fare a
gara nel rilasciare affermazioni ufficiali che ribaltano incredibilmente
la realtà dei fatti. Il vice-cancelliere tedesco, il socialdemocratico
Sigmar Gabriel, ha ad esempio sostenuto che la “Russia è pronta a
consentire ai suoi carri armati di passare attraverso le frontiere
dell’Europa”, proprio mentre l’Occidente attraverso la NATO sta
presiedendo ad un’escalation militare senza precedenti ai confini con la
stessa Russia.
Minacce di ulteriori sanzioni contro Mosca non
sono inoltre mancate ed esse sono state discusse anche in un vertice dei
ministri degli Esteri UE andato in scena lunedì in Lussemburgo. Se gli
Stati Uniti hanno peraltro già preso nuovi provvedimenti nei giorni
scorsi, i partner europei continuano ad essere molto cauti, viste le
implicazioni e i rischi economici che misure più severe potrebbero
comportare.
La favola del complotto di Mosca dietro
all’occupazione degli edifici governativi a Donetsk, Slavyansk, Kharkiv,
Lugansk e altre località dell’Ucraina orientale è comunque smentita
anche dalla crescente partecipazione alle proteste contro il regime di
Kiev di alcune sezioni dei lavoratori dell’industria pesante indigena
strettamente legata al mercato russo.
Alcuni media anche
occidentali hanno raccontato, ad esempio, della mobilitazione dei
minatori della regione del Donbas, molti dei quali stanno sorvegliando
gli edifici occupati e affermano di essere motivati dalla loro ferma
opposizione alle politiche del nuovo governo centrale e dai timori per
lo strapotere di milizie neo-fasciste, come il cosiddetto “Settore
Destro”.
Le
prospettive economiche dell’Ucraina, in particolare, suscitano estrema
apprensione, con ogni probabilità non solo tra la popolazione
filo-russa. Il prestito da 27 miliardi di dollari promesso dal Fondo
Monetario Internazionale, infatti, richiederà misure di ristrutturazione
e di devastazione sociale nel paese, con conseguenze molto pesanti
soprattutto per i dipendenti dell’industria pesante nell’Ucraina
orientale, decisamente poco competitiva sui mercati globali.
La
minaccia alla maggioranza filo-russa, nonostante le rassicurazioni di
Kiev e dell’Occidente, è più che mai concreta, visto che le
organizzazioni neo-fasciste che avevano contribuito in maniera decisiva
alla deposizione dell’ex presidente Yanukovich sembrano pronte ad
intervenire nuovamente.
I membri di “Settore Destro”,
soprattutto, sono stati chiamati alle armi dal loro leader, Dmitri
Yarosh, il quale ha lanciato un appello alla mobilitazione per
“difendere la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina”,
chiedendo alla popolazione di aiutare la sua milizia “a ristabilire
l’ordine e la legalità”.
Simili appelli mettono i brividi a
molti, dal momento che queste ed altre formazioni armate di estrema
destra sono responsabili in larga misura della strage di manifestanti
avvenuta nelle fasi finali della battaglia per la rimozione di
Yanukovich nel febbraio scorso.
Che i cecchini responsabili dei
decessi fossero membri dell’opposizione è stato confermato recentemente
anche da un’indagine della TV tedesca ARD, secondo la quale
sarebbe perciò confermata la tesi sostenuta qualche settimana fa dal
ministro degli Esteri estone, Urmas Paet, nel corso di una sconvolgente
conversazione telefonica apparsa in rete con la responsabile della
politica estera UE, Catherine Ashton.
La “rivoluzione
democratica” ucraina si è dunque realizzata grazie anche a forze simili -
protagoniste nei mesi della lotta contro il governo di Yanukovich
dell’occupazione di edifici governativi come sta ora accadendo
nell’Ucraina orientale - nonché alla promozione da parte dell’Occidente
di politici e partiti di destra, pronti a favorire la penetrazione di
Washington o Berlino in un paese strategicamente cruciale per la Russia.
La
prevalenza di formazioni ultra-reazionarie e apertamente razziste ha
determinato l’inevitabile quanto limitato intervento della Russia in
Crimea, strumentalizzato dall’Occidente per giustificare un ampliamento
drammatico - e previsto da tempo - delle operazioni e della presenza
NATO in svariati ex satelliti sovietici.
La trasformazione della
Russia nell’aggressore è stata resa possibile infine da un’incessante
propaganda orchestrata dagli stessi governi e media occidentali, in
collaborazione con il nuovo regime-fantoccio di Kiev, pronto ad agitare
continuamente lo spettro dell’invasione del paese da parte delle forze
di Mosca.
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