C’è una battuta popolare in Veneto – smata el botòn che vien fori il macaco – che indica la situazione in cui uno sbotta su un tasto al quale si sente particolarmente sensibile. Dunque quando tocchi quel tasto (il bottone) viene fuori il pupazzo a molla dalla scatola (il macaco).
La vicenda dei secessionisti veneti arrestati ieri presenta indubbiamente aspetti grotteschi, sia per i personaggi che per la solerzia con cui i Ros dei carabinieri hanno messo in campo un'operazione che presenta molti punti deboli, almeno dal punto di vista probatorio. Una settimana fa, in Veneto, c’era stato un referendum online nel quale la maggioranza si era dichiarata favorevole all’indipendenza della regione da “quelli di Roma”. Alcuni avevano invitato a non sottovalutare il fenomeno, altri lo hanno “depotenziato” (due milioni di voti sono un'enormità che suscita sorrisi, prima ancora che dubbi), altri non lo hanno ritenuto politicamente pericoloso. Magistrati e carabinieri hanno invece valutato che fosse arrivato il momento di passare all’azione “in via preventiva”, prima che l’attività di gruppetti secessionisti si tramutasse in iniziative clamorose e penalmente più rilevanti. Il tank ricavato da un trattore, trovato nel capannone di uno degli arrestati, è diventato nuovamente l’immagine di una realtà posta in mezzo, tra il dramma e la pantomima.
Nei prossimi giorni la matassa verrà dipanata anche sul piano giudiziario, ma sul piano politico sono già in corso operazioni da “guerra sporca” che cercano di sfruttare a proprio vantaggio l’impatto politico, emotivo e mediatico dell’avvenimento, ben al di là dei suoi protagonisti. Il tasto è stato toccato, ma quale "macaco" sta venendo fuori? Un esempio di questa strumentalizzazione “finalizzata a...” viene dal Corriere della Sera di oggi. Uno dei suoi più importanti commentatori – Dario Di Vico – si è incaricato di andare oltre la cronaca e di tracciare alcune linee di lettura dell’affaire veneto. I folkloristici indipendentisti veneti hanno toccato il bottone e così, dalla scatola, è venuto fuori un pupazzo a molla del “potere vero”. Proviamo a decostruire alcuni passaggi dell’articolo di Dario Di Vico sul Corriere della Sera di oggi.
“Qual è il reale livello di pericolosità della combriccola venetista? In tutta onestà riesce difficile, in base alle cose che pure abbiamo appreso, considerarla un focolaio di partito armato e terrorista”, scrive Di Vico. Quindi gli indipendentisti veneti non sono terroristi sovversivi, al massimo “folkloristici”. Invece, secondo De Vico e il Corriere, i sovversivi veri e pericolosi in giro sono decisamente altri. Quali? “Forse ci sono in questo momento in Italia serbatoi di eversione decisamente più collaudati, meno folcloristici e che hanno però il pregio di piacere tanto agli intellettuali engagé”. Il riferimento al movimento No Tav e a quanti lo appoggiano (Erri De Luca, Benni, Evangelisti, ecc.) è piuttosto implicito. Diventa esplicito nel passo successivo: “E se proprio vogliamo riandare alle confuse giornate di fine 2013 gli episodi più crudi si erano verificati a Torino — e non in Veneto — dove un inedito mix di ultras del calcio, ambulanti del commercio e improvvisati forconisti aveva tenuto in scacco la città per tre giorni”.
Dunque, secondo il Corriere della Sera, il momento più “eversivo” dei Forconi sarebbe stato a Torino; lì dove ci sono i No Tav, quelli di Askatasuna, ecc; e non in Veneto, dove al massimo si sarebbero manifestati personaggi un po’ grotteschi ma niente affatto pericolosi.
Il Corriere della Sera e le forze sociali che rappresenta colgono insomma la palla al balzo per piegare doppiamente a proprio favore la spinosa “questione dell’indipendentismo veneto”. Da un lato insiste nella campagna di criminalizzazione dei movimenti sociali antagonisti, dall’altra pigia l’acceleratore sulle controriforme costituzionali.
Anche qui la “comprensione” verso le aspirazioni dei secessionisti veneti si volge immediatamente come minaccia verso altre istanze. De Vico scrive infatti che “Se invece discutiamo del futuro del nostro Paese e di come risorgere dopo la Grande Crisi, non si possono far sconti a nessuno. Nel riordino istituzionale che ci accingiamo a implementare, pur tra contrasti, stiamo rivisitando l’idea di toccare di nuovo il Titolo V della Costituzione e più di qualcuno sostiene che hanno sempre meno senso le Regioni a statuto speciale, che una volta dovevano servire a tutelare le minoranze linguistiche. In più siamo completamente immersi nell’economia globale e non ci sono scorciatoie per uscirne, non ci possiamo dimettere da Paese industriale avanzato”. Come dire, gli indipendentisti veneti sono andati un po’ su di giri però sono innocui, ma la riorganizzazione autoritaria dello Stato va portata avanti con la determinazione adeguata a quella di una potenza capitalista industrializzata, senza fare sconti a nessuno. Soprattutto a quelli che folkloristici non sono né intendono esserlo, appunto.
Oltre alla Lega, anche uno dei leader dei Forconi siciliani, Martino Morsello – spesso contestato da altri esponenti del movimento – ha espresso “piena solidarietà al popolo veneto distrutto e al suo leader Chiavegato”. Quest’ultimo come noto, è uno dei leader dei Forconi del Nordest. Era parte del triumvirato (insieme a Ferro e Calvani) che aveva lanciato e gestito le proteste partite a dicembre scorso dal “Coordinamento 9 dicembre”. Poi gli equilibri e i rapporti interni si sono rotti. Il forcone littorio Calvani provò la forzatura con la manifestazione a Roma (quella con Casa Pound) ma il flop abbassò l’attenzione mediatica sui Forconi. Una costola di quel mondo, stando a quello che scrivono e confermano anche in queste ore, vorrebbe addirittura partecipare alla manifestazione del 12 aprile contro la Troika, il Jobs Act, per la casa e il reddito. Si tratta di un mondo identificabile sul piano sociale ma non pienamente intelligibile sul piano politico, anzi più lo si vede da vicino e più se ne intravedono la distanze da istanze di classe e antagoniste. Ma fenomeni e dinamiche come queste – dai Forconi all’ambizione indipendentista del Veneto – si produrranno sempre più spesso e le letture sociologiche prima o poi diventano inservibili sul piano politico. Un buon motivo per i movimenti e le organizzazioni anticapitaliste per mettere mano a identità politiche e piattaforme politico sociali più chiare di quelle espresse fino ad oggi, prima è, meglio è.
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