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15/04/2014

Tunisia - Controrivoluzione: scagionati gli uomini del regime di Ben Alì

Ergastolo per il deposto presidente tunisino Zine el-Abidine Ben Ali (condannato in contumacia), libertà per il suo ex Ministro degli Interni e per il suo Capo della Sicurezza. Queste sono le principali decisioni della sentenza di sabato notte pronunciata dal Tribunale militare di Tunisi in un processo che durava da tre anni. Cadute per prescrizione (o già scontate) le condanne anche per molti altri ufficiali del regime di Ben Ali la maggior parte dei quali era stata arrestata subito dopo la sua deposizione.

Tra gli accusati vi erano importanti nomi del passato regime di Ben Alì: i primi ministri Rafiq al-Hajj Qassem e Ahmed Fureira, il direttore generale della sicurezza presidenziale Ali al-Seriati, il Brigadiere Generale nelle forze d’intervento Jalal Boudriqa, l’ex direttore generale della Sicurezza Lutfi al-Zawwari, il direttore generale della Sicurezza nazionale Mohammed al-Adel al-Tuwiri, il comandante della Guardia nazionale Mohammed al-Amin al-Aabed e altri ufficiali di sicurezza.

La decisione ha scatenato la rabbia delle famiglie delle vittime. “E’ una messinscena. Troveremo giustizia in un altro modo. Inizieremo un’altra rivoluzione” ha detto Ahmed Amri, fratello di una delle vittime. La decisione di sabato pone un grosso interrogativo: se non è stato il regime, chi ha ucciso allora quei manifestanti tre anni fa? Alcune fonti sostengono che i responsabili degli omicidi siano stati cecchini stranieri arrivati in Tunisia per creare uno stato di agitazione così da costringere Ben Ali a lasciare il potere. Argomentazione discutibile e comunque troppo assolutoria verso un regime brutale contro qualunque forma di opposizione durante i suoi 24 anni di governo. Più di 300 sono stati i manifestanti uccisi nei giorni della “rivoluzione” che ha portato alla deposizione di Ben Ali il 14 gennaio.

Una degli avvocati delle vittime, Laila Haddad, ha annunciato il suo ritiro da tutti i casi accusando il sistema giudiziario, la classe politica e i partiti di aver tradito il sacrificio dei “martiri”. Eppure le cose sembravano potessero andare diversamente all’indomani della caduta di Ben Ali. Gli uomini del regime venivano arrestati per corruzione, per uso illecito di denaro pubblico. Le loro proprietà venivano confiscate dalla magistratura. Molti si illusero che questi primi provvedimenti potessero rappresentare un “nuovo inizio” verso una “nuova Tunisia” per la quale centinaia di tunisini erano morti. Un sacrificio che, per quanto doloroso, sembrava aver avuto un senso. Il verdetto di sabato mostra amaramente quanto siano illusorie al momento quelle speranze. Inoltre ha un significato politico chiaro: il regime è vivo e ha ancora molta influenza in alcune importanti istituzioni.

La transizione politica che la Tunisia sta vivendo in questi anni è spesso descritta dai media occidentali e da alcuni commentatori arabi come un “modello riuscito”. Nonostante gli omicidi politici (Belaid e Brahimi), la crescente forza di gruppi  salafiti, la guida fallimentare degli islamisti di an-Nahda, il duro scontro tra governo e opposizione, la Tunisia è stata vista come modello vincente post-rivoluzionario (soprattutto se paragonata a quanto accade in Libia ed Egitto). Il compromesso raggiunto dagli islamisti al governo con le forze di opposizione a inizio anno è stato salutato con gioia nelle cancellerie occidentali ed è stato letto come prima tappa verso la democrazia. L’assoluzione degli uomini di Ben Ali, invece, mostra con tutta evidenza come la strada verso una “nuova Tunisia” sia ancora lontana perché il regime, con nomi diversi, è ancora presente. L’unico modo per sbarazzarsene è continuando la rivoluzione.

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