I punti dell’accordo sono cinque:
a) i palestinesi concordano al prolungamento delle
trattative di pace iniziate lo scorso luglio fino al 2015. In questo
arco di tempo non potranno avanzare richieste unilaterali all’Onu;
b)
Prima della Pasqua ebraica gli Usa libereranno Yonathan Polard
[arrestato a Washington nel 1985 e condannato ad ergastolo per aver
spiato gli Stati Uniti a favore d'Israele, ndr];
c) Israele rilascerà
l’ultima tranche di prigionieri palestinesi la cui liberazione era stata
imposta dall’amministrazione americana come “gesto di buona volontà”
per riportare in vita il fermo “dialogo per la pace”. Tra i prigionieri
vi sono anche i 14 palestinesi cittadini d’Israele.
d) Tel Aviv si
impegna anche a liberare altri 400 carcerati palestinesi “le cui mani
non sono sporche di sangue” a cui sono rimasti da scontare pochi mesi di
detenzione. La lista dei nomi sarà decisa però da Israele e comprenderà
minori e donne;
e) Israele si impegna ad un “breve congelamento” di
otto mesi nella maggior parte delle colonie, tranne a Gerusalemme Est.
Continuerà invece una costruzione “ristretta” nei piccoli insediamenti
che non rientrano nei blocchi delle colonie.
Secondo un alto ufficiale americano, la
liberazione di Pollard deve essere letta in un contesto più ampio e non
solo all’interno del rilascio dell’ultima tranche di prigionieri
palestinesi. “La chiave” – ha assicurato – “sarà una grossa
rinuncia americana in cambio di una grossa rinuncia israeliana (Big for
Big)”. Essendo un tema spinoso negli Usa, la liberazione di Pollard
potrà però avvenire solo previa approvazione del Presidente Usa Barak
Obama. L’Intelligence statunitense si oppone alla scarcerazione della
spia e la possibilità di un suo rilascio ha da sempre infastidito molti
rappresentati dell’attuale governo americano. Il fatto che le due parti
sembrano ora essere convenute su questo punto spinoso (cosa impensabile
solo poco tempo fa) mostra quanto sia disperata la dirigenza americana
nel suo tentativo goffo di ravvivare “colloqui di pace” mai nati.
Inoltre mostra nuovamente come la capacità negoziale di Washington con
il “fedele alleato israeliano” sia inconsistente.
Neanche il tempo che filtrano i dettagli
dell’accordo tra Tel Aviv e Washington che sta già nascendo un (nuovo)
caso politico all’interno della maggioranza di estrema destra del
governo israeliano. Secondo il Ministro della Costruzione e
dell’Abitazione Pubblica, Uri Ariel, Pollard non accetterebbe mai di
essere rilasciato a queste condizioni. Intervistato stamane dalla radio
militare Ariel, membro del partito dei coloni “Casa Ebraica”, si è detto
contrario a qualunque rilascio di prigionieri palestinesi.
“Personalmente mi è stato detto che [Pollard, ndr] è contrario ad essere
rilasciato per questo disonorevole scambio”. Ariel, non sazio
dell’accordo favorevolissimo per Israele, ha detto che la spia detenuta
negli Stati Uniti deve essere rilasciata incondizionatamente e non deve
essere barattato con “assassini” palestinesi.
Ora la palla passa a Ramallah in una partita in ogni caso persa in partenza. Se alla fine concorderà con Washington e Tel Aviv, oltre a perdere quel poco di credibilità che ancora le resta di fronte al suo popolo, sarà umiliata nuovamente dai futuri capricci di Tel Aviv e dal silenzio della comunità internazionale. Nei pochi feudi rimasti in suo possesso assisterà inerte alla sparizione delle ultime briciole di Palestina storica. Nel caso invece dovesse rifiutare la nuova “generosa offerta”, l’Autorità Palestinese sarà additata dalla comunità internazionale come l’unica responsabile del fallimento della pace.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento