Il giuramento del governo palestinese (foto Reuters) |
Netanyahu si sente tradito soprattutto dagli alleati americani, ma non ha alcuna intenzione di porgere l’altra guancia. Ieri il premier e buona parte del governo hanno lanciato il contrattacco accusando l’Amministrazione americana di «ingenuità». Un’azione corale che ha avuto la sua punta più avanzata nel primo ministro. «Sono profondamente turbato dall’annuncio che gli Usa lavoreranno con il governo palestinese appoggiato da Hamas che ha ucciso innumerevoli civili israeliani», ha commentato il primo ministro. Poco dopo Netanyahu ha rincarato la dose durante un colloquio telefonico con Francois Hollande. Dopo aver ringraziato il presidente francese per l’arresto del sospettato per il recente attentato di Bruxelles, ha proclamato che «L’unità palestinese con l’appoggio di Hamas è un passo contro la pace e a favore del terrorismo. Sarebbe uno sbaglio dargli la legittimazione». Pesanti i commenti di altri esponenti del governo. Per il ministro delle comunicazioni Gilad Erdan «l’ingenuità americana ha superato tutti i record». Per il suo collega della sicurezza nazionale, Yuval Stenitz, gli alleati statunitensi hanno due voci: «Non potete presentarlo privatamente come un governo di Hamas per poi dire pubblicamente che è formato da tecnici».
Il premier israeliano Netanyahu e il presidente palestinese Abu Mazen |
Il capo negoziatore palestinese Saeb Erekat ieri non stava nella pelle. Ironizzava sul premier israeliano. «Se Madre Teresa fosse il presidente palestinese, Thomas Jefferson primo ministro e Montesquieu presidente del parlamento palestinese, Netanyahu li accuserebbe di non essere buoni partner per la pace», ha commentato facendo sfoggio di cultura politica. E invece non è il caso di scherzare perché i palestinesi non hanno ancora conquistato nulla e non possono rallegrarsi più di tanto per una occasionale presa di posizione degli Stati Uniti che non cambia nella sostanza la linea americana in Medio Oriente. Le aspirazioni palestinesi perciò restano al palo. A ricordarlo è il 47esimo anniversario dell’occupazione israeliana di Cisgiordania e Gaza che cade proprio in questi giorni. Ieri i soldati hanno ucciso un uomo nei pressi di Nablus (era armato secondo il portavoce militare), portando a oltre 60 il numero dei morti palestinesi in Cisgiordania dallo scorso luglio, quando ripresero i colloqui bilaterali mediati dagli Usa.
Le punizioni israeliane si annunciano pesanti, a cominciare dalle misure per impedire la partecipazioni dei candidati di Hamas alle elezioni parlamentari e presidenziali previste entro sei mesi. L’ultranazionalista ministro dell’economia Naftali Bennett, continua a lanciare appelli per l’annessione immediata a Israele dell’area C (il 60% della Cisgiordania) e a una colonizzazione ad alta velocità. Altrettanto dure saranno le sanzioni economiche, a cominciare dal blocco dei fondi palestinesi (tasse e dazi doganali) per un ammontare di 100 milioni di dollari al mese. E il nuovo esecutivo di consenso nazionale dovrà pensare anche a come coprire i buchi di bilancio del disciolto governo di Hamas a Gaza, giunto con le casse vuote all’appuntamento della riconciliazione e 50mila dipendenti pubblici e miliziani sulle spalle. Il Qatar si dice pronto a coprire per qualche mese il costo della “unificazione amministrativa” ma non durerà per sempre.
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