I cinque sono l’ex presidente Alì Abdullah
Saleh, suo figlio Ahmed Alì (in passato Brigadiere Generale della
Guardia Repubblica in seguito nominato ambasciatore negli Emirati Arabi
Uniti) e tre importanti ribelli huthi: il leader Abdul Malik al-Huthi,
suo fratello Abdul Khaleq e il capo militare Abu Ali al-Hakem.
Secondo il rapporto, Saleh – il cui governo trentennale è terminato in seguito alle proteste popolari del 2012 – utilizza l’attuale caos politico in cui versa lo Yemen per ristabilire la sua influenza all’interno del Paese.
Molti analisti sostengono che vi è una alleanza segreta tra Saleh e i ribelli huthi
(appartenenti quest’ultimi alla branca dello sciismo zaidita). Senza il
sostegno del’ex Presidente, argomentano i commentatori, gli huthi non
sarebbero riusciti a controllare molte parti del Paese (tra cui la
capitale Sana’a).
Tuttavia, punirli con lo strumento delle sanzioni si rivelerà di poca utilità:
Saleh, infatti, gode dell’immunità diplomatica e i tre ribelli huthi
hanno al momento un ruolo così importante (militarmente e
diplomaticamente) che sarà difficile condannarli. Inoltre, non avendo
conti bancari e non viaggiando, non ne sarebbero molto colpiti.
Lo scorso febbraio il Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite ha stabilito di punire con le sanzioni coloro che in Yemen
ostacolano la transizione politica del Paese o commettono gravi
violazioni dei diritti umani. Una decisione che fino a ieri era restata
lettera morta: nessuno, infatti, era stato colpito dalla disposizione
dell’Onu.
Intanto, nel disinteresse delle cancellerie
occidentali, proseguono le violenze nel Paese. Ieri almeno 33 persone
sono morte in un attentato suicida e in scontri armati avvenuti nella
provincia di Bayda’a. Gli attacchi sono stati rivendicati dal gruppo
qaedista degli Ansar al-Sharia. Il gruppo fondamentalista islamico,
inoltre, ha dichiarato di aver rapito 12 ribelli huthi.
Residenti e attivisti locali hanno detto che i miliziani di al-Qaeda sono entrati ad Odayn
[città di 200.000 abitanti nella provincia di Ibb, ndr] e hanno
occupato i suoi offici governativi su cui hanno issate le loro bandiere
nere. Ma i fondamentalisti islamici hanno colpito anche l’aeroporto
militare di Umm al-Maghareb nella provincia orientale di Hadramout (non
molto lontano dal confine saudita) saccheggiando notevoli quantità di
materiale militare.
Le condizioni di sicurezza in Yemen sono deteriorate
da quando lo scorso mese i ribelli huthi hanno preso il controllo della
capitale Sana’a e di ampie zone del Paese. Le loro rapide conquiste
hanno scatenato l’offensiva terroristica di al-Qa’eda la quale considera
gli sciiti huthi “eretici” e, politicamente, li reputa pedine nelle
mani di Tehran.
A complicare il già complesso quadro yemenita, vi sono poi i secessionisti del sud che chiedono a gran voce l’indipendenza. Secondo gli analisti una eventuale divisione del Paese darebbe ad al-Qa’eda maggiore libertà di azione nelle province meridionali dove è già molto forte nonostante le ripetute campagne militari di Sana’a (con l’aiuto dei droni statunitensi) abbiano allontanato i fondamentalisti dalle principali città prima sotto il loro controllo.
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