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09/06/2015

Il sorriso vincente della Turchia multietnica

Mentre il sud-est della Turchia - quel Kurdistan di casa il cui solo pensiero irrita i nazionalisti - festeggia ormai da ventiquattr’ore piene; mentre i politologi azzardano coalizioni possibili oppure spericolate, ora che anche Erdoğan ha smussato la boria e assunto toni da presidente parlando di collaborazione fra i partiti nell’interesse nazionale; mentre l’Akp inizia a scrutare quali fili della sua lampadina-simbolo siano andati in corto, è interessante capire come ha funzionato l’effetto amalgama del partito sorpresa: quello Democratico del popolo (Hdp). Che è certamente filo kurdo e nasce dal corpo ben strutturato nelle province orientali, dove il partito della Pace e democrazia (Bdp) lavorava dal 2008 e organizzava cittadini, lavoratori amministrando piccoli centri e grandi città come Diyarbakır, ma la mossa vincente prende corpo tre anni fa. Con la costruzione d’un braccio politico del Congresso democratico del popolo, chiamato Halkların Demokratik Partisi, che si dà come primo punto il principio anti-nazionalista. Piccola parentesi: mettete di fronte l’avvocato Demirtaş col suo sorriso accogliente e l’arcigno Bahçeli, un economista che appare molto più anziano degli attuali 67 anni. Vedrete due mondi, un futuro che è già presente e lo spettro d’un passato che tende a perpetuarsi. Soprattutto perché circa sei milioni di kemalisti perbenisti, ma anche di fascisti, lupi grigi, militari golpisti e paramilitari d’ogni risma lo seguono e l’hanno rivotato.

Eppure nella Turchia dai cento e uno volti, accanto alle statistiche indagate dagli analisti intenti a comporre puzzle post-voto, la modernità è tutta in questo partito che disarticola una delle retoriche pattriottarde più dure a morire. Unisce anziché proclamare separatismi. E raccoglie quelle etnìe che il vecchio kemalismo schiacciava e quello di ritorno vorrebbe evanescenti, facendo finta che aleviti, armeni, yazidi, azeri, circassi, kurdi non esistessero, oppure oblìassero il passato, mentre li lusinga col consumismo laico o islamico. L’Hdp riunisce quelle identità che osano dire no a uno Stato che resta militarista e ripropone dogmi autoritari pur su uno skyline di moschee. Il partito Democratico del popolo avvicina cittadini, credenti o meno, perché il confessionalismo non è nelle sue mire, dispiega la bandiera dell’anticapitalismo, raccoglie ideali socialisti. Mette al centro del programma questioni presenti nella società: la parità nella politica (Demirtaş dirige con Yüksekdag e il partito colloca in Parlamento 31 deputate), il ruolo della donna e le relazioni fra generi, compresa quell’omosessualità osteggiata dagli omofobi. Pone attenzione alla democrazia e alla libertà dell’individuo, ai diritti civili, all’ambiente in cui si vive. Temi importantissimi ma non nuovi; lo diventano nella Turchia a una dimensione che Erdoğan e Davutoğlu avevano confezionato in tredici anni di governo dal sapore di regime. Un regime da cui hanno iniziato a distaccarsi pezzi di elettorato islamista. Nella tabella sottostante compaiono le percentuali di voti indirizzati all’Akp in alcuni distretti del sud-est nelle due ultime consultazioni. Considerando che in quelle aree la presenza kurda è elevatissima si può notare come il partito islamico riusciva a raccogliere consensi anche fra costoro.

Politiche 2011                 Politiche 2015
ŞIRNAK          20,64 %                                 10,63 %
AĞRI              47,54 %                                18,64%
SİİRT              48,09 %                                27,93 %
BİTLİS            50,62 %                                 31,74 %
MUŞ               42,86 %                                 35,25 %
VAN                40,18 %                                 22,78 %
BİNGÖL         67,06%                                  52,40 %
AMED            32,88 %                                 15,47 %
URFA             64,80 %                                 48,53 %
ELAZIĞ          67,39 %                                 53,28 %
ERZURUM    69,25 %                                 54,63 %
HAKKARİ      16,42 %                                 11,36 %
ERZİNCAN   57,39 %                                 52,92 %
ANTEP           61,85 %                                 47,16 %
MARAŞ          69,62 %                                 61,77 %
fonte Uiki

Ora sempre meno, perché quell’illusione sta svanendo. Per ora non abbiamo cifre di restanti distretti turchi, ma forse anche lì s’è creata più di qualche crepa. Certo, un elettorato del 41% a sostegno dell’Akp è tuttora una massa immensa. Lo zoccolo duro anatolico, che non vuole distaccarsi dal paradiso di certezze che l’uomo della provvidenza islamica elargiva e prometteva, resiste. Però l’orizzonte s’oscura. Dopo il giorno del voto e la notte dei risultati, la mattinata seguente delle Borse è stata travagliata e la politica interna turca inizia a fare i conti con le ingerenze compiute dai mercati su una fase che diventa incerta. L’odierna discesa del 5% della lira, il crollo di 8 punti della Borsa turca rappresentano i prodromi di tumulti che potranno seguire. E questi possono continuare a incrinare le convinzioni d’un elettorato che si sentiva rassicurato dalla grande espansione della nuova Turchia. Con economia e mercati dovrà fare i conti anche il pezzo di società democratica oggi in festa. Il suo anticapitalismo lo troverà in sintonìa con tanto antagonismo sparso qua e là, d’opposizione o di governo, se per quest’ultimo s’intende quella sinistra europea che da Syriza a Podemos ha trovato seguito fra le speranze popolari. Sponde, confronti e paralleli li hanno finora proposti solo taluni media, prevalentemente mainstream, magari a caccia di sensazionalismo. Quello che Hdp e il panorama turco di fatto offriranno lo scopriremo direttamente dai protagonisti.

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