di Chiara Cruciati – Il Manifesto
In Medio Oriente si gioca
ormai a carte scoperte e la Russia pare avere in mano l’asso
pigliatutto. Non solo in Siria: dopo l’apertura di un centro direzionale
congiunto con iracheni, iraniani e siriani a Baghdad, ieri l’Iraq ha
aperto all’intervento di Mosca. «Potremmo essere spinti a chiedere alla
Russia di lanciare raid aerei in Iraq presto – ha detto ieri il
presidente del comitato alla Difesa del parlamento iracheno, Hakim
al-Zamili – Nei prossimi giorni o settimane decideremo, in base al loro
successo in Siria. Pensiamo che la Russia potrà avere un maggiore ruolo
in Iraq. Sì, definitivamente maggiore degli americani».
L’aviazione di Mosca potrebbe volare anche sui cieli del
primo paese a subire l’offensiva dell’Isis e ancora alle prese con
un’occupazione di un terzo del proprio territorio, mai scalfita da oltre
un anno di bombardamenti Usa. Una coalizione inefficace a cui
però l’Italia tenta di accodarsi: ieri il ministro della Difesa di Roma,
Roberta Pinotti, durante un incontro con il segretario alla Difesa Usa,
Carter, ha parlato della necessità di fare di più contro l’Isis e della
possibilità che i Tornado siano utilizzati per azioni che vadano al di
là della mera sorveglianza.
Roma cerca di ritagliarsi uno spazio nel vasto raggio
dell’interventismo internazionale, ma a guidare le danze è Mosca: la
Duma, fa sapere la portavoce della camera alta, è pronta a valutare la
richiesta irachena. La dichiarazione di al-Zamili – rilanciata più tardi
dal premier al-Abadi – è di centrale importanza per il destino della
regione: la Russia, in pochi mesi, si sta garantendo il
controllo della lotta al terrorismo dello Stato Islamico, in stretta
cooperazione con l’Iran e, quindi, indirettamente con le decine di
milizie e i migliaia di miliziani sciiti che Teheran gestisce sul
terreno siriano e iracheno.
Le conseguenze stravolgerebbero i piani di ridefinizione del Medio
Oriente, immaginati unilteralmente da Casa Bianca, Golfo e Turchia. A
chi prospettava una trasformazione dei confini e delle zone di
influenza a seguito dell’imposizione della narrativa di Stati Uniti e
alleati, la Russia risponde con un fronte nuovo e potente, perché
concreto ed efficace. Nella pratica, ciò si tradurrà nell’imposizione
delle necessità russe: sbocco sul Mediterraneo, controllo delle risorse
petrolifere, rafforzamento dell’asse sciita. Soprattutto se si
realizzerà un intervento in Iraq, il secondo paese più ricco di greggio
della regione e oggi dipendente dal sostegno finanziario e militare Usa.
Se la Russia entrasse nei cieli iracheni, lo sciita al-Abadi non
dovrebbe più mediare tra Casa Bianca e Iran, altro sostenitore di
Baghdad, e liberare dal giogo dei diktat statunitensi le milizie sciite
sul campo.
Gli effetti si vedono già: ieri le forze governative irachene
– in stallo da settimane dopo vuote promesse di offensive contro lo
Stato Islamico, mai realmente ricostruitesi dopo le epurazioni imposte
dall’occupazione Usa – hanno riassunto il controllo di zone a nord e a
ovest di Ramadi, città capoluogo della provincia sunnita di
Anbar, caduta in mano al califfato a maggio. Ripresa anche la principale
strada a ovest della città che, dice il consiglio provinciale di Anbar,
servirà a lanciare la definitiva offensiva per la sua liberazione.
Magari con la copertura aerea russa, visto che la scorsa settimana il
colonnello Usa Steve Warren, portavoce della coalizione a Baghdad, aveva
detto che l’operazione per Ramadi doveva essere messa in standby.
Copertura che anche in Siria viene usata dal governo nel centro e
nell’ovest del paese: ieri un funzionario siriano, rimasto anonimo, ha
annunciato il lancio di un’ampia controffensiva via terra, nelle
province di Hama e Idlib, in parte in mano ad al-Nusra e alla
federazione di gruppi satellite, Jaish al Fatah (Esercito della Conquista), ma costantemente sotto la minaccia dell’Isis.
Conferme giungono dall’organizzazione di opposizione Osservatorio
Siriano per i Diritti Umani che ha parlato «dei più intensi
combattimenti da mesi». Gli fa eco il leader del gruppo Tajammu Alezzah,
sostenuto dagli Usa, secondo il quale ai combattimenti avrebbero preso
parte soldati iraniani e russi.
Nelle stesse ore dal mar Caspio le navi da guerra russe lanciavano missili verso il territorio siriano.
Il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, ha fatto sapere che quattro navi da guerra hanno lanciato 26 raid contro 11 postazioni dello
Stato Islamico, tenendo a sottolineare che nessun missile è stato
diretto verso centri abitati. Ha poi ribadito l’intenzione di coordinare
le proprie azioni con Turchia e Stati Uniti perché «senza il supporto
di tutti, non risolveremo il problema».
In una settimana, i 112 raid dell’aviazione russa si sono concentrati
sul nordovest e il centro del paese, ma anche nella regione orientale
di Deir Ezzor, al confine con l’Iraq. Aree strategiche: strappare
Idlib, Aleppo, Hama ai gruppi di opposizione significherebbe riassumere
il controllo di una buona fetta di paese e impedire l’avvicinamento
delle milizie anti-Assad a Damasco e alla costa, tuttora in mano al
governo. A ovest, i raid su Deir Ezzor creano il ponte che Mosca cerca
quando dialoga con Baghdad e che taglierebbe le vie di rifornimento e transito dell’Isis da una parte all’altra del confine.
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