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02/09/2016

Qualcosa di più di un terremoto

Dopo una prima nostra presa di parola in cui sottolineavamo l’ipocrisia del governo e l’uso strumentale che si fa delle emergenze, ritorniamo ancora una volta sul terremoto del Centro Italia, forti anche dei racconti di alcuni nostri compagni che lì si sono recati in questi giorni e che vi torneranno in futuro, al fianco dei compagni della Brigata di Solidarietà Attiva.

Arrivando ad Amatrice nei giorni dopo il sisma, la prima cosa che si nota è – oltre ad un imponente dispiegamento di forze e mezzi dell’esercito, che formano due file di mezzi parcheggiati per circa 2km – una spropositata quantità di giornalisti e troupe televisive che fanno a spallate per aggiudicarsi l’inquadratura con la maceria più spettacolare.

Un intasamento che ha peraltro come conseguenza che i mezzi di soccorso quali ambulanze e vigili del fuoco (gli unici utili in questo contesto) abbiano non poche difficoltà a raggiungere la cosiddetta zona rossa, spesso costretti ad aspettare che qualche dozzina di camion o cellulari facciano manovra per farli passare.

È interessante notare come questa necessità di “profitto mediatico” faccia a cazzotti con le reali necessità della popolazione, che di tutto ha bisogno fuorché di essere costantemente sotto assedio per vedersi estorta l’intervista più struggente da dare in pasto al grande pubblico.

Allo stesso modo i volontari de La Salamandra CPI – associazione di protezione civile di CasaPound il cui responsabile, Pietro Casasanta, è stato condannato a 1 anno e 8 mesi per aver favorito la latitanza di un trafficante internazionale di droga legato alla camorra, fornendogli documenti falsi (leggi) – entravano nella zona rossa solo per farsi fare foto e video vicino alle macerie, senza mai essere realmente utili, solo a caccia di un ritratto mediatico della loro presenza.

Questa è la dimostrazione di come un’emergenza diventi un pretesto per farsi pubblicità o per orientare l’opinione pubblica, in base al ruolo e alla funzione sociale che si ha. Se un micropartito di (post)fascisti sfrutta l’occasione per lanciare la propria associazione, fino a quel momento servita per rimediare soldi pubblici in microappalti da sciacalli o per scopi anche più oscuri, e racimolare un briciolo di consenso facendosi i selfie davanti a presunte raccolte alimentari, al momento inutili dato l’esiguo numero di sfollati – si parla di un migliaio e rotti di presenze in ben quattordici campi – allo stesso modo un governo in crisi nera di consenso dopo le amministrative cerca un’ancora di salvezza nella gestione dell’emergenza, come fece Berlusconi nel 2009. Per non parlare poi dell’inutilità di chi denuncia i trattamenti di favore riservati agli immigrati richiedenti asilo politico e i soldi loro destinati rispetto ai terremotati.

Lo scollamento dagli interessi reali della popolazione diventa ancora più evidente di fronte alla progressiva blindatura dell’area ai solidali che accorrono da ogni dove, volendo ritagliare alla Protezione Civile e alle altre associazioni accreditate, come l’Ordine di Malta e Save the Children ad esempio, il ruolo esclusivo di aiuto nell’emergenza. E poco importa se le forze non sono sufficienti nemmeno per mettere in ordine i vestiti o gli alimenti che arrivano o se i superstiti che si trovano nei campi non hanno nulla da fare tranne che rimanere a rimuginare sulla tragedia che stanno affrontando.

Mentre ancora si tirano fuori i corpi, purtroppo per lo più senza vita, dalle macerie dei paesi distrutti, fiumi di inchiostro e di bit sono già stati spesi nel sottolineare le insufficienze delle istituzioni. Già le procure aprono inchieste su disastri colposi e gli amministratori locali gridano contro i costruttori per un utilizzo eccessivo di sabbia nella costruzione dei palazzi.

Per noi è un film già visto e ci ricorda quanto accadde a L’Aquila nel 2009 quando crollò l’ospedale “San Salvatore” e a nulla valse l’inchiesta, chiusa qualche anno dopo con quattro assoluzioni.

Che la scuola di Amatrice inaugurata nel 2012 sia stata costruita senza effettuare i necessari controlli anti-sismici è estremamente grave, ma di certo non è una novità.

Se una lezione poteva essere appresa dai terremoti degli ultimi trent’anni, doveva essere quella dell’esistenza di una zona sismica lungo l’Appennino e della necessità di mettere in sicurezza le migliaia di paesi e città che su quella dorsale si trovano. Uno Stato che serve i suoi abitanti dovrebbe innanzitutto pensare alla loro salute e non alla costruzione di sedicenti “grandi opere” che di grande hanno solo i guadagni di chi le mette in piedi.

In questi giorni di emergenza tutti gli attori in campo si giocano la propria partita. Da chi sfrutta il terremoto per dilazionare la data del Referendum Costituzionale, a chi auspica una ripresa economica grazie alla ricostruzione, fino all’ultimo degli amministratori locali che grida alle carenze burocratiche nella dialettica comuni-regione-stato centrale.

Anche noi dobbiamo fare il nostro e decidere alla svelta da che parte stare, nonostante il cronico ritardo che abbiamo nell’intervenire in queste situazioni. La folle gestione dell’emergenza, rodata negli anni e diventata un vero e proprio business, già sfociata in coprifuoco e divieti nei campi, deve essere scardinata ed un primo modo per farlo è quello di essere presenti riattivando anche le forme di mutualismo e solidarietà tra le persone. Bisogna aiutare quindi a ricostruire le relazione umane tra persone in paesi che hanno visto decapitata una fetta importante di una generazione e distrutti luoghi di incontro come bar, piazze, scuole e negozi.

È poi necessario esercitare un controllo nei confronti di enti statali e privati che come sempre sfruttano le emergenze per fare cassa e lanciare progetti che non rispettano le esigenze degli abitanti e devastano i territori.

Che queste funzioni debbano essere svolte da una sinistra disorganizzata e frammentata è il prodotto dei nostri tempi, ma è imprescindibile per le sfide che ci aspettano, anche oltre il terremoto.

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