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15/10/2016

Libero Scambio Ue-Canada: il no della Vallonia inceppa il CETA

Con ben 46 voti a favore, 16 contrari ed una astensione, il parlamento della Vallonia, entità amministrativa del sud francofono del Belgio, ha approvato ieri una mozione contro la ratifica dell'accordo europeo di libero scambio con il Canada (noto con l'acronimo CETA) mettendone così in discussione l’approvazione. Subito dopo il voto parlamentare il ministro e presidente della Vallonia, il socialista Paul Magnette ha quindi annunciato che non darà mandato al governo federale affinché firmi l'intesa commerciale, a meno che non venga riaperto il negoziato diplomatico sulla dichiarazione interpretativa che deve essere associata al CETA, trattato che prevede l’abolizione di circa il 97% dei dazi doganali attualmente in vigore.

La Costituzione belga prevede che gli accordi internazionali per poter essere implementati dal governo statale debbano essere approvati anche dalle entità federate, oltre che dal Parlamento federale. Negli ultimi giorni, lo stesso Magnette ha ricevuto telefonate da diversi leader europei perché ignorasse il risultato della mozione parlamentare di cui però non può non tenere conto. Anche perché a votare contro la firma dell’accordo – difesa invece a spada tratta dai liberali – è stata anche la regione di Bruxelles-Capitale. E comunque il testo in esame deve essere approvato non solo dai 28 singoli stati ma anche dalla maggioranza del Parlamento Europeo. Per cercare di accelerare l’accettazione del trattato, l’Unione Europea ha deciso, in attesa di tutte le ratifiche statali, di far entrare in vigore il CETA in ‘via provvisoria’ a partire esclusivamente dal parere positivo da parte dei soli governi. Per martedì è stata organizzata una riunione straordinaria dei ministri del Commercio con l’obiettivo di portare a casa il risultato prima che qualche parlamento rimetta tutto in discussione, e sperando che l’entrata in vigore decisa dai governi convinca alcuni dei parlamenti e delle regioni riottose a fare un passo indietro. Il problema ora è che, visto che il governo federale belga non può concedere il suo assenso in virtù del voto della Vallonia e di Bruxelles, il meccanismo previsto dai 28 potrebbe incepparsi.

Da giorni ormai la dichiarazione interpretativa – che di fatto regola l’attuazione dell’accordo – è oggetto di un febbrile negoziato all’interno del quale aumentano progressivamente le critiche, da parte di esponenti politici di vario tipo e di diversi paesi, contro un accordo accusato di favorire le grandi imprese d’oltreoceano a scapito degli interessi degli imprenditori e dei mercati europei e di costituire una vera e propria testa di ponte verso la firma del Ttip, trattato tra Ue e Stati Uniti ai quali sia la Francia sia la Germania hanno posto recentemente un serio stop.

In una prima bozza del testo, l’Unione Europea assicura che «l'intesa preserva la capacità dell'Unione europea, dei suoi stati membri e dello stesso Canada di adottare e applicare le proprie leggi e i propri regolamenti per regolare l'attività economica nell'interesse pubblico». Ma non ci credono molte associazioni dei consumatori, degli agricoltori, degli allevatori, dei ristoratori, organizzazioni sindacali e politiche che accusano i promotori dell’accordo di voler bypassare le legislazioni nazionali che proteggono i cittadini, la salute pubblica, la qualità del lavoro e l’ambiente.

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