La notizia è di un gruppo di siti
scollegati tra loro (Rai news, La Nazione, Il Messaggero) ma che si
occupano regolarmente di informare, ognuno con la propria impostazione,
su questi temi. Lunedì 3 ottobre è il giorno della riunione di
emergenza, convocata dal ministro Padoan presso il ministero
dell’economia, sulla questione della tenuta del sistema bancario.
Una cosetta da nulla, rispetto all’attenzione dei media per ogni
piroetta recitata dal presidente del consiglio, con la presenza anche
del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, con i vertici di
Unicredit, Intesa e Ubi, e quelli dell'Abi, l'associazione bancaria
italiana, del fondo Atlante e delle casse di risparmio legate all’Acri.
La notizia, naturalmente, è
molto più importante della solita bassa macelleria che è l’offerta di
notiziabilità politica quotidiana ma, il più possibile, passerà in
secondo piano per una serie di motivi.
Il primo, intuibile, è il legame tra notizie, loro collocazione e andamento dei titoli in borsa.
Nonostante il mercato lo facciano le persone (assieme ai software)
comunque informate, e poco inclini a credere ai titoli cubitali, se una
notizia si diffonde ben oltre il pubblico specialistico un titolo
comincia a oscillare in modo pauroso. Figuriamoci un intero settore,
come quello bancario italiano, il cui valore è stato dimezzato
dall’inizio dell’anno. O su banche, come MPS, il cui titolo ha perso
il 99 per cento di valore dall’inizio della crisi.
Il secondo è che la politica (o
meglio ciò che impropriamente è considerata tale) ha bisogno di una
forte presenza spettacolare nell’informazione, per ovviare alla crisi di legittimità e per regolare conflitti, e in questo modo toglie spazio al resto delle notizie.
Il terzo è che probabilmente è presto per pompare adrenalina nel sistema dei media su questo genere di notizie.
La crisi delle banche europee è destinata a continuare, nonostante i
maggiori istituti bancari continentali siano progressivamente passati
sotto il controllo della Bce, cominciare a immettere adesso adrenalina
nel circuito mediale significa arrivare al livello panico negli
eventuali momenti topici della crisi. Panico sia finanziario che
politico. Per questo, nonostante i media non abbiano un vero governo
centrale, per adesso la notizia è rimasta circoscritta alla platea,
professionale e non, dei diretti interessati.
Importante diventa quindi focalizzare i
temi principali di questa riunione. Ne fissiamo tre, i più conosciuti.
Tenendo conto che, nel complesso, la discrezione sugli esiti della
riunione finirà per prevalere fino a quando le esigenze
dell’informazione avranno, in un modo o in un altro, bucato una parte
significativa del riserbo.
I temi ineludibili sono tre:
fase finale del salvataggio banche oggetto del famoso intervento
legislativo dello scorso anno (quello a favore della Banca del padre
della ministro Boschi, per capirsi), questione del bail-in banche
italiane, situazione di Deutsche Bank.
Sulla questione del salvataggio
delle (ormai) famose quattro banche, con ministro Boschi a fare da brand
all’intera vicenda e i risparmiatori a fare da corollario di spine, da
tempo era calato il silenzio. Invece la normativa comunitaria,
recepita dall’intervento del governo della fine dello scorso anno,
recitava chiaramente: le banche vanno salvate per essere poi vendute.
Ecco quindi, ed è parte della storia di oggi, che Ubi Banca si presenta
per acquisirne tre (Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti).
Tutto bene? Mica tanto, visto che la scadenza per l’acquisto delle tre banche, da parte di Ubi è stata prorogata. Come
mai? Per due motivi seri, segnalati, una volta tanto, dalla stampa
mainstream. Il primo, segnalato dal Sole 24 ore qualche giorno fa,
riguarda le modalità di acquisizione delle banche da parte di Ubi.
Modalità che apparivano, e appaiono tali, da sottovalutare il rischio
sistemico oggi rappresentato da un’altra banca: MPS. In parole molto
povere il modo con il quale Ubi acquisirebbe le tre banche metterebbe in
difficoltà Mps.
Come? Ce l’ha spiegato Milano Finanza. Usiamo un linguaggio meno gergale e meno tecnico possibile: i
fondi speculativi sono pronti a distruggere l’aumento di capitale di
Ubi, necessario per acquisire le tre banche salvate lo scorso anno. Se
questa situazione non si stempera, inevitabilmente, anche Mps sarà
coinvolta in un generale ribasso azionario dei già martoriati titoli
bancari italiani. In poche parole, una parte significativa delle banche
italiane è sotto scopa: da una parte le regole della Bce, che sta monitorando l’operazione Ubi, dall’altra, vedi sempre Ubi, la fame di
speculazione dei mercati.
Ecco un primo motivo, non banale, per fare un summit tra ministero, banche, fondo di salvataggio e azioni bancarie. Il secondo motivo è legato quindi a quello che possiamo chiamare salvataggio,
risanamento a seconda dell’abbellimento retorico che si preferisce:
insomma come verrà puntellato il sistema bancario italiano per provare
ad uscire dalla crisi. E qui una notizia, di quasi due settimane fa,
riportata da Wall Street Italia ha proprietà davvero esplosive.
Infatti, lo SRB è l’autorità dell’Unione
Europea chiamata ad attivare le procedure di bail-in (il salvataggio
attivato direttamente attingendo su risparmiatori e imprese) che vigila
su 142 banche europee, tra cui Deutsche Bank e BNP Paribas. Ora la
numero uno della SRB, Elke Koenig ha detto praticamente che le banche
dell’Unione Europea – dunque non solo dell’Eurozona, il cui sistema ha
ricevuto liquidità da Draghi – potrebbero aver bisogno di un capitale
doppio rispetto ai requisiti minimi stabiliti dalla Bce.
In poche parole, se le banche
italiane finissero in quelle procedure di “salvataggio”, e fino ad oggi
diverse si stanno dirigendo verso quell’esito, il capitale necessario
per “salvarle” secondo la Ue sarebbe doppio. Un rischio
piuttosto serio visto lo scenario. Ma, e questo spiega la recente crisi
del titolo in questione, ciò varrebbe anche per Deutsche Bank, la
madre di tutte le crisi delle banche europee, dalla cui risoluzione o
meno dipende il futuro del credito bancario in Europa. Ecco quindi la
seconda, ineludibile, questione al summit di emergenza: norme più
stringenti per un eventuale bail-in, strumento che, come sappiamo il
governo vuol evitare. Sperando che un eventuale bailout di Deutsche
Bank, un salvataggio direttamente pagato dalle casse pubbliche tedesche,
apra la possibilità di una simile soluzione in Italia.
Arriviamo così al terzo punto della riunione: la situazione di Deutsche Bank.
Madre di tutte le crisi che, come abbiamo visto, è questione calda
anche a Roma non solo a Berlino. Anzi, per dirla tutta, a Berlino sono
più frequenti gli attacchi alla Deutsche Bank piuttosto che la sua
difesa. Il ministro degli esteri Sigmar Gabriel ha dichiarato, alle
agenzie di stampa tedesche, che “chi ha fatto speculazione ieri non può
lamentarsi della speculazione oggi”. Facendo intendere che il
salvataggio di Deutsche Bank, in qualsiasi modo venga eventualmente
approntato, sarà comunque un percorso costellato di spine. La
Frankfurter Allgemeine, dal canto suo, dopo essersi lamentata (30
settembre) della troppa attenzione italiana su Deutsche Bank (causa
desideri di bailout) ha espresso un corsivo chiaro. Differente ma in
linea con le ipotesi di ridimensionamento dell’istituto bancario già
fatte intravedere, qualche giorno prima, dalla Süddeutsche Zeitung: si
tratta di dire la verità sul disastro Deutsche Bank, poi procedere a
soluzioni dolorose. Niente di buono per il sistema bancario italiano: se
non ci saranno sconti a Berlino figuriamoci a Roma. Per questo, assieme
agli altri due motivi (questione Ubi e modalità di eventuale bail-in
sistemico) proprio a Roma ci si riunisce d’urgenza.
Certo, la crisi della banche italiane sta dentro, in una modalità tutta propria, la crisi della banche europee.
La quale, come in una matrioska, è contenuta dentro la crisi di
produzione di valore nei sistemi bancari. Aggrediti anche da nuove
modalità di credito e dall'emergere potente di nuove tecnologie.
Certo, la crisi italiana è anche quella di un ceto
politico-manageriale di tipo liberista-feudale che vive in un mondo a
parte. Come dimostra questo articolo di linkerblog
che dimostra come la crisi dei crediti deteriorati, degli scorsi anni, sia
anche frutto di una visione banale, povera delle scelte strategiche dei
mandarini degli istituti bancari. Come dice l’autore dell’articolo, a
partire dal 2007-2008 “le banche italiane hanno sottovalutato del tutto
le componenti strutturali e la durata della crisi e hanno sbagliato la
politica del credito”. Ma non si lasci le banche da sole in questa
galleria degli orrori, che costerà parecchio a questo paese.
Negli stessi anni prima il
centrosinistra, con Prodi che favoleggiava di una crisi americana
compensata dalla crescita cinese, poi il centrodestra, che
sostanzialmente si è incartato sia nei rapporti con Bruxelles sia
attorno ai problemi del presidente dell’azienda leader della coalizione,
hanno altrettanto sottovalutato la portata della crisi. Per non parlare
della opinione pubblica che, drogata dalla denunce sugli
sprechi, si è focalizzata sulla liceità degli scontrini di questa o
quella assemblea legislativa. A dimostrazione che opinione
pubblica e società civile possono avere la stessa vista corta della
politica istituzionale. Ma rimaniamo all’oggi, con la nostra riunione
d’emergenza: l’autunno caldo delle banche è quindi cominciato.
Redazione, 4 ottobre 2016
Nessun commento:
Posta un commento