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25/07/2017

Prestipino (Pd), e il razzismo profondo della destra al governo

Lo ammettiamo: uno può vivere benissimo senza sapere, e soprattutto senza ascoltare o leggere quel che ha da dire tale Patrizia Prestipino. Purtroppo per noi, la signora/ina è stata nominata da Matteo Renzi nel fondamentale ruolo di responsabile del dipartimento del Partito Democratico “per la difesa degli animali”, e dunque membro della Direzione nazionale.

Amiamo gli animali, e non ci stupisce che anche altri condividano la stessa passione (diffidiamo parecchio del Berlusca con l’agnellino in braccio, ma insomma, non è colpa degli ovini...).

Il problema della signora/ina Prestipino esplode quando prova a spiegare a Radio Cusano Campus come e perché abbia avuto “assolutamente ragione” lo stesso Matteo Renzi quando ha deciso di creare, nel Pd, un “dipartimento mamme”. In effetti, in parecchi si erano lasciati andare a battutacce sulla terribile somiglianza tra questo dipartimento e le analoghe istituzioni d’epoca fascista.

E quindi la Prestipino è accorsa a dare manforte al suo segretario. Ahinoi, confondendo un tantino le caratteristiche umane e quelle animali (che sarebbero il suo campo di competenza, almeno secondo il Pd...).

“Se uno vuole continuare la nostra razza – ha spiegato senza peli sulla lingua – è chiaro che in Italia bisogna iniziare a dare un sostegno concreto alle mamme e alle famiglie. Altrimenti si rischia l’estinzione tra un po’ in Italia”.

Consultati diversi genetisti sulla possibilità di definire scientificamente se esistano o no delle “razze” per distinguere gli esseri umani, o addirittura sull’esistenza di una “razza italiana” (siamo un paese dove hanno scorrazzato in tanti, da nord a sud: normanni, turchi, visigoti, unni, vandali, austriaci, francesi, spagnoli, ecc.), c’è tornata alla mente la famosa battuta del più immenso scienziato del secolo scorso. Il quale, interrogato forse da qualche oscuro funzionario di dogana, o da un giornalista, circa la propria “razza” di appartenenza, si limitò a rispondere: “umana”. Si era appena usciti dalla predominanza culturale del nazifascismo e qualche infortunio del genere – nella testa di un’oscura guardia di frontiera – era in qualche misura comprensibile. Ma non scusabile. Lo stesso Albert Einstein provvide a spiegare che la sua risposta era semplicemente scientifica, perché “la razza ce l’hanno i cani”.

Ecco, impegnatissima nella difesa degli amici dell’uomo, la signora/ina Prestipino ha esteso agli umani una caratteristica essenziale dei quadrupedi (o dei volatili, se preferite). Come i nazisti di 80 anni fa (fare un partito “moderno” è complicato, se mancano alcuni strumenti intellettuali essenziali).

Per essere però proprio sicura di non essere fraintesa, miss Prestitpino ha voluto approfondire: “Non ci sono più mamme in Italia, vi rendete conto che siamo il Paese più anziano d’Europa? Siamo un Paese che rischia tra qualche decennio di non avere più ragazzi italiani”.

Qui è difficile difenderla, diciamocelo... Il suo partito è tra l’altro portatore di un disegno di legge sullo ius soli, per attribuire la cittadinanza ufficiale a quei ragazzi che nascono in questo paese a prescindere dal colore della pelle o dal taglio degli occhi. Secondo quella legge – se ne potrebbero scrivere di nettamente migliori, con un piccolo sforzo, ma facciamo finta che sia una “buona legge” – tra qualche decennio ci saranno in ogni caso “ragazzi italiani”. Magari non tutti corrispondenti a quel che, nella testa della Prestipino, sembra l’immagine iconica dell’ariano (biondi, occhi azzurri... calabresi o siciliani, dove li buttiamo?).

Come una Meloni, un Salvini o un Borghezio qualsiasi, insomma.

P.s. Qui di seguito, alcune note tratte dalla rivista Focus.
“Le differenze, evidenti e innegabili, tra gruppi umani che popolano aree diverse del globo risalgono ai primordi della nostra specie; l’idea che queste differenze fisiche, frutto di adattamenti all’ambiente, implicassero anche differenze psicologiche e comportamentali profonde, al punto da poter distinguere (e ordinare) le diverse popolazioni del mondo, è nata solo alla fine del XV secolo, quando il colonialismo portò l’uomo occidentale, e la sua necessità di dominio, in ogni angolo del mondo. Tempo due secoli e i maggiori antropologi dell’epoca cominciarono ad affannarsi a catalogare le presunte razze, e a inventare un criterio valido e universale per distinguerle tra loro. Risultato? Niente di niente.

Mentre la comunità scientifica dibatteva sul nulla, l’idea di “razza” era già diventata il più potente motore della nuova economia coloniale. Il trattamento riservato alle popolazioni africane deportate negli Stati Uniti per ridurle in schiavitù, per esempio, era la diretta conseguenza della loro appartenenza a un’altra razza, considerata intellettualmente inferiore. Nel XVIII secolo, intellettuali di tutto il mondo si appellarono alla cosiddetta scala naturae, l’ordine naturale (gerarchico) di tutte le specie viventi, e collocarono le popolazioni africane un gradino sotto la nostra.

L’antropometria, lo studio e la catalogazione delle misure e delle proporzioni del corpo umano, divenne la stampella scientifica su cui appoggiarsi: ogni razza poteva essere definita da un preciso set di numeri e statistiche, un’idea che non teneva in considerazione i cambiamenti tra una generazione e la successiva, e che eliminava in toto dal discorso l’evidente variabilità all’interno della stessa “razza”.

Bastò ripetere gli studi con un occhio a questi dettagli per capire come l’antropometria fosse basata sul nulla: agli inizi del XX secolo, Franz Boas pubblicò studi che dimostravano quante differenze ci fossero tra una generazione e l’altra della stessa “razza”, e quanto anche i valori medi di certi parametri si modificassero con il passare delle generazioni. Poi arrivò la svolta: la riscoperta delle leggi mendeliane sull’ereditarietà diede il via alla ricerca di tratti genetici puramente ereditari, utili a distinguere le razze tra loro. Ma anche la genetica non riuscì a trovare correlazioni tra razze e geni.

GLI STESSI GENI. Oggi che conosciamo bene il nostro Dna ci rendiamo conto che le nostre differenze non sono nient’altro che sfumature, in termini genetici. A separarci dagli altri esseri umani c’è una percentuale minima del genoma: in media, ogni uomo è biochimicamente simile a ogni altro uomo sul pianeta per il 99,5%, una percentuale variabile secondo la distanza. Inoltre, «ogni popolazione mantiene al suo interno quasi il 90% della variabilità genetica (cioè tutte le varianti dei diversi geni) della nostra specie»; ecco perché stabilire dei confini è un esercizio inutile.

Né vale l’obiezione di chi paragona le presunte razze umane a quelle di cani o cavalli: «Quelle razze sono molto più distinte tra loro di quanto lo siano quelle umane. Tutte le razze di cani, in particolare, sono state selezionate per renderle, per così dire, “omozigoti” rispetto ad alcuni geni, che sono presenti solo in quella razza e la definiscono», mentre tra gli umani la variabilità genetica è maggiore. Le razze, dunque, esistono davvero solo nella nostra testa: quella di distinguere e dividere è un’abitudine umana che risale, storicamente, quantomeno agli ateniesi del V secolo, che classificavano il mondo in “greci” e “barbari”. La visione bipolare del “noi e loro” è comune a tantissime culture, ed è una realtà psicologica che secondo alcuni ha radici profonde nella nostra storia evolutiva.
Insomma, il “razzismo” tra umani è un’invenzione. I cui motivi affondano nella volontà di dominare qualcun altro. E’ più facile farlo se lo connotiamo come untermensch, non proprio umano, di un’altra “razza”.

Vero, miss Prestipino?

Fonte

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