Cosa sta accadendo in Campania in questa lunga e velenosa estate 2017? Sta bruciando tutto, o meglio stanno bruciando tutto, dato che la stragrande maggioranza dei roghi divampati negli ultimi mesi è di matrice dolosa. Un attacco alla salute, al territorio tutto; a bruciare infatti non sono solo boschi e macchia mediterranea, come accade quasi tutti gli anni, questa volta sono stati prese di mira discariche, siti di stoccaggio di rifiuti speciali, capannoni, insomma ha bruciato di tutto e soprattutto hanno bruciato veleni, diossine e materiali altamente inquinanti.
Il progetto criminale è sotto gli occhi di tutti, la precisione militare con la quale sono stati appicati i roghi fa venire i brividi. Hanno quasi devastato il Vesuvio, la zona del Nolano, quella a nord di Napoli, fino alla provincia di Caserta, dove, dopo gli incendi al tabacchificio di Sparanise e alla ExPozzi di Calvi di qualche mese fa, hanno dato alle fiamme anche la Ilside di Bellona, grande sito di stoccaggio di rifiuti speciali, e il deposito di elettrodomestici Expert di Pastorano, solo per parlare dei roghi più grandi: decine se non centinaia infatti sono infatti i roghi, anche di piccole dimensioni, che sono nati in questi mesi estivi in Campania.
Ma quale sia davvero la mano che manovra questo attacco ancora è chiaro, girano tante ipotesi, alcune anche fin troppo suggestive a nostro avviso. Quello che ci preme è cogliere, al di la delle ipotesi, il dato che, ancora una volta, come ormai da decenni accade a queste latitudini, qualcuno specula, devasta e fa profitti mettendo sul piatto della bilancia la nostra terra e la nostra salute. I progetti di messa a profitto del capitale, che negli anni, sul ciclo dei rifiuti e sulla devastazione dei territori (cave, impianti, discariche), hanno letteralmente compromesso le sorti di una intera popolazione e del territorio che abita, e quella odierna sembra essere solo la punta di un iceberg che affonda nel profondo della storia campana. Qualche tempo fa scrivevamo che di sicuro l’affaire bonifiche sarebbe stata l’ennesima occasione colta dalle nostre controparti per continuare a speculare e fare affari: ironia della sorte, denunciavamo, sarebbe potuto accadere che gli stessi che avevano inquinato, avrebbero poi gestito anche le bonifiche.
Quello che sta accadendo oggi sembra una criminale e assassina spinta sull’acceleratore, per creare emergenza. Di nuovo, come da copione, il mettere in campo dispositivi di emergenzialità per dare carta bianca a procedure sospette, a interventi tampone, per aprire a tutta forza i rubinetti dei fondi pubblici statali ed europei. E cosa più di un attacco come quello delle ultime settimane può farci piombare di nuovo nell’emergenzialità fatta di decreti, di strade presidiate dall’esercito e di fondi a pioggia?
Se ancora il quadro è chiaro in tutte le sue sfumature, cosa muove i fili di questa lunga estate dei veleni è facile ipotizzarlo.
Il tutto piomba in uno scenario che già era fortemente compromesso. Solo poche settimane fa eravamo tornati con i comitati dell’agro caleno fuori la centrale turbogas della Calenia (gruppo Axpo) di Sparanise che da 10 anni inonda l’aria di polveri sottili, sforando continuamente i livelli di pm10 consentiti. Ma non solo Calenia! A poche centinaia di metri, ma in tenimento di Calvi Risorta c’è la ex Pozzi, che è tra le discariche illegali di rifiuti speciali e pericolosi più grande d’Europa. La discarica resta abbandonata, con la continua nascita di fumarole tossiche, frutto di reazioni chimiche che avvengono nel sottosuolo tra le decine di sostanze altamente tossiche che vi sono seppellite e che stanno inquinando anche le falde acquifere. L’unico provvedimento delle istituzioni è stato il sequestro dell’area e la sua chiusura, che ha sortito un solo effetto: l’aver precluso alle comunità la possibilità di controllo dal basso, controllo, quello popolare, che in questi mesi è stata l’unica forma di tutela e di informazione per le comunità colpite dal disastro.
Un quadro che necessiterebbe di agire qui ed ora per porre fine al biocidio e per chiedere da subito bonifiche immediate e sotto controllo popolare, per chiedere l’abbattimento dei siti inquinanti. Eppure qualcosa si muove.
Sembrano lontani i tempi in cui da soli ci assumevamo l’azione del taglio delle reti alla Calenia, eppure sono passati pochi mesi, mesi in cui, certo a causa dell’attacco in corso, si stanno ridestando le comunità scendendo in strada e parlando il linguaggio della rabbia. Certo non poteva essere il contrario, certo la capacità delle comunità di contrapporsi a tutto questo può e deve sempre migliorare e crescere, ma a cominciare dalla lotta della comunità bellonese contro il disastro Ilside, qualcosa su questo territorio si sta di nuovo mettendo in moto. In primis si sta tornando a prendere parola come comunità, nelle differenze si alimentano connessioni e contaminazioni. Il corteo popolare di Bellona in questo ha di sicuro aperto alla comunità tutta uno scenario fatto di radicalità e di possibilità. Radicalità che da subito ha portato i suoi frutti e che è stata percepita anche dalle controparti istituzionali che si sono subito messe in moto, a cominciare dalla Regione, che, come si legge in un documento ufficiale, ha messo in campo azioni anche e soprattutto grazie all’esasperazione popolare, piuttosto che grazie all’intervento degli enti locali.
Radicalità che si è alimentata in giornate fatte di assemblee popolari partecipatissime e di volantinaggi e che è divampata nelle 6 ore di blocchi alla Ilside per l’intervento immediato dei vigili del fuoco per spegnere nuove fumarole che si erano venute a creare.
Qui ci tocca fare una considerazione sul “controllo popolare” di cui da tempo tanto parliamo e di cui cerchiamo da tempo di declinare e scontornare le forme. Il blocco di quasi 7 ore a Bellona è stato possibile proprio perché la comunità bellonese dal basso e in autonomia ha cominciato a sperimentare forme di controllo popolare diretto, in maniera organizzata e non, quasi a rimarcare la necessità della presenza popolare e della sua forza per la risoluzione dei problemi. L’attenzione alla Ilside è diventato compito comunitario, dai contadini che hanno le terre tutto intorno, a chi vive in paese e passa continuamente in auto fuori il sito per verificare se siano nati o meno nuovi focolai: e il meccanismo funziona.
E’ stata proprio questa forma di controllo popolare che in un’afosa e velenosa domenica di fine luglio, ha fatto si che accorresse gente e resistesse per più di sei ore fino all’arrivo dei mezzi e alla risoluzione del problema. Questo è sicuro un aspetto di quello che per noi significa controllo popolare, questo tipo di sperimentazioni sono l’unica strada possibile a fronte del silenzio, se non della connivenza, delle istituzioni. Istituzioni che come al solito più che rappresentati della democrazia si presentano per quello che sono: caste burocratiche inefficienti e per nulla all’altezza rispetto allo scenario che li circonda. Proprio in fasi come questa si aprono crepe e bisogna mantenere alta la guardia, quelle crepe vanno riempite di radicalità e rabbia, al nulla criminale delle istituzioni va contrapposta la vitalità e la dignità delle comunità in lotta.
Proprio per questo riteniamo che le emergenze calate dall’alto debbano essere, da parte nostra, colte come terreno delle possibilità, come e più di quanto dicevamo in merito alle bonifiche. E’ nell’emergenza indotta dal potere che dobbiamo essere capaci di creare nuove emergenze sociali e di lotta, la nostra capacità di metter in piedi dissenso; comporre nuova emergenzialità sociale è il tentativo da agire per portare la controparte al collasso. E’ successo a Bellona, può succedere dovunque, l’importante è non perdere la rabbia, mantenere la lucidità e resistere un minuto in più di chi ci vuole ammazzare.
E’ qui che si apre un territorio vasto e inesplorato che però ci pone nell’immediato sul terreno delle possibilità. Sul terreno della possibilità di costruire rapporti sociali differenti, di costruire coesione popolare e contrapposizione: ogni presidio popolare è un fiorire di esperienze diverse, di crescita, di indisponibilità a delegare ad altri, ogni barricata è già l’affermarsi di un modo diverso e nuovo di intendere i rapporti sociali, le comunità, le forme organizzative e di lotta. L’altro mondo necessario di cui si parlava qualche anno fa può nascere dalle ceneri tossiche dei roghi di questi mesi, nasce dalla rabbia di chi vede avvelenato le proprie terre e i propri figli, nasce in ogni presidio, in ogni blocco e su ogni barricata: è nelle lotte che si intravede, collettivamente e con convinzione, la possibilità di invertire la rotta, di essere parte del cambiamento senza restare a guardare.
Siamo consapevoli infine, che la strada non è semplice, che le nostre risposte non sempre all’altezza, che i nostri percorsi non sempre adeguati, ma vogliamo qui ed ora prendere in mano i nostri destini e quelli dei nostri territori, siamo i figli della devastazione, degli orrori e dei veleni, sottrarsi da questa sfida significherebbe consegnare a chi ci sta ammazzando tutto quello che abbiamo senza nemmeno provare a difenderci, e noi non ci stiamo.
Se hanno deciso di farci vivere in un inferno, le nostre risposte devono essere all’altezza delle fiamme che ci circondano!
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