di Michele Paris
La crisi interna agli Stati Uniti prodotta dal cosiddetto
“Russiagate” rischia di fondersi pericolosamente con le tensioni
crescenti tra Washington e l’Unione Europea, già aggravate dall’ingresso
alla Casa Bianca di Donald Trump. Il Congresso americano è infatti a un
passo dall’approvazione definitiva di nuove sanzioni contro Mosca che
minacciano gli interessi di svariate compagnie europee in rapporti
d’affari con aziende russe.
Il pacchetto di misure punitive
dirette contro la Russia, ma anche contro l’Iran e la Corea del Nord, è
stato approvato martedì a larghissima maggioranza dalla Camera dei
Rappresentanti di Washington e dovrebbe essere ratificato in maniera
definitiva dal voto del Senato forse già nei prossimi giorni.
Com’è
noto, Trump è contrario all’adozione di nuove sanzioni dirette contro
il Cremlino, tanto più che il testo della legge in discussione lega di
fatto le mani al presidente sulla loro implementazione o su un eventuale
allentamento. Le possibilità che la Casa Bianca ricorra al veto dopo la
più che probabile approvazione del Senato sono però scarse, visto che
esso sarebbe facilmente annullato da un voto del Congresso, dove le
sanzioni godono di un ampio sostegno bipartisan.
Ancora prima che
entrino in vigore, le nuove sanzioni contro la Russia sembrano
rappresentare un punto di svolta nell’evoluzione dei rapporti
transatlantici. Il dato più rilevante è probabilmente l’allineamento su
posizioni anti-europee di entrambe le fazioni della classe dirigente
americana che si stanno scontrando sul fronte interno attorno alla
presunta e mai dimostrata interferenza di Mosca nel processo elettorale
degli Stati Uniti.
Fino ad ora, le tensioni tra USA e UE avevano
coinvolto quasi esclusivamente un’amministrazione Trump impegnata a
promuovere un’agenda protezionista e ultra-nazionalista, nonché a
impedire il ben avviato processo di integrazione economica
euro-asiatica. Ora, invece, le ire di Bruxelles e dei singoli governi di
molti paesi sono dirette anche agli oppositori del presidente
americano, a cominciare da quelli all’interno del Partito Democratico.
L’intensificazione
dello scontro transatlantico è dunque il sintomo, finalmente esploso
pubblicamente, dell’esistenza di fattori oggettivi di natura economica e
strategica che lo stanno alimentando e che vanno ben al di là della
disposizione di qualche leader politico.
Le nuove sanzioni
minacciano di colpire al cuore gli interessi dell’Europa, andando a
mettere in pericolo sia la propria sicurezza energetica sia le attività
delle compagnie che operano in questo settore. Che una delle ragioni
principali dell’iniziativa americana sia proprio questa è confermato
anche dal fatto che, secondo la maggior parte di analisti e osservatori,
queste ultime misure non rappresenterebbero un particolare aggravamento
della situazione attuale per Mosca.
Che il Congresso americano
non abbia mai mostrato la minima intenzione di fare un passo indietro,
nonostante le proteste europee, è la dimostrazione di come gli interessi
fondamentali degli alleati sulle due sponde dell’Atlantico appaiano
sempre più divergenti dietro la spinta della crisi del capitalismo
internazionale e della posizione declinante di quello statunitense.
Il
fatto che lo scontro tra Washington e Bruxelles sia ormai combattuto
retoricamente a livello pubblico è poi un altro segnale del deteriorarsi
della situazione. Politici e commentatori europei non mostrano ormai
praticamente nessuno scrupolo nel denunciare le intenzioni USA di
promuovere ad esempio le forniture di gas naturale liquefatto (LNG)
americano e di ridurre quelle del gas proveniente dalla Russia.
Inoltre,
gli interessi di colossi come la tedesca Wintershall, l’anglo-olandese
Royal Dutch Shell, la francese Engie (ex GDF Suez) o l’austriaca OMV,
tutte coinvolte nella costruzione del progetto “Nord Stream 2”, sono
apertamente difesi dai leader europei in contrapposizione alle manovre
provenienti da Washington con la giustificazione di colpire la Russia.
Ancora,
malgrado i malumori, i precedenti round di sanzioni punitive contro
Mosca per il presunto ruolo nella crisi ucraina erano sempre stati
appoggiati ufficialmente dai governi europei. Ciò era accaduto perché le
misure erano state concordate con Washington e avevano causato danni
relativamente minori alle economie del vecchio continente.
L’aperta
e quasi unanime condanna delle nuove sanzioni unilaterali è al
contrario un’assoluta novità, accompagnata oltretutto dalla minaccia di
possibili contro-misure che potrebbero essere applicate a entità
americane. Il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker,
le aveva già ipotizzate settimana scorsa e ha ribadito questa
possibilità dopo il voto della Camera del Congresso USA.
Gli
ambienti politici e del business tedesco sono stati quelli più accesi
nel denunciare la mossa americana e nel chiedere provvedimenti. Il
ministro dell’Economia di Berlino, Brigitte Zypries, in un’intervista al
canale ARD ha messo in guardia da una “guerra commerciale
molto negativa” tra USA e UE, lasciando intendere il possibile ricorso a
contro-sanzioni attraverso l’Organizzazione Mondiale del Commercio
(WTO).
Il ministro degli Esteri, Sigmar Gabriel, ha a sua volta
accusato gli Stati Uniti di voler creare posti di lavoro americani a
discapito della sicurezza energetica europea. Identica linea ha seguito
anche il governo francese a meno di due settimane dall’incontro tra
Trump e il presidente Macron. Parigi ha tra l’altro emesso un comunicato
nel quale prospetta un “aggiustamento delle leggi francesi ed europee”
come protezione dagli “effetti extraterritoriali della legislazione
americana”.
La crisi nei rapporti transatlantici che sembra sul
punto di esplodere a causa della nuova legge americana sulle sanzioni
contro Mosca si inserisce ad ogni modo in un processo in atto da alcuni
anni. I segnali del peggioramento della situazione si erano avuti ad
esempio con le multe per svariati miliardi di dollari imposte dalle
autorità USA ad alcune banche europee, come la francese BNP Paribas,
accusata di avere violato le restrizioni a cui era sottoposto l’Iran.
Più recentemente, l’UE ha invece preso di mira Apple con una multa da
record per evasione fiscale.
In generale, le scintille di questi
giorni tra Washington e i governi europei sono, come già ricordato, la
conseguenza dell’irrigidimento di un governo americano, dominato da
militari e da elementi ultra-nazionalisti, sempre più allarmato per i
processi in atto su scala globale.
Processi che indicano una
costante marginalizzazione degli Stati Uniti, anche se per certi versi
ancora molto relativa, di fronte alle tendenze multipolari in atto nel
pianeta e alla formazione di blocchi economico-strategici alternativi al
sistema uscito dal secondo conflitto mondiale.
Il
consolidamento delle relazioni in ambito commerciale ed energetico tra
Germania e Russia nonostante le sanzioni e le scosse della crisi
ucraina, l’integrazione dell’Europa con i progetti di crescita cinese,
il ritorno dei capitali europei in Iran e lo stesso impulso alla
militarizzazione di Berlino, nel quadro della promozione di una politica
estera europea più indipendente, sono alcune delle dinamiche che stanno
influenzando in senso negativo i rapporti tra Washington e Bruxelles.
Quel
che resta da verificare è se i conflitti in atto potranno essere
contenuti nel prossimo futuro o se le divergenze sempre più evidenti
rischiano invece di precipitare e sfociare in una pericolosa guerra
commerciale, spesso anticipatrice, come dimostrano i precedenti storici,
di confronti militari nemmeno lontanamente immaginabili fino a
pochissimi anni fa.
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