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28/07/2017

USA-UE, scontro sulla Russia

di Michele Paris

La crisi interna agli Stati Uniti prodotta dal cosiddetto “Russiagate” rischia di fondersi pericolosamente con le tensioni crescenti tra Washington e l’Unione Europea, già aggravate dall’ingresso alla Casa Bianca di Donald Trump. Il Congresso americano è infatti a un passo dall’approvazione definitiva di nuove sanzioni contro Mosca che minacciano gli interessi di svariate compagnie europee in rapporti d’affari con aziende russe.

Il pacchetto di misure punitive dirette contro la Russia, ma anche contro l’Iran e la Corea del Nord, è stato approvato martedì a larghissima maggioranza dalla Camera dei Rappresentanti di Washington e dovrebbe essere ratificato in maniera definitiva dal voto del Senato forse già nei prossimi giorni.

Com’è noto, Trump è contrario all’adozione di nuove sanzioni dirette contro il Cremlino, tanto più che il testo della legge in discussione lega di fatto le mani al presidente sulla loro implementazione o su un eventuale allentamento. Le possibilità che la Casa Bianca ricorra al veto dopo la più che probabile approvazione del Senato sono però scarse, visto che esso sarebbe facilmente annullato da un voto del Congresso, dove le sanzioni godono di un ampio sostegno bipartisan.

Ancora prima che entrino in vigore, le nuove sanzioni contro la Russia sembrano rappresentare un punto di svolta nell’evoluzione dei rapporti transatlantici. Il dato più rilevante è probabilmente l’allineamento su posizioni anti-europee di entrambe le fazioni della classe dirigente americana che si stanno scontrando sul fronte interno attorno alla presunta e mai dimostrata interferenza di Mosca nel processo elettorale degli Stati Uniti.

Fino ad ora, le tensioni tra USA e UE avevano coinvolto quasi esclusivamente un’amministrazione Trump impegnata a promuovere un’agenda protezionista e ultra-nazionalista, nonché a impedire il ben avviato processo di integrazione economica euro-asiatica. Ora, invece, le ire di Bruxelles e dei singoli governi di molti paesi sono dirette anche agli oppositori del presidente americano, a cominciare da quelli all’interno del Partito Democratico.

L’intensificazione dello scontro transatlantico è dunque il sintomo, finalmente esploso pubblicamente, dell’esistenza di fattori oggettivi di natura economica e strategica che lo stanno alimentando e che vanno ben al di là della disposizione di qualche leader politico.

Le nuove sanzioni minacciano di colpire al cuore gli interessi dell’Europa, andando a mettere in pericolo sia la propria sicurezza energetica sia le attività delle compagnie che operano in questo settore. Che una delle ragioni principali dell’iniziativa americana sia proprio questa è confermato anche dal fatto che, secondo la maggior parte di analisti e osservatori, queste ultime misure non rappresenterebbero un particolare aggravamento della situazione attuale per Mosca.

Che il Congresso americano non abbia mai mostrato la minima intenzione di fare un passo indietro, nonostante le proteste europee, è la dimostrazione di come gli interessi fondamentali degli alleati sulle due sponde dell’Atlantico appaiano sempre più divergenti dietro la spinta della crisi del capitalismo internazionale e della posizione declinante di quello statunitense.

Il fatto che lo scontro tra Washington e Bruxelles sia ormai combattuto retoricamente a livello pubblico è poi un altro segnale del deteriorarsi della situazione. Politici e commentatori europei non mostrano ormai praticamente nessuno scrupolo nel denunciare le intenzioni USA di promuovere ad esempio le forniture di gas naturale liquefatto (LNG) americano e di ridurre quelle del gas proveniente dalla Russia.

Inoltre, gli interessi di colossi come la tedesca Wintershall, l’anglo-olandese Royal Dutch Shell, la francese Engie (ex GDF Suez) o l’austriaca OMV, tutte coinvolte nella costruzione del progetto “Nord Stream 2”, sono apertamente difesi dai leader europei in contrapposizione alle manovre provenienti da Washington con la giustificazione di colpire la Russia.

Ancora, malgrado i malumori, i precedenti round di sanzioni punitive contro Mosca per il presunto ruolo nella crisi ucraina erano sempre stati appoggiati ufficialmente dai governi europei. Ciò era accaduto perché le misure erano state concordate con Washington e avevano causato danni relativamente minori alle economie del vecchio continente.

L’aperta e quasi unanime condanna delle nuove sanzioni unilaterali è al contrario un’assoluta novità, accompagnata oltretutto dalla minaccia di possibili contro-misure che potrebbero essere applicate a entità americane. Il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, le aveva già ipotizzate settimana scorsa e ha ribadito questa possibilità dopo il voto della Camera del Congresso USA.

Gli ambienti politici e del business tedesco sono stati quelli più accesi nel denunciare la mossa americana e nel chiedere provvedimenti. Il ministro dell’Economia di Berlino, Brigitte Zypries, in un’intervista al canale ARD ha messo in guardia da una “guerra commerciale molto negativa” tra USA e UE, lasciando intendere il possibile ricorso a contro-sanzioni attraverso l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO).

Il ministro degli Esteri, Sigmar Gabriel, ha a sua volta accusato gli Stati Uniti di voler creare posti di lavoro americani a discapito della sicurezza energetica europea. Identica linea ha seguito anche il governo francese a meno di due settimane dall’incontro tra Trump e il presidente Macron. Parigi ha tra l’altro emesso un comunicato nel quale prospetta un “aggiustamento delle leggi francesi ed europee” come protezione dagli “effetti extraterritoriali della legislazione americana”.

La crisi nei rapporti transatlantici che sembra sul punto di esplodere a causa della nuova legge americana sulle sanzioni contro Mosca si inserisce ad ogni modo in un processo in atto da alcuni anni. I segnali del peggioramento della situazione si erano avuti ad esempio con le multe per svariati miliardi di dollari imposte dalle autorità USA ad alcune banche europee, come la francese BNP Paribas, accusata di avere violato le restrizioni a cui era sottoposto l’Iran. Più recentemente, l’UE ha invece preso di mira Apple con una multa da record per evasione fiscale.

In generale, le scintille di questi giorni tra Washington e i governi europei sono, come già ricordato, la conseguenza dell’irrigidimento di un governo americano, dominato da militari e da elementi ultra-nazionalisti, sempre più allarmato per i processi in atto su scala globale.

Processi che indicano una costante marginalizzazione degli Stati Uniti, anche se per certi versi ancora molto relativa, di fronte alle tendenze multipolari in atto nel pianeta e alla formazione di blocchi economico-strategici alternativi al sistema uscito dal secondo conflitto mondiale.

Il consolidamento delle relazioni in ambito commerciale ed energetico tra Germania e Russia nonostante le sanzioni e le scosse della crisi ucraina, l’integrazione dell’Europa con i progetti di crescita cinese, il ritorno dei capitali europei in Iran e lo stesso impulso alla militarizzazione di Berlino, nel quadro della promozione di una politica estera europea più indipendente, sono alcune delle dinamiche che stanno influenzando in senso negativo i rapporti tra Washington e Bruxelles.

Quel che resta da verificare è se i conflitti in atto potranno essere contenuti nel prossimo futuro o se le divergenze sempre più evidenti rischiano invece di precipitare e sfociare in una pericolosa guerra commerciale, spesso anticipatrice, come dimostrano i precedenti storici, di confronti militari nemmeno lontanamente immaginabili fino a pochissimi anni fa.

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