Almeno da 15 anni l’ONU mette sull’avviso sugli effetti dei cambiamenti climatici, in particolare sull’acqua, ma in Toscana sembra non avvenire nulla: gli acquedotti continuano a perdere il 40 % dell’acqua trasportata; alle grandi industrie non vengono alzati i canoni di sfruttamento e non vengono abbassate le concessioni (i diritti di prelievo); la poca acqua che rimane è sempre più inquinata da vecchi e nuovi inquinamenti che non vengono bonificati, tantomeno prevenuti.
E’ una politica dell’acqua disastrosa, quella della Regione Toscana, che deve essere addebitata solo a chi la governa, a spese della salute, ma anche dell’economia, come diremo ora.
Negli anni recenti, e tanto più quest’anno, una serie di produzioni agricole sono state accantonate per mancanza d’acqua, mentre quelle insopprimibili (cereali, olio, vino, ortaggi) hanno subito una caduta verticale nella qualità e nelle quantità, che già pesa durissimamente sul reddito degli agricoltori, ed ancora più duramente peserà a breve sui prezzi per tutti. E’ un vero è proprio stato calamitoso, non solo naturale.
Dobbiamo ricordare che la legge Galli, fin dal 1994, e tutte le leggi successive, dichiaravano il consumo civile come prioritario, subito dopo quello agricolo, e solo se resta acqua, il consumo industriale.
In buona parte della Toscana avviene invece esattamente il contrario, pensiamo a tutta la costa, ma anche all’area cartaria nella Lucchesia e alle due aree geotermiche, dove i primi consumatori d’acqua sono le grandi industrie. Inoltre va sottolineato nuovamente che oltre il 90 % delle acque superficiali in Toscana è nella peggiore classe di qualità (sub A3), vere fogne a cielo aperto non solo batteriologiche ma soprattutto chimiche, ed invece di invertire la tendenza, la Regione continua ad autorizzare pratiche inquinanti, da nuove perforazioni geotermiche, allo spandimento di fanghi “di depurazione” su campi, all’autorizzazione alle industrie ad usare acqua dolce, perfino di falda, la più preziosa.
Gli invasi non bastano ed hanno essi stessi delle controindicazioni: ostacolano la ricarica delle falde a valle, impediscono l’apporto di sedimenti alle spiagge aggravando l’erosione, sono essi stessi accumuli di sostanze inquinanti come i pesticidi che periodicamente vanno dragati e smaltiti.
Occorre quindi una inversione ad U della politica dell’acqua: all’industria sia progressivamente, ma velocemente (“adeguarsi ai cambiamenti climatici” afferma da anni l’ONU) vietato l’uso dell’acqua dolce, a cominciare da subito con l’acqua di falda. L’industria si attrezzi con la dissalazione dell’acqua di mare: la popolazione della Val di Cecina, in prima linea da decenni nella guerra dell’acqua, ha dato un esempio molto chiaro, con una petizione popolare che chiede a Solvay di costruire un grande dissalatore di acqua di mare a Rosignano. La stessa indicazione va seguita a Livorno, Piombino, Scarlino, Massa Carrara e nelle aree geotermiche: ovunque cioè dove l’uso industriale dell’acqua sia in competizione con gli usi civile e agricolo.
Se non si imboccasse questa strada, si finirebbe per vedersi costretti ad imboccare quella opposta, che già si delinea nel Grossetano: l’acqua dissalata alla popolazione! o quella dei “tuboni”, miliardi di euro a carico dei cittadini, per spostare la poca acqua rimasta da una parte all’altra della Toscana.
14.7.17
Medicina democratica
Sezione di Livorno e della Val di Cecina
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