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31/07/2017

I nuovi rapporti di forza nell’Oceano Pacifico

A televisione spenta, non c’è bisogno di essere dei veggenti per sapere con certezza che le reti unificate parleranno per l’intera giornata dell’ennesima “provocazione” lanciata al mondo da quel ragazzaccio di Kim Jong Un che, la notte scorsa, si è divertito da matti a dirigere personalmente il secondo lancio di prova in ventiquattrore (per di più con successo) di un missile balistico intercontinentale “Hwasong-14”. Il razzo, che secondo Pyongyang è in grado di portare una potente testata nucleare, ha coperto in 47 minuti una distanza di 998 km, raggiungendo una quota massima di 3.724 km e, come sottolinea l’agenzia nordcoreana KCNA, senza “alcun impatto negativo sulla sicurezza dei paesi circostanti”. Il lancio precedente, alla vigilia, aveva portato un altro razzo ICBM in direzione dell’isola di Hokkaido, nel mar del Giappone.

Il pubblico televisivo nostrano è vivamente invitato, di contro, a non pensare a “provocazioni” riguardo al lancio, questa mattina, di un razzo sudcoreano “Henmu-2” e un missile balistico “terra – terra” USA “ATACMS”, anche questi nell’area del mar del Giappone. Secondo la sudcoreana Yonhap, si è semplicemente testata “la possibilità di colpire la leadership del nemico in caso di circostanze eccezionali”.

“L’onorevole supremo leader” scrive ancora KCNA, “si è detto orgoglioso per l’affidabilità del sistema missilistico, che ha dimostrato ancora una volta la capacità di lancio fulmineo in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento. E’ chiaramente dimostrato che l’intera parte continentale degli Stati Uniti è ora sotto nostro tiro”. Con quest’ultimo lancio, si sono sperimentate angolazione e portata massime e si è voluto “ammonire rigorosamente gli USA, che nei giorni scorsi, usciti di senno, hanno lanciato vuote assurdità” anche nei confronti della RDPC; si è inteso inoltre far sapere a Washington che se “anche con un dito proveranno a toccare il nostro paese, allo stato aggressivo dei cosiddetti USA la cosa costerà cara”.

Da Washington hanno fatto sapere di optare per una “denuclearizzazione pacifica” della penisola coreana, ma che non riconosceranno mai il diritto della RDPC a detenere armi nucleari. Al tempo stesso, ha detto il Segretario si stato Rex Tillerson, gli USA “non abdicano agli obblighi verso i nostri alleati e partner nella regione”. Washington ha invitato anche tutti i paesi a pronunciarsi contro le azioni di Pyongyang e a inasprire le sanzioni ONU contro la RDPC. Tillerson ha addossato una “estrema responsabilità” su Russia e Cina per la “crescente minaccia nucleare” che viene dalla RDPC, dato che Mosca e Pechino sarebbero “la principale forza motrice dei programmi missilistici e nucleari della Corea del Nord dal punto di vista economico”.

Le parole di Tillerson fanno seguito alle accuse lanciate dal capo della CIA, Mike Pompeo, secondo cui Pechino costituirebbe oggi la minaccia più grave per gli interessi strategici USA, maggiore di Russia e Iran e arrivano appena due giorni dopo la sparata del capo della Flotta del Pacifico, Scott Swift, su un attacco nucleare alla Cina. Non si è fatta attendere la reazione cinese: dal Ministero degli esteri replicano che, seguendo la logica USA, qualunque paese, dotato di forte potenziale economico e militare, costituisce una minaccia per il mondo e solo gli Stati Uniti, a priori non possono rappresentare una minaccia per nessuno. La Cina, riporta la nota del Ministero degli esteri, non ha mai inteso e non intende interferire negli affari di altri paesi; al tempo stesso, non permette agli altri paesi di minacciare la Cina e danneggiare i suoi interessi”.

“Gli alti gradi militari USA hanno perso la testa” ha detto in un’intervista a tvzvezda.su il colonnello a riposo Viktor Baranets; a quel comandante “qualcuno, al Pentagono o addirittura alla Casa Bianca, ha permesso di abbaiare contro la grande Cina”, ha aggiunto. Nel giorno stesso delle affermazioni di Swift, ha detto Baranets, “il mondo si è congedato con una potenza quale gli Stati Uniti d’America, dato che al loro posto si è formato uno stretto tra Canada meridionale e Nord America. Non si può scherzare così con la Cina. Quel comandante l’ha evidentemente confusa con un Vanuatu qualunque”. Credo che gli abbiano “permesso di abbaiare. Ma, si sa, tutte le guerre più drammatiche iniziano con l’agitare simili pericolose parole”.

Di fatto, la sparata di Swift era venuta a conclusione delle manovre navali americano australiane “Talisman Saber 2017”, al largo delle coste del Queensland, controllate a distanza, in acque internazionali, da un vascello cinese da ricognizione classe 815, in grado di captare le comunicazioni tra le unità americane e australiane. Prima di questa, scrive Ilja Plekhanov su RIA Novosti, un’altra unità cinese era stata notata al largo dell’Alaska, durante le prove americane del sistema THAAD. Gli USA stessi sembrano aver notato una maggiore attività della marina cinese proprio dopo la decisione definitiva sull’installazione del THAAD in Corea del Sud. Pechino, sembra preoccupata anche per il radar statunitense AN/TPY-2, in grado di controllare lo spazio aereo cinese.

La Cina, osserva Plekhanov, dispone di diverse unità navali da ricognizione: oltre a varie modifiche della classe 815, sono ancora in servizio le vecchie Yuanwang e alcune 814A. Se finora, osserva Plekhanov, a Washington erano abituati alla sola presenza, al largo delle coste americane, di vascelli da ricognizione russi, oggi gli analisti occidentali parlano di una nuova era, con la Cina che si comporta in maniera sempre più sicura sugli oceani. Se Pechino, conformemente al diritto marittimo internazionale, non si addentra in acque territoriali straniere, esprime al tempo stesso sempre maggiore insoddisfazione, quando forze navali di altri paesi incrociano al largo delle coste dei territori contesi nel mar Cinese Meridionale. A quanto pare, conclude Plekhanov, il monopolio USA sulla ricognizione radioelettronica navale negli oceani è giunta al termine, con Russia e Cina diventati giocatori a pieno titolo.

I latrati di Scott Swift testimoniano evidentemente del nervosismo di Washington per la nuova situazione.

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