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25/07/2017

“Russiagate”, il Congresso sfida Trump

di Michele Paris

Mentre il consigliere/genero del presidente Trump, Jared Kushner, è apparso per la prima volta lunedì di fronte a una delle due commissioni del Congresso incaricate di indagare sui presunti legami tra l’amministrazione repubblicana e la Russia, lo scontro interno alla classe politica americana ha fatto segnare un altro aggravamento in seguito all’accordo bipartisan sull’approvazione di nuove sanzioni contro Mosca di cui la Casa Bianca avrebbe fatto volentieri a meno.

Il pacchetto che contiene ulteriori misure punitive nei confronti di entità russe era stato approvato quasi all’unanimità nel mese di giugno dal Senato di Washington. Alla Camera si era però arenato, ufficialmente per questioni tecniche ma in realtà a causa delle perplessità di alcuni deputati repubblicani poco inclini a votare una misura che avrebbe potuto mettere in imbarazzo l’amministrazione Trump.

L’appartenenza al partito non ha comunque impedito la ormai molto probabile risoluzione del percorso parlamentare delle nuove sanzioni. Anzi, come previsto, la legge è stata scritta in modo da rappresentare precisamente una sfida alla Casa Bianca sulla questione del cosiddetto “Russiagate”.

Nel pacchetto di sanzioni, che dovrebbe approdare in aula alla Camera dei Rappresentanti già martedì, sono incluse misure punitive anche contro l’Iran e, al contrario della versione iniziale licenziata dal Senato, la Corea del Nord. Ciò mette decisamente alle strette Trump, il cui eventuale veto finirebbe per bloccare sanzioni contro Teheran e Pyongyang che egli stesso aveva richiesto e auspicato.

Non solo, il ricorso al veto presidenziale risulterebbe virtualmente inutile, visto che i leader del Congresso hanno assicurato che esiste una larga maggioranza in grado di annullarlo, e ad ogni modo non farebbe che accentuare il conflitto in corso tra i poteri dello stato.

Ancora peggio per la Casa Bianca, la legge impedisce di fatto al presidente di agire in maniera autonoma nell’applicazione delle sanzioni. Se Trump, cioè, giudicasse necessario un allentamento delle misure contro Mosca dovrebbe sottoporre una proposta al Congresso, senza la cui approvazione non potrebbero essere apportati cambiamenti allo status quo.

Gli scenari per la Casa Bianca sembrano essere dunque sempre più cupi, come confermano le prese di posizione pubbliche nei giorni scorsi di alcuni leader repubblicani, evidentemente intenzionati ad avvertire il presidente a non insistere sulla strategia russa perseguita finora.

Lo sblocco dell’impasse sul pacchetto di sanzioni ha così messo in imbarazzo una Casa Bianca già in pieno caos. Dall’amministrazione sono giunti segnali contraddittori nel fine settimana, anche se si è intravista una certa disponibilità a prendere atto della situazione e ad accettare di malavoglia l’iniziativa del Congresso.

La vice-capo ufficio stampa della Casa Bianca, Sarah Huckabee Sanders, aveva prima affermato alla ABC che Trump era in sostanza d’accordo con l’ultima versione del pacchetto di sanzioni, mentre in seguito il nuovo numero uno delle comunicazioni del presidente, Anthony Scaramucci, era apparso più cauto, avvertendo che una decisione in merito non era stata ancora presa.

La più che probabile approvazione definitiva delle nuove sanzioni contro la Russia sarà quindi prevedibilmente un’altra arma che gli oppositori di Trump utilizzeranno per aumentare le pressioni sulla sua amministrazione, così da convincerlo a cambiare rotta sugli indirizzi strategici americani.

Lo stesso accadrà quasi certamente anche dopo le testimonianze di questa settimana di Jared Kushner, sentito lunedì a porte chiuse dalla commissione Servizi Segreti del Senato e atteso invece martedì da un’audizione pubblica di fronte a quella della Camera.

Soprattutto, il tono delle risposte di Kushner alle domande di deputati e senatori sui suoi legami con la Russia potrebbe alimentare la caccia alle streghe in atto. Il Washington Post aveva pubblicato già nella mattinata di lunedì il contenuto delle dichiarazioni predisposte dallo stesso consigliere di Trump in preparazione alle due audizioni. In esse, Kushner mostrava appunto di voler continuare a negare contatti “impropri” o qualsiasi collusione con esponenti del governo di Mosca.

A poco più di sei mesi dall’ingresso di Trump alla Casa Bianca, il governo americano sta precipitando in una crisi quasi senza precedenti su una questione alimentata ad arte da una parte della classe dirigente e dai media ufficiali, nonostante non vi siano prove concrete delle “collusioni” con la Russia per orientare le elezioni e la politica estera degli Stati Uniti.

Un’ulteriore idea del livello di scontro interno al governo USA ha contribuito a darla nel fine settimana l’intervento in un forum dell’Aspen Institute di due uomini fino a pochi mesi fa ai vertici dell’intelligence americana. L’ex direttore della CIA, John Brennan, e l’ex direttore dell’Intelligence Nazionale (DNI), James Clapper, hanno di fatto invitato all’insubordinazione gli esponenti del governo incaricati di mettere in atto le decisioni del presidente Trump.

Il riferimento è andato in particolare al possibile licenziamento da parte di Trump del “consigliere speciale” dell’FBI, l’ex direttore Robert Mueller, impegnato a guidare l’indagine del “Russiagate”. Se ciò dovesse accadere, ha spiegato Brennan, si dovrebbe resistere a un ordine che risulterebbe “contrario ai valori di questo paese”, così che non solo il Congresso ma anche i funzionari governativi sarebbero chiamati a opporsi clamorosamente a una decisione che risulta peraltro tra le prerogative del presidente.

La disponibilità di una parte della classe politica e dell’apparato militare e dell’intelligence USA a violare le stesse norme democratiche consolidate dà a sufficienza la misura dell’importanza delle questioni che sono alla base del violento scontro che sta attraversando le istituzioni americane.

Per coloro che combattono contro l’amministrazione Trump, continuare a tenere alta la pressione sulla Russia è infatti una componente cruciale di un disegno strategico volto a frenare il declino dell’influenza degli Stati Uniti a livello globale.

Per quanto riguarda le sanzioni contro Mosca, l’iniziativa del Congresso rischia comunque di peggiorare non solo lo scontro interno agli USA ma anche con gli alleati europei. Con una tempestività che dimostra ancora una volta le crescenti tensioni intercontinentali, Bruxelles ha subito messo in guardia Washington dall’adottare misure punitive contro la Russia che non siano coordinate a livello di G7. Anzi, una dichiarazione della Commissione Europea ha addirittura prospettato ritorsioni se Trump dovesse firmare la legge in fase di approvazione al Congresso.

La durissima presa di posizione europea è dovuta soprattutto al contenuto delle ultime sanzioni anti-russe che, se implementate, metterebbero a rischio gli investimenti e la partecipazione a progetti nel settore energetico con Mosca di molte compagnie europee. Questo aspetto chiave non era stato toccato dalle precedenti sanzioni, decise dagli USA contro la Russia in collaborazione con l’Europa, mentre ora viene unilateralmente minacciato dall’azione del Congresso americano.

Un’azione, quella proveniente da Washington, che rischia perciò di distruggere quello che resta dell’apparente unità d’intenti con gli alleati europei nel penalizzare la Russia dopo l’esplosione della crisi in Ucraina, aggiungendo un nuovo fattore destabilizzante alle sempre più precarie relazioni transatlantiche nell’era Trump.

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