di Michele Paris
Mentre il consigliere/genero del presidente Trump, Jared Kushner, è
apparso per la prima volta lunedì di fronte a una delle due commissioni
del Congresso incaricate di indagare sui presunti legami tra
l’amministrazione repubblicana e la Russia, lo scontro interno alla
classe politica americana ha fatto segnare un altro aggravamento in
seguito all’accordo bipartisan sull’approvazione di nuove sanzioni
contro Mosca di cui la Casa Bianca avrebbe fatto volentieri a meno.
Il
pacchetto che contiene ulteriori misure punitive nei confronti di
entità russe era stato approvato quasi all’unanimità nel mese di giugno
dal Senato di Washington. Alla Camera si era però arenato, ufficialmente
per questioni tecniche ma in realtà a causa delle perplessità di alcuni
deputati repubblicani poco inclini a votare una misura che avrebbe
potuto mettere in imbarazzo l’amministrazione Trump.
L’appartenenza
al partito non ha comunque impedito la ormai molto probabile
risoluzione del percorso parlamentare delle nuove sanzioni. Anzi, come
previsto, la legge è stata scritta in modo da rappresentare precisamente
una sfida alla Casa Bianca sulla questione del cosiddetto “Russiagate”.
Nel
pacchetto di sanzioni, che dovrebbe approdare in aula alla Camera dei
Rappresentanti già martedì, sono incluse misure punitive anche contro
l’Iran e, al contrario della versione iniziale licenziata dal Senato, la
Corea del Nord. Ciò mette decisamente alle strette Trump, il cui
eventuale veto finirebbe per bloccare sanzioni contro Teheran e
Pyongyang che egli stesso aveva richiesto e auspicato.
Non solo,
il ricorso al veto presidenziale risulterebbe virtualmente inutile,
visto che i leader del Congresso hanno assicurato che esiste una larga
maggioranza in grado di annullarlo, e ad ogni modo non farebbe che
accentuare il conflitto in corso tra i poteri dello stato.
Ancora
peggio per la Casa Bianca, la legge impedisce di fatto al presidente di
agire in maniera autonoma nell’applicazione delle sanzioni. Se Trump,
cioè, giudicasse necessario un allentamento delle misure contro Mosca
dovrebbe sottoporre una proposta al Congresso, senza la cui approvazione
non potrebbero essere apportati cambiamenti allo status quo.
Gli
scenari per la Casa Bianca sembrano essere dunque sempre più cupi, come
confermano le prese di posizione pubbliche nei giorni scorsi di alcuni
leader repubblicani, evidentemente intenzionati ad avvertire il
presidente a non insistere sulla strategia russa perseguita finora.
Lo
sblocco dell’impasse sul pacchetto di sanzioni ha così messo in
imbarazzo una Casa Bianca già in pieno caos. Dall’amministrazione sono
giunti segnali contraddittori nel fine settimana, anche se si è
intravista una certa disponibilità a prendere atto della situazione e ad
accettare di malavoglia l’iniziativa del Congresso.
La vice-capo ufficio stampa della Casa Bianca, Sarah Huckabee Sanders, aveva prima affermato alla ABC
che Trump era in sostanza d’accordo con l’ultima versione del pacchetto
di sanzioni, mentre in seguito il nuovo numero uno delle comunicazioni
del presidente, Anthony Scaramucci, era apparso più cauto, avvertendo
che una decisione in merito non era stata ancora presa.
La più
che probabile approvazione definitiva delle nuove sanzioni contro la
Russia sarà quindi prevedibilmente un’altra arma che gli oppositori di
Trump utilizzeranno per aumentare le pressioni sulla sua
amministrazione, così da convincerlo a cambiare rotta sugli indirizzi
strategici americani.
Lo
stesso accadrà quasi certamente anche dopo le testimonianze di questa
settimana di Jared Kushner, sentito lunedì a porte chiuse dalla
commissione Servizi Segreti del Senato e atteso invece martedì da
un’audizione pubblica di fronte a quella della Camera.
Soprattutto,
il tono delle risposte di Kushner alle domande di deputati e senatori
sui suoi legami con la Russia potrebbe alimentare la caccia alle streghe
in atto. Il Washington Post aveva pubblicato già nella
mattinata di lunedì il contenuto delle dichiarazioni predisposte dallo
stesso consigliere di Trump in preparazione alle due audizioni. In esse,
Kushner mostrava appunto di voler continuare a negare contatti
“impropri” o qualsiasi collusione con esponenti del governo di Mosca.
A
poco più di sei mesi dall’ingresso di Trump alla Casa Bianca, il
governo americano sta precipitando in una crisi quasi senza precedenti
su una questione alimentata ad arte da una parte della classe dirigente e
dai media ufficiali, nonostante non vi siano prove concrete delle
“collusioni” con la Russia per orientare le elezioni e la politica
estera degli Stati Uniti.
Un’ulteriore idea del livello di
scontro interno al governo USA ha contribuito a darla nel fine settimana
l’intervento in un forum dell’Aspen Institute di due uomini fino a
pochi mesi fa ai vertici dell’intelligence americana. L’ex direttore
della CIA, John Brennan, e l’ex direttore dell’Intelligence Nazionale
(DNI), James Clapper, hanno di fatto invitato all’insubordinazione gli
esponenti del governo incaricati di mettere in atto le decisioni del
presidente Trump.
Il riferimento è andato in particolare al
possibile licenziamento da parte di Trump del “consigliere speciale”
dell’FBI, l’ex direttore Robert Mueller, impegnato a guidare l’indagine
del “Russiagate”. Se ciò dovesse accadere, ha spiegato Brennan, si
dovrebbe resistere a un ordine che risulterebbe “contrario ai valori di
questo paese”, così che non solo il Congresso ma anche i funzionari
governativi sarebbero chiamati a opporsi clamorosamente a una decisione
che risulta peraltro tra le prerogative del presidente.
La
disponibilità di una parte della classe politica e dell’apparato
militare e dell’intelligence USA a violare le stesse norme democratiche
consolidate dà a sufficienza la misura dell’importanza delle questioni
che sono alla base del violento scontro che sta attraversando le
istituzioni americane.
Per coloro che combattono contro
l’amministrazione Trump, continuare a tenere alta la pressione sulla
Russia è infatti una componente cruciale di un disegno strategico volto a
frenare il declino dell’influenza degli Stati Uniti a livello globale.
Per
quanto riguarda le sanzioni contro Mosca, l’iniziativa del Congresso
rischia comunque di peggiorare non solo lo scontro interno agli USA ma
anche con gli alleati europei. Con una tempestività che dimostra ancora
una volta le crescenti tensioni intercontinentali, Bruxelles ha subito
messo in guardia Washington dall’adottare misure punitive contro la
Russia che non siano coordinate a livello di G7. Anzi, una dichiarazione
della Commissione Europea ha addirittura prospettato ritorsioni se
Trump dovesse firmare la legge in fase di approvazione al Congresso.
La
durissima presa di posizione europea è dovuta soprattutto al contenuto
delle ultime sanzioni anti-russe che, se implementate, metterebbero a
rischio gli investimenti e la partecipazione a progetti nel settore
energetico con Mosca di molte compagnie europee. Questo aspetto chiave
non era stato toccato dalle precedenti sanzioni, decise dagli USA contro
la Russia in collaborazione con l’Europa, mentre ora viene
unilateralmente minacciato dall’azione del Congresso americano.
Un’azione,
quella proveniente da Washington, che rischia perciò di distruggere
quello che resta dell’apparente unità d’intenti con gli alleati europei
nel penalizzare la Russia dopo l’esplosione della crisi in Ucraina,
aggiungendo un nuovo fattore destabilizzante alle sempre più precarie
relazioni transatlantiche nell’era Trump.
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