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25/07/2017

L’intolleranza di Scalfari

Non siamo certi che con l’avanzare dell’età si perdano molte delle facoltà intellettuali. Certo, non si è più brillanti e perspicaci come in gioventù, ma si può onestamente fare il proprio lavoro mentale (vedi anche qui per una definizione) senza sfarfallare come fanciullini catturati da ogni moda.

Per farlo, ovviamente, serve qualche principio di razionalità che non coincida con “il mercato”, notoriamente bisognoso di novità anche inventate (“mode”, in qualche misura) pur di rivendere più volte prodotti intellettuali non esattamente innovativi.

Lo Scalfari dell’anzianità ha perso in brillantezza, come capita a tutti (e non gliene si può fare una colpa). Ma sotto la brillantezza, a quanto pare, non c’era molto di solido. Una delle sue più infelici sortite recenti ha preso di mira gli atei, paragonati niente di meno che agli scimpanzé.

Capiamo che l’avvicinarsi dell’ultima ora spinga diversi laici impenitenti a mostrarsi pii, non potendo o volendo scommettere sull’esistenza o meno di un qualcosa dopo la morte. Però, se si conosce un poco la Storia (e Scalfari un tempo la conosceva), si sa che l’intolleranza è una disposizione mentale caratteristica, quasi obbligata, in chiunque confidi nell’esistenza di un dio. Qualsiasi dio, senza eccezione. Perché ha “bisogno” di affermare questo assoluto, in qualsiasi modo, mentre un ateo “è costretto” a fare affidamento sull’attivazione dell’intelligenza degli esseri umani (purtroppo scarsa). Stragi immonde sono state immaginate e realizzate per imporre un dio al posto di un altro, o contro gli atei (che non tendono in genere a “fare chiesa”), tutti egualmente etichettati come “infedeli”.

Al contrario, non si ha memoria di violenze degli atei contro i fedeli di qualsiasi dio. O comunque, anche là dove una guerra civile veniva connotata (dai reazionari), come una guerra dei “fedeli” contro gli “atei” (per esempio i comunisti), la violenza degli atei non aveva come motivazione o giustificazione, o obiettivo da realizzare, “l’assenza di un dio”, ma una ben più terrena prevalenza di interessi sociali opposti a quelli occultati furbescamente sotto “la fede”.

La risposta più razionale a Scalfari non poteva che venire dall’Unione degli Atei Agnostici e Razionalisti (Uaar), di cui riportiamo il comunicato.

*****


«Da oggi cambiamo nome: non saremo più l’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, ma l’Unione degli Orango e degli Scimpanzé. Grati al signor Eugenio Scalfari per averci illuminato circa la nostra vera natura».

Il segretario dell’Uaar, Stefano Incani, commenta così l’articolo uscito su L’Espresso domenica 23 luglio, dal titolo “Atei militanti perché sbagliate”, in cui il fondatore del settimanale dice che gli atei gli ricordano gli scimpanzé «dai quali la nostra specie proviene», perché dotati di un «Io che non pensa e non si vede operare e non si giudica», e quindi, sempre nelle parole di Scalfari, di un «Io di stampo animalesco».

«Il paragone si commenta da sé – osserva Incani – ed è pure sbagliato. La nostra specie non proviene affatto dagli scimpanzé, ma come primati abbiamo più semplicemente un antenato comune. Non è solo questo comunque ad averci fatto cadere dalla sedia... pardon: dalla liana! È l’intero articolo a fare acqua da tutte le parti. In primo luogo – spiega il segretario Uaar – Scalfari dà una definizione di ateismo tutta sua e poi in base a questa attacca gli atei: il cosiddetto argomento dell’uomo di paglia. In realtà, la maggior parte degli atei non crede in dio perché non c’è alcuna prova che esista, e questo è tutto fuorché intollerante – è sano!».

«Scalfari accusa poi gli atei di essere intolleranti, ma non fornisce alcun esempio di “odio ateo”. La sua è una dichiarazione di principio: altro errore argomentativo che indebolisce ulteriormente l’intero impianto del suo ragionamento. Inoltre dipinge gli atei come individualisti, mentre su scala mondiale e sulla base di tutte le più recenti ricerche (e sì, Scalfari sbaglia anche su questo: ce ne sono molte a riguardo) sono proprio gli atei a essere più aperti alla “diversità”. D’altronde, se non si crede in dio è più facile prendere a cuore l’umanità (tutta)».

«In buona sostanza – conclude Incani – a emergere è l’intolleranza di Scalfari verso gli atei non certo quella degli atei verso chi non la pensa come loro. Dal fondatore di una delle riviste (un tempo?) più autorevoli del Paese ci saremmo aspettati qualcosa di meglio. Saranno state le conversazioni col papa a rivelargli la Verità assoluta?».

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