L’Unione Europea non è l’Europa. E non lo sarebbe neanche se tutti i paesi d’Europa ne facessero parte. E non lo fanno. L’UE è un processo di integrazione degli Stati in Europa. E non è stato il primo. Molto probabilmente, non sarà l’ultimo.
I processi di integrazione non sono neutrali. L’UE è un processo di integrazione capitalistica. Uno strumento del grande capitale e delle potenze europee che difendono i propri interessi, a cui sono associate le classi dominanti dei diversi paesi che ne fanno parte, per difendere i loro interessi. Interessi che sono contrari e inconciliabili con gli interessi dei lavoratori e dei popoli d’Europa.
La profonda e prolungata crisi dell’UE, inseparabile dalla crisi più generale del capitalismo, fa si che le campane suonino l’allarme: coloro che hanno beneficiato dell’integrazione capitalistica europea non vogliono rinunciare a questo loro strumento di sfruttamento e di dominio. Questo è il quadro sommario, quasi schematico, del dibattito in corso sul futuro dell’Europa. In ogni caso, ciò che il tempo renderà sempre più evidente è che il futuro dell’Europa, che sarà scritto con la lotta dei lavoratori e dei popoli d’Europa, perché sia nell’interesse di questi ultimi, non passa per l’UE. Anzi, esige la sua sconfitta.
Il “Libro Bianco sul Futuro dell’Europa”
Il “Libro Bianco” pubblicato nel marzo di quest’anno dalla Commissione Europea è stato presentato come occasione per avviare il dibattito. Nei suoi tratti fondamentali, questo documento sintetizza ciò che l’UE e le sue istituzioni delineano per il proprio futuro. In realtà, si tratta di un “Libro Bianco” sul futuro dell’UE, e non sul futuro dell’Europa.
Più che a un esercizio sulle prospettive del dibattito sul futuro dell’integrazione capitalistica europea, ci troviamo di fronte a una manovra con obiettivi concreti ben identificabili.
Il primo obiettivo consiste nel promuovere un’operazione di sbiancamento delle responsabilità dell’UE per la situazione che oggi si vive nei suoi diversi Stati-membri. La crisi economica e sociale, gli attacchi a diritti e la regressione della dimensione civile che determinano, le disuguaglianze e divergenze tra Stati, a giudicare dal “Libro Bianco”, nulla di ciò è responsabilità dell’Ue, nulla di ciò è collegato alle sue politiche.
Questa operazione di sbiancamento è condizione necessaria per realizzare un secondo e fondamentale obiettivo: intensificare le politiche che ci hanno portato alla situazione attuale. E ciò esige il rafforzamento dell’UE, nei suoi tre pilastri: il neoliberismo, il federalismo e il militarismo.
Finalizzato a questi obiettivi è lo sforzo per inventare minacce e nemici esterni, poiché questo aiuta a nascondere le proprie responsabilità e a giustificare fughe in avanti. Dal “terrorismo” fino al “populismo”, passando per il “protezionismo”, per la “Russia” o per le “potenze emergenti” che minacciano l’egemonia relativa delle potenze europee. Tutto serve. Anche ciò che, pur essendo presentato come fattore esterno, altro non è che conseguenza delle politiche dell’UE.
Il Libro Bianco, fingendo di aprire il dibattito, fissa i suoi termini. I diversi scenari, presentati come opzioni alternative da perseguire, convergono su un’unica via: salvaguardare e approfondire il processo di integrazione capitalistica europeo.
In sostanza, sono individuate tre opzioni:
– La continuità. Questa opzione implica di proseguire, al ritmo seguito fino ad ora, orientamenti politici e strategici già annunciati dalla Commissione Europea almeno dal 2014 e quelli contenuti nella Dichiarazione di Bratislava del 2016, in cui è definita la tabella di marcia della scalata militarista e securitaria nell’Unione Europea;
– Un falso ritiro. Questa opzione implica il mantenimento del nucleo dell’integrazione capitalistica – il mercato unico – e, di conseguenza, il mantenimento della sua intrinseca e inarrestabile dinamica della divergenza, e neppure mitigata dalla “politica di coesione” che, diciamolo per rispetto della verità, non è mai stata dotata dei mezzi necessari e che ora è progressivamente smantellata. E’ infatti molto significativo che in nessuno degli scenari sia proposto il rafforzamento della politica della coesione;
– La pulsione federalista. Questa opzione, scelta dalle istituzioni dell’UE e da chi in esse comanda, esige l’approfondimento federale – sia dell’insieme, che di parti della sua geometria variabile –, portando ancora più avanti il processo di concentrazione e centralizzazione del potere nelle istituzioni dell’UE e nelle potenze che la controllano; accentuando la dipendenza e la subordinazione politica ed economica degli Stati più fragili e piccoli; allargando le aree di intervento dell’UE in settori di competenza degli Stati-membri; accentuando la deriva militarista e securitaria, le politiche neoliberiste e di deregolazione, in breve, le ingiustizie e le disuguaglianze.
La Commissione Europea non ha atteso il dibattito sulle opzioni che ha enunciato e ha già avanzato proposte concrete di ulteriore sviluppo in vari settori, dimostrando che il percorso è già stato definito.
Immediatamente messa da parte l’ipotesi di una falsa marcia indietro e, in una certa forma, anche quella della mera continuità (che già presuppone un certo grado di approfondimento), la discussione si concentra ora sulla velocità e sulle condizioni con cui si avanza verso l’approfondimento: velocemente o molto velocemente, con tutti o solo con alcuni.
Militarismo e guerra
Come abbiamo già avuto occasione più di una volta di sottolineare, i monopoli europei e le potenze che difendono i loro interessi, che hanno colonizzato mercati dal centro alle periferie dell’UE, con allargamenti successivi, e che si lanciano nel mondo con la loro nota e naturale avidità, hanno bisogno di uno Stato pronto a difendere i loro interessi, la loro pulsione imperialista, il loro tasso di profitto. A questo scopo, contano sulle grandi potenze nazionali (i loro Stati “di origine”) ma anche, ancora più di questo sul “superstato europeo” – l’UE.
Nel confronto su scala globale per la disputa dei mercati, delle materie prime e delle zone di influenza, le potenze dell’UE non possono fare a meno di una UE interventista e militarizzata. Al contrario la reclamano con crescente insistenza.
La Commissione Europea ha diffuso recentemente un “documento di riflessione” sul “futuro della difesa europea”. Questo documento appare in conseguenza della “Cooperazione Permanente Strutturata” nel settore della difesa, decisa lo scorso marzo dal Consiglio d’Europa, al fine di “garantire il livello delle ambizioni dell’UE, in vista di missioni più impegnative” e che propone di “rafforzare le capacità” dell’UE nel campo della “difesa”.
In questo “documento di riflessione”, la Commissione Europea difende la spinta all’industria militare, degli armamenti e della difesa, e la sua integrazione su scala UE. E maggiore cooperazione nei campi della ricerca e dello sviluppo nel settore della difesa, dello sviluppo di nuovi armamenti e delle operazioni esterne (al di fuori dello spazio UE), civili e militari.
Sono disegnate le linee guida in campi come la militarizzazione dello spazio, la “ciber-guerra” e le “minacce ibride”, da proseguire in stretta cooperazione con la NATO.
Il “nuovo” concetto strategico della NATO è pienamente assunto e integrato negli orientamenti dell’UE, che riguardano, confondendo e mescolando, i concetti di “sicurezza” e di “difesa”.
Le giustificazioni addotte nel documento per la spinta militarista che è stata impressa riguardano “il livello di minaccia e le sfide senza precedenti che l’UE affronta e a cui nessuno Stato-membro è in grado di rispondere da solo”, in particolare per quanto riguarda il terrorismo; “il desiderio di sicurezza che i popoli di vari paesi dell’UE manifestano in sondaggi di opinione”; “la decisione del Regno Unito di uscire dall’UE”; “l’incertezza sulle scelte di politica estera da parte dell’Amministrazione USA”; “l’aumento dei bilanci per la difesa di Cina e Russia”.
Considerati tutti questi fattori, la Commissione Europea conclude che è necessario lo sviluppo di capacità proprie e “autonome” dell’UE nel campo della “sicurezza e difesa”.
Tale orientamento esige un “autentico Mercato Unico della Difesa”. Che significa “incoraggiare la concorrenza industriale” nel settore, garantire l’accesso a mercati transfrontalieri (intra-UE), specializzazione, economie di scala, “capacità di produzione ottimizzata”, bassi costi di produzione e “sicurezza di approvvigionamento”.
Come nel “Libro Bianco” prima menzionato, anche il “documento di riflessione” lascia aperti scenari con velocità e livelli di ambizione diversi ma che convergono sulla medesima strada da seguire: quella della militarizzazione dell’UE.
Il “Fondo Europeo di Difesa”, proposto dalla Commissione Europea e approvato dal Consiglio Europeo alla fine del 2016, razionalizzerà la concentrazione di risorse pubbliche e il finanziamento della strategia della militarizzazione, garantendo una maggiore efficienza ed efficacia degli investimenti. Il Fondo “coordinerà, integrerà e amplificherà” gli investimenti nazionali in ricerca militare, sviluppo di prototipi e acquisizione di tecnologia e materiale bellico.
Insomma, e anche senza guardare alle altre componenti del processo di integrazione capitalistica europeo, le spinte impresse al rafforzamento della sua componente militarista sono motivo sufficiente per segnalare che la direzione che l’UE auspica e difende per l’Europa è un pericolo, un’enorme minaccia per il futuro del continente e dei suoi popoli.
Approfondimento dell’UEM e la bufala del “pilastro sociale”
L’offensiva si sviluppa anche su altri fronti. Prima di affrontare il “futuro della difesa europea”, la Commissione Europea ha presentato un altro documento in merito all’approfondimento e al completamento dell’Unione Economica e Monetaria.
Il significato generale è quello della creazione di rafforzati meccanismi di intrusione, da parte dell’UE, nella vita degli Stati. Meccanismi che sono necessari per consacrare il neoliberismo come unica dottrina e imporre politiche di tagli anti-sociali ancora più pronunciati.
Il completamento dell’Unione Bancaria rimuove il sistema finanziario dalla sfera della sovranità degli Stati, che sono ora privati anche di questo fondamentale strumento di promozione di politiche di crescita e sviluppo economico. Un passo che si aggiunge alla perdita di sovranità e, per estensione, sul piano del bilancio. Che cosa rimarrebbe?
E’ anche ammessa la creazione di un “ministro delle finanze della Zona Euro”, che avrebbe potere di veto sui bilanci nazionali. Ciò è presentato come la contropartita necessaria alla realizzazione della “capacità di bilancio” della Zona Euro. Riconoscendo l’intrinseca e brutale dinamica della divergenza associata alla Zona Euro, con l’imposizione di una moneta unica a economie con gradi di sviluppo e strutture produttive molto diverse; riconoscendo che, in questo contesto, non resta alla periferia della Zona Euro altro futuro che non passi attraverso più dipendenza, subordinazione, debito e una disoccupazione strutturalmente elevata; chi comanda nell’UE ammette ora di concedere qualche briciola del banchetto che è rappresentato dalla spoliazione dei popoli della periferia.
C’è anche il “pilastro sociale”. Obiettivo e bandiera della socialdemocrazia europea. Che si vuole destinato a fissare e armonizzare i livelli minimi di diritti sociali nell’UE.
In considerazione della concezione minimalista (e spesso perversa) prevalente nell’UE sui diritti sociali e del lavoro, il “pilastro sociale” corrisponderà prevedibilmente a (più di un) tentativo di livellare verso il basso gli standard sociali.
Inoltre, il pacchetto “sociale” mira a legittimare strumenti antidemocratici e pronunciati tagli anti-sociali, come il Semestre Europeo, la Governance Economica e il Trattato di Bilancio.
Il Portogallo e il futuro dell’Europa
Di fronte al dibattito in corso, in Portogallo si intensifica il discorso della “prima linea del fronte”. Partito Socialista (è da evidenziare l’azione particolarmente negativa dell’attuale governo in questo campo), PSD e CDS difendono apertamente il coinvolgimento del paese nella rete dei vincoli sempre più stretti che renderanno sempre più difficile ottenere la sua necessaria liberazione. Agiscono in difesa degli stessi interessi di classe che sempre hanno orientato la loro posizione in merito all’integrazione capitalistica e che determinano la loro permanente postura di abdicazione nazionale e di incertezza in contrasto con l’interesse nazionale, che si identifica con gli interessi dei lavoratori e del popolo portoghese.
Una cosa è certa: la lotta dei lavoratori e dei popoli sarà fattore determinante nella definizione e costruzione del futuro.
Le istituzioni dell’UE e le potenze che le controllano, lottano per un certo futuro, quello che conviene a loro. Ma non saranno queste, con “libri bianchi” e “documenti di riflessione”, a definire le scelte possibili per il futuro dell’Europa. Sarà la lotta a determinare l’ampiezza del campo del possibile e a concretizzare il futuro. Sarà questa lotta che aprirà la strada a un’altra Europa, di pace, e di cooperazione, di progresso e di giustizia sociale, di Stati liberi, sovrani e uguali nei diritti.
Il futuro dell’Europa non è limitato alle scelte che l’UE stabilisce per il proprio futuro, che non fanno che evidenziare l’assenza di soluzioni per le profonde contraddizioni che corrodono l’integrazione capitalistica.
Il futuro a cui aspirano i lavoratori e i popoli d’Europa dovrà inevitabilmente passare attraverso la sconfitta di questa integrazione e la fine degli strumenti che limitano lo sviluppo sovrano degli Stati, che impongono il neoliberismo come unica ideologia e che spingono il continente a una scalata militarista con conseguenze pericolosissime.
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