E’ estate, siamo oltre la seconda metà di un agosto torrido, e dalle spiagge affollate dai turisti si possono vedere i canadair che sfiorano l’acqua del mare, riempiono i serbatoi e volano via verso gli incendi nel tentativo di spegnerli. Questo spettacolo tragico va avanti da luglio e non sembra arrestarsi. Intanto il primo agosto a Roma, il governo Gentiloni ha approvato un pacchetto di misure che distribuirà nel mezzogiorno d’Italia ben 3 miliardi e mezzo. Gli imprenditori si sfregano le mani e plaudono all’intervento, vista la mole di fondi destinati alle opere infrastrutturali, un piatto ghiotto per la banda del calcestruzzo; il premier Gentiloni sostiene che si tratta di “un’occasione da non perdere”, una frase oramai abusata e vuota come molta parte della retorica che riguarda il Mezzogiorno d’Italia. I ricordi, inevitabilmente, vanno a quello “sviluppo senza gioia”, per riprendere il titolo di un bel libro di Oscar Greco, che merita di essere letto perché restituisce un quadro chiaro di come la marea di fondi versati nel tempo al sud siano andati a beneficio dei blocchi di potere che non si sono fatti nessuno scrupolo a devastare luoghi e lasciare scheletri di fabbriche che non hanno mai prodotto niente.
Intanto, il 18 agosto, sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria, viaggiando verso Rosarno, si sente l’odore del fumo e si possono vedere, sulle colline che costeggiano l’autostrada, i resti anneriti di quelli che un tempo erano alberi della macchia mediterranea; ettari ed ettari mandati in fumo per distrazione, per interesse, come ogni anno, da decenni oramai.
In questa estate di calura da record, nella prima settimana di luglio è andata a fuoco anche una delle baraccopoli abitate dai migranti in quella che viene definita la seconda zona industriale di San Ferdinando – un comune della piana di Gioia Tauro, ad un tiro di schioppo da Rosarno. Questa tendopoli-baraccopoli era nata come soluzione abitativa temporanea, dopo la rivolta dei migranti del gennaio 2010, innescata, allora, dall’ennesimo atto di violenza – dei giovani autoctoni usavano i migranti come bersagli mobili su cui sparare, lungo la strada che portava ad una fabbrica abbandonata in cui vivevano un migliaio di immigrati, indispensabili per l’economia agricola della piana ed in particolare per la raccolta degli agrumi.
Le immagini della rivolta fecero il giro del mondo. Alla fine, dopo alcuni giorni di tensione i ‘niuri’ vennero allontanati dalla piana, caricati sugli autobus e portati via. In quell’occasione molte furono le promesse e i piani d’intervento per mettere fine, almeno a parole, alle precarie condizioni di vita e di lavoro di quei braccianti stagionali. Più volte, nei discorsi pubblici, si rievocarono i tempi in cui i migranti eravamo noi, e il trattamento ricevuto in Svizzera, Belgio, Germania. Ma come la storia insegna, aver conosciuto condizioni difficili non sempre basta per provare empatia e cercare di non far rivivere agli altri quello che noi abbiamo patito. Così dal 2010 in poi, senza che vi fossero grandi cambiamenti, l’emergenza senza fine è diventata la norma.
Ed eccoci ad oggi, a distanza di quasi sette anni, la vecchia tendopoli è cresciuta e accanto alle tende del ministero degli interni sono sorte le baracche di legno che i migranti hanno costruito per avere un posto in cui stare. All’inizio nella tendopoli c’erano almeno i servizi minimi come luce, acqua e bagni chimici; poi questi sono spariti per assenza di fondi e di volontà politica.
Agli inizi di luglio, quando il caldo ardeva senza sosta e l’asfalto si scioglieva sotto i piedi, un incendio ha distrutto una parte della baraccopoli. Di nuovo il can can mediatico; i reportage documentavano le condizioni di vita disumane di oltre 600 persone all’interno del campo con la spazzatura, le malattie, i bagni e le docce di fortuna. Da qui l’urgenza di sistemare di nuovo, come in un gioco dell’oca senza fine, i migranti rimasti senza un tetto o un giaciglio da qualche altra parte nel tentativo di mettere fine all’emergenza della volta scorsa, quella del 2010, con una nuova soluzione emergenziale.
A questo punto, quello che succede a luglio di quest’anno, è che dopo l’incendio oltre un centinaio di migranti vengono trasferiti in un capannone preso in fitto (da notare che anche qui mancano i servizi), e poi si rimette mano di gran corsa al progetto fermo da un anno che prevedeva la costruzione di una nuova tendopoli. Dopo oltre un mese di intenso lavoro, il 18 agosto a poche centinaia di metri dal vecchio insediamento, ha inizio il trasloco dei migranti. Ma anche qui non mancano i problemi. Le tende piazzate sotto il sole non possono ospitare tutti gli immigrati (i posti sono poco più di 300 e non 400 dopo la sostituzione delle brandine con i letti) e poi, sebbene questo spazio sia dotato, almeno per il momento, di luce, acqua, bagni e un presidio medico, non tutti sono disposti ad accettare la vita in un campo che somiglia ad un centro di detenzione con videosorveglianza, dove l’accesso è limitato e in cui non è possibile preparare i propri pasti in autonomia.
Così il 18 agosto, con un sole che spaccava le pietre, per l’ennesima volta sotto l’apparenza della propagandata ‘accoglienza dignitosa’ – da notare il fatto che la frase ‘dignità per i migranti’ è tornata in quei giorni ossessivamente nei discorsi pubblici di politici, forze dell’ordine, protezione civile – si è inaugurato l’ennesimo fiore del rifiuto: una tendopoli in cui nessuno vorrebbe passare più di mezz’ora della sua vita e che pur tuttavia nelle rappresentazioni di potere viene proposta quasi come un albergo.
Questa soluzione ibrida, una tendopoli che somiglia ad un campo di concentramento, è quella prevista nei piani di Minniti per i migranti che, oltre alla costruzione di campi, vede di nuovo in gioco la figura dei commissari prefettizi che dovrebbero gestire le famose emergenze, e questo in particolare in tre zone del meridione, dove i migranti vengono sfruttati nel settore agricolo: Manfredonia, in Puglia; Castel Volturno, in Campania; e Rosarno in Calabria.
Il commissario straordinario nominato in Calabria, Polichetti, insediato da pochi giorni, dovrà nelle prossime settimane, mesi o forse più, far fronte ad una serie di problemi rimasti irrisolti. Solo per citarne alcuni: le condizioni disumane in cui versano i migranti trasferiti nel capannone industriale dopo l’incendio di luglio; verificare se sia dignitoso e vivibile convivere con il fetore di un inceneritore, quello dell’azienda di compostaggio Biomatrix, che sorge proprio a poche centinaia di metri dalle due tendopoli, la vecchia e la nuova1, e sta appestando l’area dei comuni di Rosarno e San Ferdinando; vi è poi la questione dei documenti e dei rinnovi dei permessi di soggiorno. La lista non finisce qui, ci sarebbe ancora il lavoro per un improbabile coinvolgimento nell’inserimento e accoglienza dei migranti da parte degli imprenditori agricoli – gli stessi che da decenni sfruttano i lavoratori migranti senza i quali l’intera economia agricola italiana andrebbe a picco; e poi tocca far fronte all’aumento delle presenze nel periodo invernale, quello in cui aumenta la necessità di lavoratori immigrati per la raccolta degli agrumi – si stimano 2000 presenze. Già adesso la nuova tendopoli ha meno posti di quanti ne servirebbero.
A guardarlo bene anche il piano dell’Accoglienza diffusa per come emerge dalle parole di Minniti è cosa ben diversa da quella a cui eravamo abituati pensando ad esempio a Riace o a Drosi, altro paese quasi spopolato, poco lontano da Rosarno, dove oggi convivono giovani migranti ed una popolazione per lo più di anziani. Nella nuova versione minnitiana, invece, Accoglienza diffusa non vuol dire usare le case abbandonate dei borghi per provare a dare una casa vera ai migranti ed inserirli nel contesto socio-economico, bensì si tratta di requisire e usare i vecchi capannoni industriali della piana di Gioia per farne dormitori-ghetto o di costruire tendopoli con un esborso di soldi pubblici rilevante quanto inutile.
Al di là della retorica, qui di dignitoso non c’è quasi niente, vi è, invece, un gioco perverso sulla pelle dei migranti che sono solo delle pedine nella scacchiera geopolitica globale; pedine la cui vita o morte è cosa di poco conto, tanto che si è arrivati addirittura a criminalizzare le ONG che hanno tentato la via più sicura, ovvero quella dei trasbordi dei migranti in mare di fronte alle coste libiche, riuscendo a portare in salvo migliaia di persone in fuga da guerre, torture, persecuzioni.
Questa fiera dell’inumano viaggia dal Mezzogiorno d’Italia a Roma dove, negli ultimi giorni, per i profughi che hanno cercato di difendersi dall’ennesimo sgombro e manifestare il proprio dissenso, sono stati usati i manganelli e gli idranti. E quindi non ci resta che darci appuntamento a Roma, oggi, per la manifestazione di protesta e fare in modo che la gioia circondi il dolore (per info vedi link2).
Note
1 https://www.facebook.com/aria.pulita.a.san.ferdinando/
2 https://www.facebook.com/progettodegage/photos/a.437608059726828.1073741828.437227366431564/909040605916902/?type=3&theater
Fonte
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