Ora è il momento in cui il governo, il ministro dell’interno, la Regione Lazio, la giunta romana, devono correre ai ripari e mettere una toppa alla figuraccia da neonazisti di Charlottesville fatta con i rifugiati richiedenti asilo di Piazza Indipendenza.
Pare – la fonte è Repubblica, dunque è bene diffidare – che Minniti in persona stia facendo stilare le “nuove linee-guida che le questure dovranno seguire per effettuare gli sgomberi. “La prossima settimana – dice una fonte qualificata del ministero dell’Interno a Repubblica – scriveremo nuove linee guida per effettuare gli sgomberi ordinati dai giudici, e le invieremo a tutti i prefetti d’Italia. Tra le disposizioni ci sarà sicuramente quella di non autorizzarli se prima non è stata concordata una sistemazione dove alloggiare chi ne ha diritto”.
Sembra una buona notizia, ma non lo è. Intanto, sembra davvero sorprendente – per usare un eufemismo – che finora il ministero (dunque il governo e giù per i rami, fino all’ultima amministrazione comunale) abbia proceduto a buttare gente in strada in assenza di alternative abitative. Sappiamo benissimo che hanno sempre fatto così, ma scriverci una circolare apposita è una confessione che va registrata come tale e ricordata ogni volta che vi dicono “siamo dalla parte dei cittadini” o “noi combattiamo il razzismo”.
In secondo luogo appare altrettanto certo che le nuove direttive saranno concepite in modo da “sorprendere” gli sgomberandi e gli organi di informazione, in modo da far circolare meno immagini possibile delle violenze poliziesche.
Dai media mainstream, oltre a immagini e video mandati da cittadini, non arrivano segnali di resipiscenza. Stamattina – probabilmente riprendendo “veline” della questura – è tutto un fiorire di sketch scandalizzati sul “palazzo occupato”, in cui sarebbero stati accolti anche “irregolari” non meglio specificati, in cambio di un “affitto” (ben 10 euro...) raccolto da qualche capo-comunità.
Un classico copione in cui si rovescia la catena delle responsabilità per criminalizzare chi è già stato sgomberato, pestato, deportato o costretto alla fuga. La sequenza giusta è questa: lo Stato ha disatteso il suo obbligo a rispettare le norme internazionali sui rifugiati e richiedenti asilo, perché dopo aver giustamente accolto chi era in fuga dalla guerra, si è completamente disinteressato del passo successivo: facilitare l’integrazione. Insomma, ha lasciato per strada gente che andava viceversa aiutata (non “assistita”) a trovare una sistemazione esistenziale. Costrette ad “arrangiarsi” – pari pari a gran parte della popolazione indigena, ossia gli italiani – queste persone hanno trovato soluzioni di fortuna, che in alcuni casi sono rappresentate dalle occupazioni di stabili vuoti e inutilizzati. Di cui in genere i proprietari si ricordano solo quando hanno trovato una combinazione speculativa favorevole. Tra le soluzioni di fortuna, come noi italiani abbiamo insegnato al mondo da emigranti, c’è a volte anche l’aiuto reciproco interno alle varie comunità etniche; un aiuto non sempre amichevole, perché le soluzioni di fortuna sono costitutivamente patogene per chi è costretto a farvi ricorso.
Mostrarsi scandalizzati perché questo accade, dopo aver disatteso ogni impegno concreto perché non potesse avvenire, è la riprova della sozzura intellettuale che appesta tutto il circuito della “classe dirigente”, dai cosiddetti “politici” agli opinionisti iperpagati, fino all’ultimo dei cronisti precari che sperano in un’assunzione mostrandosi servili (a proposito di “soluzioni di fortuna” che generano patologie...).
Chi invece non ha alcuna scusante patologico-ambientale è l’anonimo funzionario “spaccabraccia”, quello che ordinava agli agenti di “far sparire” quell’insieme umano per lui tanto odioso.
Una comparazione tra i video girati in piazza dopo lo sgombero dei rifugiati e quello della trasmissione di RaiTre Gazebo di tre anni fa ha dimostrato che si tratta proprio dello stesso funzionario che aveva ordinato le cariche contro gli operai della ThyssenKrupp di Terni, guidati dall’allora segretario generale della Fiom Maurizio Landini.
Il 29 ottobre 2014, sempre a Piazza Indipendenza (evidentemente la location gli appare per qualche ragione “perfetta”, o semplicemente il suo ufficio è ubicato nei pressi...), di fronte ai lavoratori della fabbrica di Terni che intendevano raggiungere la zona dei ministeri imboccando via Solferino, presidiata dalla polizia, ordinò “Caricate! Caricate!“. Senza altre frasi rivelatrici.
Anche allora la questura non mancò l’occasione per coprirsi di vergogna e ridicolo. Giustificò infatti la carica asserendo che “i manifestanti intendevano occupare la stazione Termini”. Altro che “processo alle intenzioni”, in quel caso c’era anche una sentenza preventiva...
Stavolta le parole del funzionario – registrate da tanti microfoni – non potevano essere coperte con giustificazioni di alcun genere. Un po’ troppo esplicite, diciamo...
Dal nostro punto di vista, però, l’anonimo “Spaccabraccia” andrebbe in qualche modo addirittura ringraziato: la sua indifferenza al tipo di manifestante che si trova davanti – metalmeccanico, migrante, oppositore politico, sindacalista neanche troppo estremo, ecc. – dimostra un’imparzialità di pestaggio che liquida come una vera idiozia tutto l’armamentario della “guerra tra poveri”. La lunga lista di “capri espiatori” con cui si cerca di scaricare la rabbia sociale su gruppi ancora più deboli (“i negri” sono ovviamente all’ultimo gradino della scala) viene infatti stracciata dal manganello “Spaccabraccia”.
Per questo potere siamo tutti uguali. Tutti da “far sparire”, da mandare all’ospedale o in galera se appena appena alziamo la testa, che si sia nati a “Torbella”, a “Torpigna” o ad Addis Abeba...
Sarebbe il caso di rendersene conto.
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