È stato possibile quest’anno
annoverare il saggio di Carchedi tra le migliori letture ferragostane.
La prima virtù, formale, del testo sono la sintesi precisa ed il
linguaggio asciutto utilizzati, tipici della trattazione scientifica.
E usando questo attributo un po’ misterioso veniamo subito ai contenuti
dello scritto, che ha l’ambizione ed il merito di affrontare da un
punto di vista marxista il tema del carattere di classe della
conoscenza, e (cioè) della scienza, e l’impegnativo argomento del lavoro
“di trasformazione mentale”. Su questo l’Autore va subito al sodo ed
anzi, sgomberato presto il campo da alcune concezioni sbagliate e
precisati i concetti fondamentali, si inoltra su terreni ulteriori,
ancor più avanzati e inesplorati tentando “un’analisi marxista di
internet” ed analizzando le caratteristiche del lavoro di chi presta la
propria opera in ambito informatico. (1)
I conti con l’operaismo
Gettando nuova luce su tematiche
finora affrontate male, quantunque sempre troppo poco rispetto al
necessario, il saggio di Carchedi bonifica il terreno dagli equivoci e
dalle concezioni sbagliate derivanti dalle correnti di pensiero
dell’operaismo e del post-operaismo, in particolare distanziandosi
risolutamente da chi ha concepito uno “sfruttamento” (una produzione di
plusvalore) non relazionato al lavoro salariato: “il che significa che chi produce plusvalore vivrebbe d’aria” [p.23].
Al contempo, spiegando il carattere
di classe di ogni forma di conoscenza e riconducendola a prodotto
sociale di duplice natura (“doppia e contraddittoria razionalità della conoscenza” [p.26]) l’Autore fa intravvedere il carattere alienato
del lavoro “mentale” (cognitivo, intellettuale – ma per precisazioni su
questi termini si veda oltre) e pone le basi corrette per la denuncia
del suo sfruttamento reale (“quelle competenze sono soggette a
dequalificazione e il loro posto di lavoro è soggetto agli alti e bassi
del ciclo economico... il loro tasso di sfruttamento può essere anche
maggiore di quello di molti lavoratori nei processi lavorativi oggettivi”
[p.26]). Tutto ciò in netto contrasto con le concezioni per l’appunto
negriste, illusorie-consolatorie, che hanno immaginato un “lavoratore cognitivo”
pienamente padrone della conoscenza acquisita e quindi non alienato nel
suo lavoro ma viceversa in grado, essendo parte di un favolistico general intellect libero
e giocondo, di evertere il sistema capitalista facendo valere gli
interessi di non meglio specificate “moltitudini” dal sapore biblico.
Lavoro manuale, oggettivo, mentale o intellettuale
Proprio per distanziarsi ed evitare
confusioni con elaborazioni concettuali fuorvianti, fa sicuramente bene
l’Autore ad evitare l’uso della terminologia alla moda in certi ambienti
(lavoro cognitivo, cognitariato, ecc). Carchedi d’altronde preferisce ridefinire gli ambiti del lavoro parlando da una parte di lavoro di trasformazione oggettiva, i cui prodotti sono tangibili (oggetti), e dall’altra di lavoro di trasformazione mentale (più semplicemente: “lavoro mentale“). “Nozioni
quali ‘lavoro intellettuale’ rispetto al ‘lavoro manuale’ sono
teoreticamente vuote. Tutto il lavoro è intellettuale perché implica
l’attività del cervello e tutto il lavoro è manuale, anche se si tratta
di scrivere i propri pensieri su un pezzo di carta. Lo stesso vale per
categorie quali ‘lavoro materiale’ e ‘lavoro mentale’. Tutto il lavoro
materiale necessita il concepire, l’ideare; tutto il lavoro mentale
necessita tutto il corpo senza il quale il cervello non potrebbe
funzionare. Bisogna quindi cambiare prospettiva. Bisogna partire dalla
nozione di trasformazioni. Esse sono di due tipi, oggettive e mentali.
Entrambe, come vedremo, sono materiali.’ [p.8]
Se però l’oggetto specifico della
discussione non è il carattere “manuale” o meno, “materiale” o meno,
della produzione, quanto il suo contenuto in termini di conoscenza, sull’utilizzo dell’attributo mentale gravano altre insufficienze e ambiguità. Innanzitutto, il termine mentale
non riporta solamente all’ambito della conoscenza ma anche alla sfera
emotiva e sensoriale. Cosicché, può essere considerato lavoratore mentale chi
sta davanti a uno schermo o alla guida di una vettura e deve mettere
alla prova soprattutto i propri riflessi (sorveglianti, autisti,
aviatori...); volendo rimanere nell’ambito informatico e di internet, può
essere considerato lavoratore mentale chi viene pagato in base al numero di click che fa su di un bottone: è noto infatti che il numero di like
di Facebook, o la frequenza delle visite dei siti internet, o semplici
recensioni “farlocche” dell’uno o l’altro servizio commerciale, possono
essere massimizzate anche a pagamento per indirizzare i consumi,
cosicché esistono impieghi fortemente precari e malpagati in tali ambiti
del settore del marketing.
Evidentemente, i lavori appena descritti sono a basso o bassissimo contenuto di conoscenza, ma al contempo è inappropriato definirli lavori manuali, materiali o di trasformazione oggettiva.
Per converso, i lavori “di trasformazione oggettiva”
di cui parla Carchedi non sono scevri da contenuti conoscitivi –
l’Autore stesso lo dice. In effetti in una società avanzata, capitalista
o socialista che sia, non esiste lavoro per il quale non sia opportuna
una profonda e intensa formazione intellettuale (trasmissione di
conoscenza). In un allevamento di suini oggi come oggi è necessario
usare cognizioni complesse di Biologia, Agronomia, Sicurezza sul lavoro,
Scienze ambientali, Alimentazione, Contabilità e Marketing, oltre alla
formazione tecnica specifica per l’utilizzo di tutti i macchinari... Un
operaio metalmeccanico nell’Italia del XXI secolo tipicamente staziona
al pannello di comando di un Centro di Lavoro semiautomatico, e dovrebbe
avere una formazione tecnico-ingegneristica con elementi di
informatica, elettricità-elettronica, sicurezza delle macchine,
sicurezza sul lavoro. Un saldatore dovrebbe avere studiato i diversi
processi e tecniche di saldatura (campo tutt’altro che banale o
ristretto), oltre alle sempre indispensabili cognizioni di sicurezza sul
lavoro. E così via.
Se dunque il fulcro dell’analisi che andiamo sviluppando è la conoscenza usata/prodotta nel processo lavorativo, forse è il caso di tornare a parlare di lavoro intellettuale – quando esso consiste nella (ri)produzione di mera conoscenza. Il termine intellettuale in questa accezione sta semplicemente a richiamare il contenuto di conoscenza, e non dovrebbe esserci il rischio di usarlo “in
modo idealistico per caricarlo di una diversa qualità rispetto al
lavoro manuale, nascondendo ideologicamente la natura comune delle due
attività complementari dell’essere umano” [Casadio, p.5]. In ogni caso, senza dubbio possiamo parlare dei lavoratori della conoscenza e della loro condizione.
La categoria dello scientifico
Non si tratta di operare distinzioni tranchant tra
lavoratori, quanto piuttosto di (a) riconoscere che esistono attività
lavorative di trasformazione (produzione-riproduzione) delle conoscenze;
(b) applicare ad esse – come fa Carchedi – le chiavi di interpretazione
che ci fornisce il marxismo, ammettendole a pieno titolo (se effettuate
sotto padrone) nel novero di ogni altra attività lavorativa svolta nel
sistema di produzione (e creazione di plusvalore) capitalistico; (c)
rilevare che esiste una continuità tra il lavoro più triviale
(ripetitivo, a scarso contenuto di conoscenza benché non necessariamente
manuale o materiale) e quello più complesso e qualificato, con in mezzo
tutti i livelli possibili di formazione tecnico-scientifica necessaria
e/o opportuna.
L'aliquota di formazione impartita
per espletare una certa mansione dovrebbe andare di pari passo con la
complessità tecnologica del processo: vale a dire che la conoscenza
dovrebbe essere impartita al lavoratore (lavoro vivo), come un suo
diritto-dovere, così come essa è contenuta nelle macchine (lavoro
morto). In ogni società tecnologizzata il lavoro morto tende a
soppiantare il lavoro vivo, ma solo in una società socialista tale
processo avviene a parità di salario, ed il tempo di lavoro che viene
così liberato può essere dedicato, tra l’altro, ad ulteriore formazione,
cioè incremento delle conoscenze da parte del lavoratore, in un circolo
virtuoso tendente al perfezionamento delle macchine ed al loro sempre
migliore utilizzo in funzione del benessere dell’uomo e del suo habitat.
Se non fosse questo, quale sarebbe lo scopo del socialismo?
Marx e Engels per di più hanno inteso le loro teorizzazioni come socialismo scientifico, distinguendole dal novero delle utopie che non concepiscono la conoscenza (la scienza) come vettore di liberazione. Alla categoria dello scientifico va
dunque restituita una assoluta centralità nelle elaborazioni in ambito
marxista, sia dal punto di vista del metodo intrinseco (epistemologico),
sia perché i problemi specifici delle società tecnologizzate come la
nostra hanno sempre qualche rapporto con la incrementata densità di conoscenza, come dimostra l’esigenza da cui è scaturito il saggio di Carchedi.
Data questa centralità, l’evidenza del carattere di classe della conoscenza-scienza dovrebbe dirsi già assodata, come pure è assodata la sua natura materiale
su cui Carchedi scrive parole... definitive. Il sapere non vive in un
qualche iperuranio, e non è neutrale. Nemmeno la tecnica è neutrale, né
il complesso di tutti questi elementi insieme: le forze produttive
[p.16]. D’altronde, forse che la filosofia è neutrale? L’arte è
neutrale? L’informazione è neutrale? L’architettura è neutrale? Nessuna
espressione della società umana è indipendente dal sistema produttivo in
cui è generata. Nemmeno due utensili come la falce e il martello
possono dirsi neutrali, nel senso che anch’essi portavano all’origine
la razionalità della società arcaica che li produsse; eppure non solo
sono sopravvissuti a innumerevoli cambi di paradigma sociale, passando
attraverso feudalesimo e capitalismo, ma addirittura nel XIX secolo sono
assurti a simboli di un sistema, quello social-comunista, che era
ancora di là da venire. (2)
La conoscenza-scienza ha insomma un
carattere duplice, così come lo hanno le merci ed ogni prodotto di una
società capitalista. Secondo l’Autore, una conoscenza non influenzata
dalla razionalità del capitalismo sarebbe conseguibile solamente al di
fuori del rapporto di lavoro salariato, quindi nel cosiddetto tempo
libero e nel corso di attività improduttive, da parte di quelli che egli definisce agenti mentali in opposizione ai lavoratori mentali [pp.24-25]. Ad avviso di chi scrive, non è necessario tanto schematismo su questo punto. Ad evitare circoli viziosi e cul de sac teorici,
la questione del carattere di classe della conoscenza va affrontata con
metodo dialettico. (3) Così come la classe operaia stessa è parte del
capitale, e dunque non può negare il capitale se non negando se stessa,
allo stesso modo nella conoscenza prodotta in un modo di produzione capitalista sono
contenute le premesse per lo sviluppo di una conoscenza anti-capitalista
e socialista.
Possiamo fare l’analogia con un lavoro prevalentemente fisico.
Pensiamo a un facchino: nel corso della sua attività salariata egli
sviluppa muscoli; al di fuori del tempo di lavoro egli, è vero, può
impiegare i suoi muscoli per attività ludiche oppure, persino, per la
lotta anticapitalista, ma si tratta pur sempre di muscoli che egli ha
almeno in parte sviluppato nel corso della attività lavorativa sotto padrone.
Se non ammettessimo questa dialettica
e questa compenetrazione, forse non potremmo nemmeno spiegare come da
una società capitalista come quella ottocentesca sia potuto sorgere il
pensiero di Marx e Engels (come ha potuto il capitalismo generare il
marxismo?). Il risultato è che “un nucleo di conoscenze rimane
costante attraverso più modi di produzione, un altro insieme
di conoscenze cambia da un modo di produzione all’altro e un altro
insieme cambia all’interno dello stesso modo di produzione” [Nobile].
In realtà l’Autore contempla tale carattere dialettico, pur non soffermandocisi e non tematizzandolo, quando afferma che “i
lavoratori mentali producono il proprio assoggettamento e allo stesso
tempo la resistenza contro quell’assoggettamento... Gli individui sono sia
lavoratori mentali, durante il tempo lavorativo, che agenti mentali
durante il tempo libero” [p.25], ed infine: “queste novità sono le nuove bottiglie contenenti il vecchio vino e cioè la doppia e contraddittoria razionalità della conoscenza” [p.26].
Le conseguenze da trarre
Comunque, concentrando l’attenzione
solo su questi aspetti si rischia di rimanere su di un piano di
discussione strettamente filosofico e accademico, e purtuttavia
arretrato, dato che che sulle questioni filosofiche connesse (verità,
dialettica, rispecchiamento) l’elaborazione, soprattutto in Italia e
fatta eccezione per il genio insuperato di Lodovico Geymonat, è stata
sempre insufficiente. Perciò li tralasciamo (cfr. Nota 3) e ci chiediamo
invece: i temi affrontati da Carchedi hanno rilevanza sul piano della
prassi? La questione della conoscenza-scienza è strategica per i
comunisti?
La risposta è clamorosamente affermativa.
In sostanza, con il suo saggio
conciso e chiaro, l’Autore da un lato analizza la natura della
conoscenza individuale in quanto aliquota di forza produttiva detenuta
dal singolo lavoratore, dall’altro mette a fuoco la condizione di
sfruttamento e alienazione dei lavoratori della conoscenza. Il dubbio,
se questi lavoratori siano mera aristocrazia operaia – e dunque talmente
organici e privilegiati nel capitalismo che su di loro non si potrà mai
contare per una rivoluzione sociale – oppure se siano sfruttati come
tutti gli altri, e talvolta peggio di altri, è fugato: esiste una
componente di aristocrazia operaia, ma nel complesso i meccanismi di
estrazione del plusvalore per questi lavoratori sono identici a quelli
di tutti.
Come abbiamo già avuto occasione di
scrivere (4), “con l’università di massa, l’istruzione era l’unico
effettivo ‘ascensore sociale’ disponibile in una democrazia progressiva.
(...) Che cosa possiede dunque questa massa con certezza, se non
l’istruzione e la formazione che la generazione precedente le ha
trasmesso? Perciò: intellettuariato. Non possiedono mezzi
di produzione, ma istruzione – per averla avuta impartita in un sistema
pubblico, scolastico e accademico, che rischia di non sopravvivere fino
alla generazione successiva, e anche per discendenza famigliare, poiché
i genitori hanno infuso loro lo stimolo ad una formazione più elevata
nell’ottica di una posizione sociale conseguentemente migliore.
Speranze
vane: se le cose non cambieranno, la generazione dei nostri genitori
sarà stata la prima e l’ultima a potersi affrancare socialmente grazie
all’istruzione; quella mobilità sociale, anziché perfezionarsi,
viene ora impedita. (...) Dalla sua attuale crisi il capitalismo esce distruggendo le sue stesse forze produttive (conoscenze, macchine e lavoratori stessi) e tornando a sfruttare il lavoro vivo –
cioè i lavoratori, attraverso l’aumento del tempo di lavoro,
la diminuzione dei salari ed altre misure riconducibili alle precedenti,
come le delocalizzazioni – anziché il cosiddetto lavoro morto – know-how e della stessa (ri)produzione intellettuale, imponendo un generalizzato disinvestimento.
L’ultima dimostrazione la abbiamo
sotto agli occhi, con il progetto di ridurre a quattro anni la durata
della scuola secondaria superiore; ma nell’ultimo quarto di secolo
abbiamo accumulato già milioni di prove di questo. Sta ai comunisti
trarne le dovute conseguenze.
NOTE:
(1) Tralasciamo in questa sede la
trattazione di questi ultimi aspetti che vanno ben oltre l’oggetto di
indagine primario, a nostro avviso ben più urgente da affrontare.
(2) La scienza ancillare pretende di essere neutrale; la tecno-scienza, quella del sistema militare-industriale, assurge nel sistema dominante a una funzione sacrale, perciò anti-scientifica suo malgrado. Questo ha a che fare con la funzione sociale, con la posizione sociale degli scienziati, non con altro.
(3) Peraltro, scientifica è solo una conoscenza che sia al contempo dialettica – ma su questo punto strettamente gnoseologico, pur inerente i fondamenti del pensiero marxista in quanto materialismo dialettico e
non semplicemente materialismo storico o critica dell’economia
politica, dobbiamo sorvolare perché non è stato trattato da Carchedi e
ci porterebbe troppo lontano. Così come sorvoliamo sulla collegata
questione del rispecchiamento ovvero del contenuto di verità della conoscenza: per approfondimenti v. Italo Nobile: http://contropiano.
(4) Contributo al convegno “Formazione, Ricerca e Controriforme” tenutosi a Bologna il 30 aprile 2016, pubblicato su Contropiano n.2/2016. Per approfondimenti si veda anche: http://www.agentefisico.info/
Fonte
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