Nelle
settimane scorse, si erano avuti labili segnali di allentamento della
tensione tra Washington e Pyongyang, che gli americani, naturalmente,
avevano interpretato da par loro. E allora ecco l’inizio delle manovre
congiunte “Ulchi-Freedom Guardian” (UFG) in Corea del Sud, che simulano l’invasione del territorio della RDPC, con l’impiego di almeno 50.000 uomini.
La risposta della RDPC non si è fatta attendere. Secondo la sudcoreana Yonhap,
nelle prime ore di ieri (poco dopo la mezzanotte in Italia) la RDPC
avrebbe effettuato il lancio contemporaneo di ”alcuni” missili a corto
raggio, presumibilmente dalla base di Gitdaeryong, nella provincia di
Gangwon. I razzi – a quanto pare, tre – avrebbero assunto una
traiettoria nordorientale, cadendo nel mar del Giappone, dopo aver
percorso circa 250 km. La cinese Xinhua, basandosi su Yonhap,
parla però di “ordigni sconosciuti” e se, al solito, non manca
l’italico “provocatorio lancio di missili”, fonti ufficiali giapponesi
hanno dichiarato molto più sobriamente che i razzi non costituivano una
minaccia per la sicurezza del paese, dato che sono caduti al di fuori
della zona economica esclusiva del Giappone. E anche fonti militari USA
hanno comunicato che i lanci non hanno minacciato Guam né il territorio
dell’America settentrionale, tanto più che, secondo il Comando della
flotta del Pacifico, uno dei missili sarebbe esploso poco dopo il
lancio.
Proprio in relazione alle manovre, lo scorso 22 agosto, la delegazione di Pyongyang alla terza sessione della Conferenza di Ginevra sul disarmo, aveva ribadito che la causa principale del sorgere del problema nucleare nella penisola coreana e la prosecuzione del circolo vizioso della tensione risiede interamente nella minaccia nucleare americana, nella politica ostile verso la RDPC e nel continuo avvicendarsi di forze nucleari strategiche verso la penisola coreana. Le manovre attuali, aveva scritto venerdì la KCNA, accelerano un aggressivo scenario di attacco preventivo alla nostra Repubblica, secondo il “piano operativo-5015”, con particolare attenzione alla “operazione per eliminare la leadership”, allo studio di “operazioni segrete” e di contrasto ai nostri missili balistici. Gli Stati Uniti devono ricordare che la loro pressione militare e la frenesia delle sanzioni costituiscono piuttosto uno stimolo a rafforzare le nostre forze nucleari. Finché la politica ostile e la minaccia nucleare USA non saranno sradicate, concludeva la KCNA, noi non arretreremo di un passo sulla strada del rafforzamento nucleare.
E l’organo del Partito del Lavoro, Rodong Sinmun, citando il sito web sudcoreano Jaju Sibo, ricordava ieri come, nella Corea del Sud, gli scorsi 21 e 22 agosto, all’inizio delle manovre congiunte (che, di regola, vanno avanti anche nel mese di settembre), gruppi di attivisti sudcoreani del Quartier generale per l’Azione popolare e dell’Azione del popolo per la pace contro la guerra, avessero manifestato di fronte all’Ambasciata statunitense a Seoul.
Da parte sua, scrive la KCNA, il leader Kim Jong Un, in occasione della Festa del Songun, il 57° anniversario dell’inizio della leadership di Kim Jong Il, ha presenziato ieri alle esercitazioni dei reparti speciali nordcoreani per la simulazione di un attacco alle isole sudcoreane di Baengnyeong e Yeonpyeong, nel mar Giallo. Preceduti da azioni aeree e preparazione di artiglieria, nell’ipotetico assalto interverrebbero quindi reparti speciali di guastatori subacquei paracadutati. Insieme a Kim, erano presenti all’avvio delle esercitazioni i massimi gradi militari, a partire dal sottomaresciallo Ri Myong Su, capo di Stato maggiore dell’esercito, il generale Ri Yong Gil, suo vice e direttore del Comando operazioni, il generale-colonnello Pak Jong Chon, direttore del Comando artiglieria.
Da notare che, mentre Washington continua a insistere nella politica di sanzioni ad personam nei confronti di rappresentanti del business cinese, affinché Pechino prema su Pyongyang (in effetti, Pechino ha oggi fermato l’avvio di ogni nuova impresa mista cinese-nordcoreana sul territorio cinese) fonti russe non meglio precisate ricordano come, di recente, la cancelliera Angela Merkel, a una domanda se in caso di conflitto USA-RDPC, la Germania seguirebbe automaticamente Washington, avrebbe risposto “No, non automaticamente”. Una risposta che, se autentica, mentre sembra far trasparire una sorta di approccio all’italiana da parte della cancelliera, mostrerebbe tuttavia le distanze che Berlino tende a prendere sempre più dalla Casa Bianca, non solo sullo scenario europeo, ma a livello globale.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento