di Michele Giorgio – Il Manifesto
Accompagnato dal direttore del Mossad e dal capo del Consiglio per la sicurezza nazionale, Benyamin Netanyahu ieri a Sochi, sul Mar Nero, ha incontrato Vladimir Putin per la nona volta in due anni.
È stato un faccia a faccia più importante della solita verifica
dell’intesa raggiunta dalle due parti dopo l’intervento militare diretto
di Mosca in Siria, nel 2015, con cui il presidente russo assicurò che i
suoi aerei non avrebbero impedito i bombardamenti dell’aviazione
israeliana in Siria – un centinaio negli ultimi anni, per recente
ammissione di Tel Aviv – contro presunti convogli carichi di armi
destinati al movimento sciita libanese Hezbollah. Netanyahu a
Sochi è andato a discutere del futuro della Siria ora che la vittoria di
Bashar Assad si è fatta più vicina e la posizione del presidente
siriano appare più forte e stabile rispetto a qualche anno fa quando
Israele si aspettava e desiderava la sua caduta. Tel Aviv vuole
avere un posto in prima fila nella definizione delle “soluzioni” che
dovranno realizzarsi in Siria dopo la sconfitta di jihadisti e “ribelli”
e all’emergere di un Assad più esperto e determinato di prima.
Il premier israeliano all’inizio di luglio ha bocciato
l’accordo di cessate il fuoco mediato da Russia, Usa, Turchia e
Giordania per la creazione in Siria di “zone di de-escalation” nel
quadro di un cessate il fuoco generale. Quelle aree a suo dire
favoriscono i “disegni” dell’Iran e di Hezbollah, entrambi alleati
strategici di Bashar Assad, volti a stabilire basi militari in Siria.
Netanyahu ieri ha dato sfogo alla sua rabbia rivolgendo a Tehran accuse
vecchie e nuove. A cominciare da quella ascoltata più volte prima
dell’accordo internazionale sul nucleare del 2015 secondo la quale
l’Iran minaccerebbe il «mondo intero» e non solo Israele. «Grazie a
sforzi congiunti stiamo sconfiggendo lo Stato Islamico e questo è molto
importante. Ma la cattiva notizia è che, dove se ne va lo Stato Islamico
sconfitto, arriva l’Iran», ha detto Netanyahu a Putin, «Non possiamo
dimenticare neanche un minuto che l’Iran minaccia ogni giorno di
distruggere Israele, che arma organizzazioni terroristiche, le sostiene e
avvia atti di terrorismo». E non ha mancato di minacciare una guerra. L’Iran, ha detto a Putin, sta tentando di «libanizzare» la Siria prendendone il controllo attraverso Hezbollah.
«Questo è diretto contro di noi e non resteremo indifferenti. Agiremo
quando occorrerà in accordo con le nostre linee rosse. E quando lo
abbiamo fatto in passato non abbiamo chiesto permesso ma fornito un
aggiornamento sulla nostra politica. La comunità internazionale sa che
quando diciamo qualcosa la facciamo anche».
Putin, alleato dell’Iran, non si è lasciato trascinare sul
terreno scelto da Netanyahu e da parte sua in pubblico ha sottolineato
soltanto «l’efficace meccanismo di dialogo bilaterale» tra Russia e
Israele, che «permette di affrontare le relazioni tra i due paesi, così
come la situazione nella regione (mediorientale)».
Netanyahu ha ripetuto che non permetterà mai all’Iran e ad Hezbollah
di posizionarsi a ridosso delle Alture siriane del Golan che Israele
occupa da cinquant’anni. E punta l’indice contro il cessate il
fuoco entrato in vigore lo scorso 9 luglio, in particolare nelle
province meridionali di Sueida, Daraa e Quneitra che, nella lettura
israeliana della situazione, ha visto Donald Trump consegnare la Siria a
Putin e fornito agli iraniani e a Hezbollah la possibilità di
avvicinarsi alle frontiere con Israele e Giordania. Eppure proprio un giornale israeliano, Haaretz,
il mese scorso rivelava che i combattenti iraniani e libanesi alleati
di Damasco nel sud sono arretrati verso Hauran, a 40 km dalla frontiera,
dopo l’inizio della tregua, rispettando una richiesta fatta a Mosca
dalla Giordania. Una distanza simile, scriveva il giornale, separa le
forze iraniane e libanesi dal Golan. Netanyahu vuole formalizzare
questa situazione e chiede che siano create “zone cuscinetto” sulla
linee armistiziali tra Israele e Siria e lungo la frontiera tra Siria e
Giordania. Ed è andato a reclamarle a Mosca visto che gli Usa si sono
fatti da parte.
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