di Michele Giorgio
Prosegue
l’operazione dell’esercito libanese “Alba di Jroud” contro lo Stato
islamico lungo la frontiera tra il Paese dei Cedri e Siria. Le
tv libanesi da tre giorni mandano in onda immagini dell’artiglieria che
fa fuoco verso bersagli lontani e di mezzi blindati che avanzano sulle
colline tra Ras Baalbek e al Qaa. Decine di jihadisti sarebbero
stati uccisi o fatti prigionieri e, stando ai media locali, sono già
stati liberati 2/3 dei circa 150 kmq di territorio libanese occupati per
anni dall’Isis. L’operazione in corso segue quella lanciata con successo a fine luglio dai combattenti del
movimento sciita libanese Hezbollah nell’area di Arsal contro i
miliziani di Hay’at Tahrir al Sham, composto in prevalenza dai qaedisti
dell’ex Fronte an Nusra. Senza copertura anti-area e con poche
munizioni la resistenza dei miliziani dell’Isis si sta rivelando meno
intensa del previsto. Il pericolo maggiore per i militari
libanesi sono le mine. Ieri tre soldati sono morti quando il veicolo sul
quale viaggiavano è finito su un ordigno esplosivo.
I comandi militari libanesi e una parte dei media continuano ad oscurare
che l’Esercito siriano e i combattenti di Hezbollah in queste stesse
ore avanzano rapidamente nella adiacente regione del Qalamoun, sul
versante siriano del confine, in particolare nei distretti di Jurod Qara
e Al Jarajir, stringendo da Est la morsa su centinaia di miliziani
dell’Isis, non pochi dei quali si sono arresi e hanno già ceduto il controllo del transito di Zamrani. Beirut
nega qualsiasi coordinamento con le forze di Damasco e con Hezbollah
per non imbarazzare gli Usa, che sostengono con esperti militari
l’Esercito libanese durante le operazioni in corso. Appena
qualche giorno fa Washignton ha consegnato al Libano otto dei 32 veicoli
da combattimento Bradley e 10 mezzi blindati promessi da tempo e
nell’ultimo anno ha rifornito le truppe libanesi con pezzi
d’artiglieria, veicoli da trasporti, armi automatiche, munizioni, visori
notturni e radio. Forniture tuttavia insufficienti rispetto
alle necessità delle forze armate libanesi. Gli Usa tuttavia evitano di
fornire armi pesanti all’esercito di Beirut su pressione, pare, di
Israele.
Intanto in Siria il lento ritorno alla calma registrato in questi
ultimi mesi, dopo gli accordi sulla zone di de-escalation mediati dalla
Russia, ha subito ieri una battuta d’arresto proprio a Damasco dove
sei civili, tra cui due donne, sono stati uccisi dall’esplosione di un
razzo caduto vicino alla Fiera Internazionale in corso nella capitale
siriana per la prima volta dal 2011 e alla quale prendono parte, a titolo personale, anche i manager di imprese dei Paesi occidentali che boicottano Damasco. Decine di altre persone sarebbero rimaste ferite nell’attacco. Sabato scorso, nei pressi di Latakiya, un altro attentato terroristico aveva fatto tre vittime. D’altronde lo stesso presidente Bashar Assad
ieri ha gettato acqua sull’entusiasmo di alcuni dei suoi collaboratori
che già parlano di vittoria definitiva e di fine della guerra che ha
devastato il Paese. Per Assad ci sono “segni di vittoria” ma la la
vittoria, ha aggiunto, non è stata ancora raggiunta.
E infatti si combatte ancora e le forze aeree russe, alleate
di Damasco, hanno annunciato di aver colpito un convoglio di militanti
dello Stato Islamico sulla strada verso la città di Deir a-Zor, nel Est
della Siria, uccidendo almeno 200 jihadisti. “I bombardieri e
l’aviazione militare delle forze aerospaziali russe hanno distrutto
oltre 20 veicoli fuoristrada dotati di armi di grande calibro e
lanciagranate, nonché veicoli blindati, compresi carri armati e carri
pesanti con munizioni. In tutto sono stati eliminati oltre 200
miliziani”, scrive oggi il ministero della difesa di Mosca. Altre fonti
parlano di 70 jihadisti uccisi. L’Isis ha concentrato le sue forze
intorno a Deir a-Zor dopo essere stato cacciato a sud di Raqqa e a est
di Homs dalle forze armate siriane.
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