E’ inutile, ogni volta che si avvicinano le elezioni quelli che ci governano sentono il bisogno irresistibile di diventare generosi e magnanimi. Come lo fanno? A suon di bonus: nel 2014 furono gli 80 euro in più in busta paga (che poi hanno restituito circa 1 milione e mezzo di persone, diventate troppo povere per beneficiare del “bonus”), nel 2015 furono le decontribuzioni unite al nuovo contratto a tutele assenti (l’unica giusta definizione del JobsAct), nel 2016 c’è stata l’apoteosi delle promesse e dei bonus (500 euro ai diciottenni, ponte sullo stretto, e chi più ne ha più ne metta).
Si avvicinano le elezioni politiche e il governo Gentiloni che fa? Naturalmente le stesse cose che ha fatto Renzi. Del resto, i pupazzi non si muovono certo d’iniziativa propria.
“Tre anni di superbonus ai giovani disoccupati”, titolano i giornali. Sembra una di quelle pubblicità per convincere a comprare l’auto nuova. Invece è solo un spot per riproporre una truffa vecchia: decontribuzioni fino al 50%, questo propone il governo, “poi una riduzione dell’aliquota contributiva di quattro punti, dal 33 al 29%, due a favore del lavoratore, due per le imprese, e per sempre”, dice Enrico Morando. Che aggiunge: “Sarebbe il completamento naturale del Jobs act e del piano avviato dal governo Renzi per la riduzione della pressione fiscale su imprese e lavoratori, con il taglio dell’Irap, dell’Ires e gli 80 euro per i lavoratori dipendenti”.
Che il vice ministro dell’Economia possa dire fesserie non sorprende, vista la graziosa compagnia di governo che di certo non lo incentiva a fare meglio, ma che non sappia far di conto è proprio intollerabile: il tentativo di far passare queste misure come egualmente vantaggiose per lavoratori e imprese è, oltre che una bugia spudorata, l’opposto di quanto la realtà empirica dei dati ci sbatte sotto gli occhi. Il risultato delle politiche di decontribuzione e sgravio (a cui la letteratura scientifica attribuisce un moltiplicatore pari a 0,7. Cioè distruttivo di ricchezza investita) è stato il licenziamento di massa dei lavoratori assunti con gli incentivi dell’INPS (più di 400 mila licenziamenti in un colpo solo), il boom del lavoro nero legalizzato e sottopagato (grazia ai voucher, ieri falsamente aboliti, oggi di nuovo in circolazione e utili per continuare a sfruttare il lavoro dei giovani), livelli di retribuzioni nette tra i più bassi della UE, col risultato che in sei anni gli occupati italiani quasi vanificano la crescita di potere d’acquisto registrata in 12 anni. L’Italia è il Paese in cui contestualmente è esplosa la miseria e il livello della povertà assoluta (oltre 4 milioni e mezzo di persone) e relativa (14%) mentre sempre più si è concentrata la ricchezza nelle mani di pochi, all’aumento di disoccupazione, precarietà e diseguaglianze è corrisposto un aumento dei profitti privati (+1,1 punti registrati nel 2016 rispetto al 2015).
Se a questo quadro si aggiunge quanto già detto a proposito degli 80 euro e le citazioni morandiane (del ministro purtroppo, non del cantante) su Ires e Irap si scopre che nel nostro Paese è avvenuto un esproprio di ricchezza e diritti contro il popolo e a tutto vantaggio delle imprese. Il valore di queste decontribuzioni è oggi stimato intorno ai 5 miliardi, quello delle precedenti era pari a 17 miliardi. Stiamo parlando di di 22 miliardi netti finiti nelle casse delle imprese (per non aggiungere troppe altre portate a questa “grande abbuffata” – alla sola lettura capace di provocare più ribrezzo delle scene del celebre film di Marco Ferreri – citiamo sottovoce gli 8 miliardi a Monte dei Paschi di Siena con cui si è, da un lato, salvata la banca, ma al contempo, ripagato i debiti dei misteriosi debitori inadempienti, grandi imprese i cui nomi sono stati segretati dal voto della maggioranza di governo). Questa è proprio lotta di classe. Odio di classe, perché loro – i padroni – ci odiano, come scriveva Edoardo Sanguineti. E non potrebbe darsi altra spiegazione quando si leggono insieme, anche se a poche righe di distanza, le cifre sulla povertà in Italia e quelle dei soldi pubblici (soldi nostri) regalate alle imprese.
E’ comico il vice ministro che perentorio avverte: chi ha licenziato nei sei mesi precedenti o licenzierà nei sei mesi successivi alla stipulazione del nuovo contratto non beneficerà degli incentivi. Peccato che fossero le stesse parole dette nel – non troppo – lontano 2014. Il risultato lo conosciamo tutti ed è stato citato più sopra.
Queste politiche, liberiste, sono politiche pro cicliche. Sono politiche che confermano e seguono i fondamentali di politica economica che hanno portato all’aggravamento della crisi capitalistica mondiale. E’ evidente che servono invece politiche anticicliche.
Alla gioventù serve ben altro: a cominciare da riduzione di orario di lavoro ed età di lavoro, un intervento massiccio dello Stato in economia a finanziare investimenti capaci di generare moltiplicazione di ricchezza investita cominciando a dire forte e chiaro che la desertificazione del Paese deve finire, le svendite e le privatizzazioni in Italia sono state una regalia e sono costate molto più di quanto abbiano reso (se hanno mai reso). Bisogna cancellare la vergogna del Jobs Act, ridando piene tutele ai lavoratori contro i licenziamenti arbitrari. Dire NO alle imposizioni di Bruxelles, del FMI e del governo tedesco.
Per farlo, bisogna dire NO a questa manovra, a partire da un autunno di mobilitazioni e di lotte.
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