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21/08/2017

Cliché geneticamente modificati


Ogni attentato moltiplica geometricamente l’ovvinionismo mediatico, ma la diabolica spirale di cazzate in cui siamo immersi dal 17 agosto segna nuovi e decisivi record. Sui due principali network mediatici del paese (Repubblica e Corriere della Sera) il quesito dal sapore amletico occupa le prime pagine: come rendere esteticamente attraenti le barriere anti camion? Importanti i pareri consultati: Stefano Boeri propone querce e melograni al posto dei banali jersey di cemento; Benedetta Tagliabue avanza l’ipotesi di laghetti rinfrescanti; Mimmo Paladino suggerisce l’installazione di grandi corni portafortuna; più remissivo il proposito di Michelangelo Pistoletto, secondo cui le barriere dovrebbero essere costituite da aiuole colorate.


Queste interessanti e appropriate opinioni celano però una modalità di lettura del fenomeno terrorista inteso come fatalità, alla quale gradualmente adattare la società europea. Si vorrebbe spogliare il fenomeno terrorista della sua matrice politico-sociale, relegandolo a problema d’ordine pubblico al quale abituare il nostro “stile di vita”. Eppure il terrorismo genera il panico nella società occidentale proprio perché ha la sua genesi e la sua soluzione nella politica. Altrimenti, le trecento (300) vittime europee per attentati terroristici dal 2010 ad oggi sarebbero ben poca cosa rispetto ai 26mila morti l’anno per incidenti stradali, alle 467mila morti l’anno per inquinamento, o alle 40mila morti l’anno per influenza. Nessun giornale ci risulta chiedere pareri agli esperti per camuffare gli inevitabili disagi del mezzo milione di morti l’anno per inquinamento. Quei trecento morti in quasi dieci anni però spaventano, anzi, terrorizzano, tutta la classe dirigente occidentale. Ogni tentativo di mimetizzare il problema (il problema non è minimizzato, ma mimetizzato) non farà altro che moltiplicarlo.

Ma andrebbero segnalati almeno altri due trend topic dal novero di boiate mainstream a cui siamo obbligatoriamente sottoposti da giorni a questa parte. Il primo, il fiume di retorica sulla “generazione Erasmus”. Purtroppo l’unico effetto collaterale che non produrrà l’attentato di Barcellona sarà la diminuzione degli “studenti” Erasmus, destinati al contrario a moltiplicarsi sulla scorta degli inviti a partire per non marcire. L’inevitabile formazione di una upper class globalizzata ed euro-entusiasta val bene il rischio di qualche occasionale Bataclan.


Il secondo mostruoso cliché somministratoci attraverso la cura Ludovico mediatizzata è la solfa sulla multietnicità delle Ramblas. Le Ramblas sono da circa un trentennio un non luogo ad uso e consumo del più becero turismo massificato. Non a caso da tempo è in corso un latente conflitto tra la Barcellona popolare e la sua depravazione turistica che sventra i centri cittadini di ogni elemento originario e caratterizzante. Un discorso che prende finalmente atto della natura intimamente neoliberista del turismo globalizzato, che crea un paesaggio, un’economia e una serie di relazioni umane fondate sullo sfruttamento privatistico del patrimonio ambientale e culturale, e che ha il coraggio di opporsi a questa forma di turismo geneticamente modificato. Le Ramblas sono uno dei più forti simboli di questa deriva, addirittura un caso di studio. L’unico “incontro etnico” reale sulle Ramblas (sulle Ramblas di tutta Europa) è quello tra cittadini di serie A e immigrati, e non è certo un “incontro” tra simili.


Tornate a blaterare dello «scontro di civiltà» e sull’«islamofascismo», ma risparmiateci la nostalgia sulla «vecchia Europa» e i suoi «valori».

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