La
previsione era sin troppo facile. Se ancora pochissimi giorni prima del
24 agosto, qualche sparuta voce si levava a Varsavia contro la
partecipazione di soldati della Trzecia Rzeczpospolita Polska alla
parata militare a Kiev per l’anniversario della “indipendenza” ucraina,
al suono dell’inno OUN-UPA di Bandera e Šuchevič, il Ministero della difesa polacco aveva fatto sapere che il dilemma riguardava solo l’ampiezza della partecipazione.
Detto fatto: a presenziare alla parata militare NATO
e a rendere omaggio al Segretario alla difesa USA James Mattis, giunto a
Kiev in qualità di gogoliano “Revisore generale” (autentico, però),
c’era anche il Ministro della difesa polacco, Antoni Macierewicz, che ha
assistito alla sfilata dei reparti NATO, accanto ai colleghi di Canada,
Polonia, Gran Bretagna, Estonia, Lituania, Lettonia, Romania, Moldavia e
Georgia; quest’ultima, aspirante al sacro titolo di membro
dell’Alleanza atlantica. I più maligni, sostengono che non Petro
Porošenko presiedesse la parata, ma il ben più alto “ospite” a stelle e strisce. Sarà per questo che non uno dei militari stranieri partecipanti alla parata, è stato sottoposto alla procedura del metal detector, a differenza di quelli ucraini: a tal punto Porošenko crede nella fedeltà delle sue forze armate.
Era
ovvio che Varsavia, mettendo sul piatto della bilancia i 100.000
polacchi della Volinia trucidati dalle bande filonaziste di OUN-UPA nel
1943 e il fronte antirusso del 2017, non avrebbe avuto dubbi nel far
pendere l’ago dalla parte del secondo. I contenziosi storici tra
Varsavia e Kiev riguardano solo le moderne pretese economiche e
territoriali e, di fronte al padrino americano, conta solo il presente e
il ruolo che Polonia e Ucraina debbano rivestire per garantire gli
interessi d’oltreoceano.
D’altronde, è stato proprio Antoni Macierewicz che, a diverse riprese, ha sentenziato
che i massacri di polacchi perpetrati in Volinia l’11 luglio del ’43
sarebbero stati “provocati dall’avanzata dell’Armata Rossa”; che “Bisogna comprendere che non ci sarebbe stato alcun 11 luglio, se non ci fosse stata l’aggressione sovietica del 17 settembre” e che ha addirittura attribuito alla Polonia “il merito di aver respinto il tentativo della Russia bolscevica di conquistare l’Europa” nel 1920.
Ormai i rimpianti storici vengono lasciati a singoli gruppi nazionalisti, sia che si tratti degli squadristi ucraini di Svoboda, adirati per i “blasfemi” omaggi internazionali resi agli “Orlęta Lwowskieche”
(gli aquilotti di Lwow) al cimitero Ličakivskij (Cmentarz Łyczakowski,
per i polacchi) di L’vov, cui hanno preso parte rappresentanti polacchi,
ucraini e statunitensi, sia che i loro corrispondenti polacchi parlino
di una “data nera”, in relazione alla partecipazione alla parata del 24
agosto a Kiev.
La
sostanza vera è quella ribadita da Macierewicz, appunto, il 24 agosto, a
Kiev: l’Ucraina è la prima linea di difesa europea dall’aggressione
dall’est, per la qual cosa gli europei le debbono gratitudine. E Andrzej
Talaga, su Rzeczpospolita,
invita i polacchi a mettersi l’animo in pace con Bandera e far pace
“col diavolo stesso”; il titolo del servizio è eloquente: “Meglio con Bandera che con Mosca”. Sembra che Rzeczpospolita abbia aperto per i polacchi l’ennesima “Finestra di Overton”, nota Balalaika24.ru:
oltre alla verità storica, c’è una “verità strategica” e questa
consiste nel fatto che la Polonia non deve respingere l’Ucraina
banderista, se non vuole che questa diventi un “satellite di Mosca” e da
ciò “abbia a soffrirne la posizione strategica della Polonia”. Quindi,
“gli interessi di Stato sono al di sopra della morale”.
Appena pochi giorni fa il leader di Prawo i Sprawiedliwość,
Jarosław Kaczyński, aveva tuonato che “Con Bandera, l’Ucraina non
entrerà mai nella UE”, al che il Ministro degli esteri, Witold
Waszczykowski, aveva addolcito i toni, esortando i colleghi ucraini a
riprendere i colloqui per addivenire a una “pacificazione” sulle
questioni storiche. La sintesi “storico-morale” l’ha definita a Kiev il
Ministro della difesa Macierewicz. In questo senso, nota Balalaika24.ru,
l’Ucraina non deluderà le aspettative polacche: l’amicizia
ucraino-polacca contro la Russia è cementata proprio dalle bandiere
nero-rosse di Stepan Bandera. “La memoria delle vittime polacche in
Volinia e Galizia” conclude Rzeczpospolita, “richiede che noi
protestiamo energicamente, ma gli interessi statali ci obbligano a
tacere e allacciare con Kiev rapporti quanto più stretti possibile”.
Così stretti che, scrive Novorosinform.org,
secondo la polizia polacca, a oggi, ci sarebbero in Polonia oltre 2,5
milioni di lavoratori ucraini: un milione e mezzo in più delle cifre
ufficiali e il 13% di tutta la forza lavoro polacca. Negli ultimi sette
mesi, circa un milione di ucraini avrebbe fatto domanda di lavoro
temporaneo in Polonia, i cui economisti sostengono che, per mantenere
l’attuale tasso di crescita, il paese necessita di 5 milioni di migranti
entro il 2050: ogni milione di migranti ucraini porta ulteriori 2
miliardi di euro l’anno al bilancio statale. Migranti ucraini occupati
in Polonia per il 37,6% come domestici; per il 23,6% nell’edilizia e per
il 19,3% nell’agricoltura, con salari medi di 2.100 zloty, cioè del
25-30% più bassi di quelli dei lavoratori polacchi. Trecento anni dopo
la perdita dell’Ucraina, osserva Novorosinform, i “panowie”
polacchi riportano sotto controllo la sedicente repubblica
“indipendente” che, come trecento anni fa, si piega sotto la morsa della
novella “szlachta” rosso-bianca.
Come
che sia, Varsavia, sentendosi evidentemente le spalle coperte
dall’amico americano, insiste nelle pretese estere e, sulla questione
delle riparazioni di guerra, fa la voce sempre più grossa nei confronti
sia di Mosca (in questo, seguita dalla Lituania, che però da 20 anni non
sa decidersi sull’ammontare delle richieste) che di Berlino. Dopo che
il Ministro degli esteri Witold Waszczykowski aveva proclamato che
l’Urss, insieme alla Germania, “porta la responsabilità per lo scatenamento della Seconda guerra mondiale” – tacendo ovviamente di come, nel 1934, lo Państwo Polskie
della 2° Rzeczpospolita di Józef Piłsudski si fosse accordato con il
Drittes Reich hitleriano per spartirsi l’Urss; ma gli era andata male – e
il suo collega alla Difesa, Antoni Macierewicz, sulla storia delle
riparazioni, aveva messo sul tavolo il gioco delle tre carte DDR-Polonia-Germania,
non meraviglia che il 24 agosto, a Kiev, a celebrare la “indipendenza”
ucraina, ci fosse sì Macierewicz, ma non Ursula von der Leyen e, tra i
reparti NATO che sfilavano sulla Khreščatik, non ci fossero quelli
tedeschi.
Se
i portavoce governativi di Berlino hanno più volte ribadito che la
Germania riconosce la propria responsabilità storica negli aspetti
politici, morali e finanziari, ma che, comunque, il problema delle
riparazioni è definitivamente risolto (ci si riferisce evidentemente
all’accordo tedesco-polacco del 1990) sia politicamente che
giuridicamente, a Varsavia si continua a dire che la Polonia non ha mai
rinunciato alle compensazioni tedesche e chi la pensa diversamente, ha
tuonato il gemello Jarosław Kaczyński, si sbaglia. Si è arrivati al
punto che Rzeczpospolita ha rivisitato a modo suo il macabro slogan nazista: “Le riparazioni rendono liberi”.
Sarà
un caso, ma le cronache raccontano del Ministro degli esteri sassone
Sigmar Gabriel che, su tuitter, pare abbia inviato a Kiev un messaggio
di auguri che terminava con il saluto dell’OUN-UPA, oggi di moda tra i
nazisti ucraini, “Gloria all’Ucraina”.
Vedremo presto come lo interpreteranno a Varsavia.
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