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30/08/2017

Dieci anni di crisi globale. E’ solo una questione di “onestà”?

Dieci anni di crisi hanno distrutto alle fondamenta la fiducia nel funzionamento del “libero mercato”. Se si leggono solo i giornali italiani sembra che tutto prosegua come negli anni precedenti la crisi, e che dunque le difficoltà e l’impoverimento di questo paese siano soltanto “colpa nostra”; o, semplificando ulteriormente, della spesa pubblica e dei diritti sociali.

Altrove la narrazione paradisiaca del libero mercato è stata sostituita da tanto disincanto sulle scelte o le soluzioni a breve termine, ma senza riuscire – naturalmente – a partorire una nuova narrazione (“ideologia”) sostitutiva.

L’articolo di Martin Sandbu, pubblicato qualche giorno fa sulla bibbia della City londinese, il Financial Times, ne è una dimostrazione plastica.

L’autore è costretto – dal suo punto di vista, comunque neoliberista – ad ammettere che l’aggressivo capitalismo finanziario seguito alle “rivoluzione reaganiana” (thatcheriana, per i britannici) si è retto per oltre un quarto di secolo su una bolla di dimensioni colossali, in cui il rapporto tra il prezzo di un bene e il suo valore economico reale è andato smarrito. Il povero Sandbu riassume questo smarrimento con il termine menzogna, come se qualcuno avesse deciso a tavolino di barare sulle regole di mercato. Come se non esistesse la concorrenza di tutti contro tutti e dunque fossero possibili “cartelli sulla comunicazione”, comprendenti imprenditori cinesi, russi, ecc.

L’escamotage retorico gli consente comunque di istituire un parallelo alquanto arbitrario e straccione con “il comunismo sovietico”, elevato a comunismo tout court, autore a suo dire di un’altra menzogna.

Ma questo è il punto decisamente meno interessante del suo articolo.

Quello decisivo è invece l’impotenza ad uscire da un mondo intellettuale appena definito indifendibile. La “razionalità del capitalismo” – incentrata sul prezzo come sintesi superiore di informazione – non ammette infatti né superamento, né alternativa. Così è e così dovrà essere per sempre. Chi ci crede è condannato alla fissità...


Una volta detto questo, però, come avviene a tutti coloro che professano la fede del “mercato perfetto” (“il migliore dei mondi possibili”), resta da spiegare comunque come mai sia arrivata la crisi, e di quella potenza; tale da distruggere – nella maggioranza delle figure sociali esistenti nell’Occidente, e comunque fisicamente nell’arretramento di tutte le economie avanzate – l’equazione-narrazione “libero mercato uguale più benessere per tutti”.

Per un’economista serio, che la causa sia identificata in una “menzogna”, è semplicemente patetico. Ma indicativo. Un’intera fase storica del capitalismo globale – dall’inizio degli anni ‘80 ad oggi – viene ridotta a un gioco di comunicazione falsificato (da chi? da quanti? In fondo il Capitale è un meccanismo impersonale, che non ha né vuole avere un “Comitato centrale”, né un “ministero della verità”).

A questo, però, si riduce ormai il “pensiero neoliberale”. Dovendo comunque rifiutare – per principio ideologico – sia la pianificazione centralizzata che “l’economia mista”, ma dovendo al tempo stesso prendere atto del fallimento del “libero mercato reale” (quello degli ultimi 35 anni), il buon Sandbu è costretto in un angolo logico davvero angusto.

Da cui prova ad uscire un po’ “grillinamente”, auspicando un mercato “onesto”. Ossia una qualità morale che in genere è un handicap fatale per chiunque voglia “stare sul mercato”...

*****

Da Lenin a Lehman. Le grandi menzogne.

Coloro che vogliono salvare il capitalismo, dovrebbero ricordarsi degli echi della Rivoluzione Russa.

Martin Sandbu per Financial Times, 15 Agosto 2017

Traduzione e cura di Francesco Spataro

I due anniversari che segnano l’anno in corso – il centenario della Rivoluzione Russa ed il decennale dall’inizio della crisi finanziaria globale – hanno in comune molto di più di quello che può apparire a prima vista. Entrambi gli eventi, sono indubbiamente momentanei. La Rivoluzione d’Ottobre ha inaugurato una dittatura che si sarebbe distinta per tutto il ventesimo secolo come avversaria dell’egemonia fascista (nella prima metà), e nemica del mercato liberista (durante tutto il suo divenire). Nel frattempo, la crisi finanziaria globale, ha scosso fin nelle fondamenta il modello che era emerso vittorioso dalla Guerra Fredda. Il Comunismo, in cui si era trasformato il blocco sovietico, dagli anni ’80 è collassato sotto il peso delle sue stesse contraddizioni economiche e politiche. Il trambusto politico dello scorso anno, dimostra che stiamo in osservazione, per vedere se le economie del libero mercato subiranno la stessa sorte. Ma le somiglianze fra i due eventi vanno al di là della loro portata storica: il soggetto dell’attuale minaccia al libero mercato è lo stesso che ha abbattuto il suo rivale.

Il comunismo ha fallito, perché ha perseguito due tipi di menzogne.

La prima è stata tradire un sogno che, almeno originariamente, aveva attratto milioni di persone verso quell’ideale: una società fondata sull’eguaglianza, la solidarietà e l’autorealizzazione finalizzata ad un obbiettivo collettivo. La fede in questo sogno è vissuta più a lungo del dovuto, anche nel cuore della patria del comunismo... e ancora più a lungo ad Ovest. Prima o poi però è stata schiacciata dalla realtà.

La seconda menzogna è stata propagandare la validità di un sistema economico basato sull’inganno e l’illusione. In gran parte è stato dimenticato, ma per una buona fetta del XX secolo, è infuriato un gran dibattito se una distribuzione più efficiente delle risorse, sarebbe scaturita da una pianificazione centralizzata o da un mercato decentralizzato. L’esempio del controllo dello Stato sui mezzi di produzione fu la sola pianificazione che poteva superare lo spreco di risorse, causato dalla disoccupazione di massa, dono del capitalismo, e dalla ricorrente carenza di domanda, che causava recessione. In pratica, come era ovvio, la vera pianificazione centralizzata si è rivelata una soluzione terribile per la produzione e per la distribuzione delle merci di cui avevano bisogno i cittadini. Ma invece di correggersi, l’economia pianificata ha trasformato il progetto in un’enorme bugia intorno alla quale le convinzioni “pubblicistiche” di ciascuno dovevano allinearsi ed appiattirsi al pensiero “privatistico” che si conosceva meglio. “Voi fate finta di pagarci, noi facciamo finta di lavorare” era una battuta che si sentiva da Rostock a Vladivostok, ma anche una dichiarazione della realtà dei fatti.

Il vasto consenso intellettuale ha avallato troppo tardi la visione di Friedrich von Hayek, che i prezzi del mercato flessibile contengono più informazioni di qualsiasi altro meccanismo di pianificazione possa sperare di raccogliere centralmente; e che, di conseguenza, l’attività decisionale diffusa funziona più efficacemente delle autorità statali.

Questa visione è di grande aiuto per spiegare il crescente gap economico fra il mondo capitalista e quello comunista verso la fine della Guerra Fredda. Eppure, è stato duro risvegliarsi nella crisi finanziaria globale, che ha pregiudicato qualsiasi riaffermazione che il capitalismo finanziario occidentale, possa essere il miglior modo per organizzare un’economia. L’epifania di Hayek sul meccanismo dei prezzi non è sbagliata, ma incompleta. I prezzi di mercato di beni e servizi sono la tecnica informativa più valida di qualsiasi economia pianificata; ma la crisi ha dimostrato che lo stesso non si può dire per i prezzi degli assets (patrimoni reali o virtuali, come i cosiddetti “prodotti derivati”, di cui abbiamo triste memoria N.d.A.). Se il piano quinquennale è stata la grande menzogna del blocco sovietico, questa è quella del Capitalismo: i valori di mercato degli assets finanziari, riflettono fedelmente il valore economico che essi rappresentano.

Quello che è accaduto in questi stessi giorni, di dieci anni fa, è stata l’agghiacciante realizzazione che i diritti finanziari accumulati negli anni di boom economico precedenti non quadravano, che la futura produzione economica, di cui tanto cianciavano, non era sufficiente per onorare appieno i debiti. In breve: il benessere economico che le persone pensavano di possedere, di fatto, non esisteva. Quando un numero di contribuenti sufficientemente alto si rese conto che la percezione del loro benessere finanziario non era vera, il sistema si disintegrò. Il disorientamento e la sfiducia che sono seguiti, sia nei mercati che nella politica, furono proprio quello che ci si aspetta succeda quando milioni di risparmiatori, realizzano che stanno vivendo una bugia. Una menzogna seguì l’altra, mentre il mercato liberista, a sua volta, tradì il sogno che aveva promesso.

Oggi le economie occidentali risultano essere assai più povere del trend precedente al crash previsto. La crisi, ed il periodo successivo ad essa, hanno lasciato, in particolare ai giovani, poche speranze di avere le stesse opportunità di prosperare dei loro genitori o dei loro nonni. Avviso ai naviganti: le multe per i cosiddetti “crediti di crisi”, hanno raggiunto i 150 miliardi di dollari. Quindi, tutti coloro che vogliono che il capitalismo liberal-democratico rifiorisca devono prestare attenzione a due lezioni da questo confronto.

Primo, un sistema a base sociale può vivere una delusione, per un tempo molto lungo. Il Comunismo questo ce lo ha dimostrato; come del resto il Capitalismo, le cui promesse, per alcuni gruppi, sono state disattese decenni prima dell’inizio della crisi. Ma quando le persone non possono più contare sui propri mezzi di sostentamento, il sostegno si spezza, viene a mancare. Ciò nonostante, le società più resilienti sono quelle che conoscono la verità su loro stesse. L’inganno produce fragilità. Il libero mercato è in pericolo perché il suo sistema finanziario ci ha permesso di mentire a noi stessi; ed infine, non abbiamo tenuto conto delle perdite che erano evidenti.

I populisti di destra e di sinistra trafficano in nostalgia, aspettando la primavera dell’economia mista. Hanno ragione quando asseriscono che il confronto fra la pianificazione ed il laissez-faire si deve risolvere in un mix dei due.

Ma la lezione più grande che si può imparare da questa competizione è che un qualsiasi sistema sociale od economico deve essere onesto, non solo imparziale, ma attendibile. E questo è un tipo di estremismo che i populisti, insolitamente, non sono abilitati a fornire.

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