Macron in Libia lavora per favorire l’azienda petrolifera francese Total e cerca di soffiare all’ENI il petrolio libico grazie alla sua estesa presenza militare in nord Africa e alla (peraltro inutile) opera diplomatica per l’accordo tra i due leader libici Sarraj e Haftar. In Francia Macron rinnega gli accordi sottoscritti tra Finmeccanica e Stx e in un battibaleno nazionalizza Stx per non cedere la sua industria cantieristica navale all’italiana Finmeccanica. Invoca (tra l’altro forse giustamente) gli interessi strategici della Francia in campo industriale e militare.
Tuttavia in terra italiana lo spregiudicato finanziere francese Vincent Bolloré – che è già il secondo azionista di Mediobanca (circa l’8% del capitale), la principale banca d’affari italiana – ha acquisito il controllo di Telecom Italia, cioè niente di meno che le nostre comunicazioni, minacciando così direttamente gli interessi strategici dell’Italia non solo nel campo industriale ma in quello della sicurezza nazionale.
Bollorè, certamente appoggiato dal governo francese, intende fare di Telecom uno spezzatino: probabilmente venderà Tim Brasil, ovvero il gioiello del gruppo di tlc, e poi anche la TIM italiana a un operatore francese o tedesco. E’ ovvio però che i governi tedesco o francese non si sognerebbero mai (giustamente) di cedere la loro rete di comunicazione a uno straniero1. In Italia invece, in nome del liberismo e dell’europeismo, governi irresponsabili hanno ceduto Telecom sulla cui rete passano tutte le informazioni riservate. Ma non basta: Bolloré punta a prendere il controllo di Mediaset, cioè di un pezzo molto rilevante del sistema italiano dell’informazione (o disinformazione?).
Francia e Germania dominano l’Europa. Dopo la tragedia della crisi greca provocata dall’inflessibilità finanziaria (e usuraia) imposta da Berlino e da Parigi per favorire le loro grandi banche, dopo la conseguente svendita di molte aziende elleniche a favore della Germania e di altri paesi stranieri, le mosse di Macron dimostrano ancora una volta in maniera lampante che l’europeismo serve soprattutto a coprire gli interessi economici e strategici delle nazioni prevalenti nell’eurozona e della finanza internazionale.
La Francia è una grande potenza finanziaria e il capitale francese potrebbe puntare ad acquisire le principali imprese finanziarie italiane, come Mediobanca, Unicredit, le Assicurazioni Generali. Infatti il primo azionista di Mediobanca è Unicredit (8,56%), già capitanata dal francese Jean Pierre Mustier; il secondo azionista di Mediobanca, come abbiamo scritto sopra, è Bollorè. La presenza francese in Mediobanca è quindi già molto forte, se non prevalente. Mediobanca a sua volta è il principale azionista di Generali. Generali ha già un amministratore delegato, Philippe Donnet, con passaporto francese. L’attacco definitivo dei francesi ai nostri maggiori gioielli finanziari avrebbe quindi molti punti di forza e buone possibilità di successo. Occorre difendersi: senza queste imprese (e senza una rete Telecom italiana) l’Italia non conterà più nulla in Europa e nel mondo. I nostri ragazzi avranno una sola possibilità: mendicare lavoro all’estero.
La realtà è che Francia e Germania sventolano la bandiera dell’Europa ma fanno solo i loro interessi. Se cederemo le poche industrie e imprese strategiche che ci rimangono non ci sarà futuro per gli italiani. La lezione è una sola: non bisogna illudersi di riformare l’Europa, non bisogna contare sull’Europa. Occorre invece recuperare sovranità nazionale perché senza sovranità, senza potere decisionale, non ci possono essere né prospettive di sviluppo né democrazia.
Purtroppo però i governi italiani si sono sempre inchinati con ossequio e grande riverenza di fronte all’Europa. Non solo i governi italiani di centrodestra e centrosinistra hanno approvato Maastricht e ceduto allegramente la sovranità monetaria (che è sovranità politica) ma hanno anche messo il Fiscal Compact in Costituzione. Il PD europeista si accorge solo ora con Matteo Renzi che il Fiscal Compact ridurrebbe l’Italia in macerie, e che senza politiche espansive è impossibile governare. E’ ormai evidente che l’austerità dell’Unione Europea rende i paesi ingovernabili.
Ma l’europeismo non è una malattia che ha colpito solo i governi. Riguarda anche, e forse soprattutto, le opposizioni di sinistra. Quasi tutta la sinistra è affetta da cecità a causa del suo europeismo acritico e dogmatico. In nome dell’Europa e degli ideali di Altiero Spinelli, la sinistra si è di fatto resa complice ideologica delle feroci politiche di austerità che hanno colpito tutte le classi sociali, i ceti popolari, il ceto medio, e i piccoli e medi imprenditori, e che hanno impoverito tutta la nazione.
Una volta la sinistra si vantava di avere una funzione nazionale e di difendere non solo gli interessi proletari e popolari ma anche quelli della nazione intera. Da quando la sinistra si è convertita agli ideali degli Stati Uniti d’Europa, in nome dell’internazionalismo (del capitale) ha abbandonato gli interessi nazionali (e anche il popolo). Ma anche il Movimento 5 Stelle oscilla incerto se contrastare l’euro o invece riformare le politiche dell’eurozona. Così la destra estrema di Salvini e soci può spacciarsi per difensore della nazione e degli italiani sulla pelle dei poveri cristi, di innocenti profughi e immigrati che sfidano la morte per avere lavoro e pace.
Al di là delle ideologie e delle illusioni più nobili dell’inizio, questa Unione Europea, fondata sul libero movimento dei capitali e sulla competizione, è diventata un sistema di dominio tra i sistemi finanziari più forti e quelli più deboli, tra i paesi creditori e debitori. L’euro, essendo una moneta forte e deflazionistica come lo era il marco tedesco suo progenitore, va contro le nazioni più deboli. La moneta unica – una sola banca centrale per 19 paesi diversissimi: una sola politica monetaria, un solo tasso di interesse e un unico tasso di cambio per 19 paesi differenti – è una gabbia strettissima ed è lo strumento fondamentale del dominio finanziario e commerciale delle nazioni più potenti. Per i paesi più deboli (quelli con elevati deficit commerciali e alto debito pubblico-privato) l’euro è una moneta straniera che impone di soccombere ai creditori.
In effetti l’abc della scienza politica ci dice che ogni organismo internazionale costruito su trattati intergovernativi è dominato dagli stati più forti: come per esempio l’ONU, dove i 5 grandi, USA, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna hanno diritto di veto, e sono quindi svincolati a loro piacimento da ogni vincolo internazionale. Anche nella UE dominano le nazioni più forti (e la grande finanza) che rispettano le regole solo quando fa loro comodo. Dopo la tragedia della Grecia sottomessa a Berlino, e dopo il nazionalismo manifesto di Macron, l’ignoranza politica di chi promuove le illusioni circa il federalismo europeo e il superstato federale d’Europa, e di chi vorrebbe cedere ancora più sovranità, non ha più scuse e giustificazioni.
Chi continua ciecamente a invocare la riforma delle istituzioni europee e della moneta unica – con proposte come: politica fiscale comune, eurobond, ministro europeo del Tesoro, ecc, ecc – dovrebbe finalmente aprire gli occhi. L’Europa unita è una illusione, o meglio un incubo perché prevede la sottomissione dei più deboli ai più forti. Comunque Germania e Francia non cederanno mai i loro poteri a un organismo sovranazionale federale che non possono controllare completamente. Il governo tedesco è già ora molto critico verso l’unico organismo europeo, la Banca Centrale Europea di Mario Draghi, che, difendendo l’euro (e quindi forzatamente la sua stessa esistenza), ha dovuto allontanarsi minimamente dalle direttive della Merkel e di Wolfgang Schaeuble, l’arcigno ministro tedesco delle finanze.
Francia e Germania non cederanno il loro potere nazionale all’Unione Europea, ma probabilmente rafforzeranno la loro alleanza sul piano militare, dell’immigrazione e della politica estera di fronte all’America di Donald Trump e alla Russia di Vladimir Putin. I due governi utilizzano le istituzioni europee per esercitare la loro egemonia sull’Europa. L’Italia rischia di rimanere schiacciata come un vaso di coccio tra i due vasi di ferro. Non ci si può più illudere di cedere ancora più sovranità a Berlino e Parigi, magari con la falsa speranza di una ripresa economica dell’Europa.
Nonostante i media esultino per la piccola ripresa prevista nell’area euro, la disoccupazione, che è il principale segnale di un’economia malata, resta molto elevata. Una vera svolta non c’è né in Italia né in Europa. La crisi dell’eurozona è strutturale e può precipitare in ogni momento, per cause endogene (come la fine del Quantitative Easing) e esogene – come una crisi finanziaria internazionale.
Quando – tra non molto, probabilmente già nel 2018 – finirà il Q.E. – cioè la manovra di espansione monetaria con la quale la Banca Centrale Europea stampa denaro a favore delle banche e degli stati europei con gli acquisti del loro debito pubblico –, allora il problema del debito italiano riemergerà con forza dirompente. Senza la copertura da parte della BCE, la speculazione riprenderà a giocare sul debito pubblico allargando lo spread – la differenza tra i tassi di interesse italiani e quelli tedeschi –. Gli interessi sul debito italiano ridiventeranno difficilmente sostenibili. Da qui la necessità di difendere da subito gli interessi nazionali. Da qui l’urgente esigenza di difendere l’industria e il risparmio italiano, e di ricorrere anche e soprattutto all’introduzione massiccia di una moneta parallela, o meglio, complementare all’euro.
Per una politica di difesa degli interessi nazionali
Il ministro delle finanze Pier Carlo Padoan supplica flessibilità alla Commissione UE mentre la Francia da nove anni ha un deficit pubblico superiore allo stupido 3% sul PIL stabilito a Maastricht. Padoan tratta supinamente il salvataggio delle banche italiane con la Vigilanza della BCE che le ha negato fino all’ultimo momento ogni “aiuto di stato”, mentre la Germania – ovviamente con l’assenso immediato e servile della Commissione UE – ha potuto salvare le sue banche con 250 miliardi di soldi pubblici. Germania e Francia fanno quello che vogliono, con o senza l’Europa. L’Italia invece segue passivamente le regole anti-costituzionali dettate da organismi non eletti e senza alcuna responsabilità di fronte ai cittadini e agli elettori. Fino a quando?
Grazie alle politiche di austerità dell’eurozona, abbiamo conosciuto una caduta verticale del PIL e una crescita rapida del debito pubblico. Oggi abbiamo un PIL inferiore di circa 130 miliardi rispetto a quello di dieci anni fa (2007) e la disoccupazione è salita al 12%. Il nostro reddito medio è inferiore a quello dei primi anni ’90: lo afferma il Fondo Monetario Internazionale, sottolineando che i redditi pro-capite torneranno ai livelli pre-crisi solo fra un decennio. La quota degli italiani a rischio povertà è aumentata al 29%, con un picco del 44% al Sud. Secondo il Fmi, in questo quadro «l’emigrazione italiana resterà elevata»2. E’ impossibile affermare razionalmente che con la lira avremmo fatto peggio. Avremmo svalutato, subito uno shock, ma poi ci saremmo ripresi con politiche espansive. E’ impossibile addebitare il brusco crollo del PIL alla scarsa produttività e competitività dell’industria italiana. La verità è che l’euro ha colpito come un tornado la nostra economia.
Sembra che finalmente, con qualche anno di ritardo, l’ex premier Matteo Renzi, attuale segretario del PD al governo, cominci a ribellarsi all’Europa dell’austerità: Renzi annuncia il deciso rigetto del Fiscal Compact. Il PD, secondo il programma elettorale di Renzi, chiederà all’Unione Europea una (modestissima) svolta espansiva, ovvero il ritorno ai parametri di Maastricht. Il deficit pubblico annuale arriverebbe al 2,9% e il governo italiano avrebbe 30 miliardi in più a disposizione per abbassare le tasse. Renzi punta inoltre a una politica pubblica attiva nell’economia nazionale grazie all’intervento della società semi-pubblica Cassa Depositi e Prestiti, che potrebbe diventare una sorta di nuova IRI.
Pier Carlo Padoan – il ministro “tecnico” dell’economia, che deve la sua carriera non agli elettori italiani ma alla sua fedele appartenenza agli organismi internazionali – non approva le proposte di Renzi. Ma l’ex premier, da politico consumato, sa perfettamente che seguendo passivamente i dettami del capitale finanziario internazionale e delle istituzioni UE perderebbe altri consensi, e che anche vincesse le elezioni, non riuscirebbe a governare perseguendo l’austerità. Quindi chiede concessioni alla UE. Purtroppo per lui è però molto difficile che la UE permetta facilmente strappi alle regole assurde del Fiscal Compact e a manovre espansive finanziate a deficit.
Anche il Movimento dei 5 Stelle rifiuta decisamente il Fiscal Compact. Ma rischia di commettere lo stesso errore di Renzi. Molti, troppi, credono che si possa riformare in senso progressivo l’Unione Europea. L’economista Marcello Minenna, che appare essere il principale punto di riferimento della politica economica dei 5 Stelle, propone alla BCE e alla UE di attuare una serie di riforme per arrivare alla “Eurozona 2.0”, ovvero a un sistema capace di ridurre i rischi sovrani tra i diversi paesi dell’euro in modo da eliminare le minacce speculative sui mercati finanziari e avviare la ripresa3.
Forse la proposta più interessante che fa Minenna è che, alla fine del Quantitative Easing, la BCE acquisisca tutti i titoli di debito pubblico comprati dalle banche nazionali grazie appunto al Q.E. e li congeli a tempo indeterminato. In questo modo gran parte del debito dell’eurozona scomparirebbe come per magia4. Il debito pubblico europeo si ridurrebbe complessivamente di oltre 2 triliardi e l’economia del vecchio continente potrebbe ripartire.
Questi progetti sulla carta sono bellissimi; ma tanto più appaiono incisivi e potenzialmente efficaci tanto meno sono politicamente realizzabili. Rimarranno quasi certamente sulla carta. Semplicemente perché non c’è alcuna volontà politica di realizzarli da parte delle nazioni guida. Germania e Francia non accetteranno mai di rilanciare l’Europa, cioè l’economia dei paesi concorrenti, a scapito dei loro interessi.
Minenna propone la condivisione dei rischi dei paesi dell’eurozona; altri puntano a mettere in comune i debiti o parte dei debiti, a creare un fondo federale europeo, una assicurazione europea sui depositi bancari, sulla disoccupazione, ecc, ecc, ecc. Ma chiedere all’Unione Europea e alla BCE di realizzare riforme cooperative è come chiedere a un ladro, dopo avergli affidato le chiavi di casa, di curare bene l’argenteria e gli ori...
L’Italia si è ormai largamente deindustrializzata e molte delle maggiori industrie sono state cedute o sono emigrate all’estero: i casi della Telecom e della Fiat sono paradigmatici. In nome della globalizzazione i governi italiani hanno rinunciato a ogni forma di politica industriale e, per entrare in Europa, hanno frettolosamente smobilitato tutta l’industria pubblica. Hanno privatizzato Telecom e le grandi banche pubbliche nazionali (Comit, Banca di Roma e Credito Italiano), ma la maggior parte di questo patrimonio pubblico è stato disperso o è andato all’estero. La responsabilità del declino non è ovviamente solo dell’Europa e della globalizzazione, ma della debolezza e incapacità del capitale nazionale, e della miopia (per usare un sintetico eufemismo) dei governi italiani. Tuttavia senza più Fiat, senza Pirelli (proprietà cinese), senza Telecom, senza l’industria pubblica che traini le piccole e medie aziende, con l’Ilva e Alitalia che stanno andando in mani straniere, l’Italia ha cambiato pelle e sta diventando una colonia.
Il declino non è solo industriale e manifatturiero. “Cambia la mappa del potere in banca: le mani dei fondi sulla finanza italiana. Negli ultimi mesi è emersa la presenza massiccia di colossi come Vanguard, Norges Bank e Blackrock, capaci di dominare le principali assemblee”. Questo è un titolo recente di un interessante articolo di Repubblica sulle banche italiane5. Il risparmio italiano è sempre di più in mani estere, e va all’estero. A parte IntesaSanPaolo, dove le Fondazioni hanno ancora un saldo controllo, Unicredit e le altre principali banche italiane fanno ormai in larga parte capo ad azionisti esteri che certamente hanno a cuore più il loro portafoglio che gli interessi dei risparmiatori italiani. L’euro e la subordinazione dei governi italiani all’Europa stanno portando l’Italia in quello che una volta si chiamava Terzo Mondo.
Il panorama italiano è drammatico sia sul piano economico che politico. Abbiamo un solo punto di forza che ci salva ancora dalla completa colonizzazione e dall’arrivo della Troika: il saldo positivo della bilancia commerciale. Esportiamo più di quanto importiamo. Solo per questo motivo, e per il Q.E. della BCE, non stiamo ancora facendo la fine della Grecia. Ma le esportazioni non bastano ad arricchire un paese: per una vera svolta economica occorre fare ripartire la domanda interna. E’ necessario rilanciare l’iniziativa pubblica nei campi strategici dell’industria e della finanza. Ma soprattutto occorre reperire le risorse monetarie per rilanciare i consumi delle famiglie e gli investimenti pubblici. Solo se si rilancia la domanda interna è possibile fare ripartire anche gli investimenti privati e l’occupazione.
Per fare ripartire la domanda interna occorre che lo stato emetta dei titoli con valenza fiscale – validi cioè per pagare le tasse dopo tre anni dall’emissione– e che questi titoli vengano distribuiti senza corrispettivo – cioè gratuitamente – alle famiglie, alle aziende e agli enti pubblici in modo da aumentare la loro capacità di spesa. I titoli di stato potranno infatti diventare immediatamente euro da spendere sul mercato dei beni reali grazie alla loro conversione sui mercati finanziari, esattamente come avviene per i Bot, per i Btp6. L’emissione della nuova moneta statale per qualche decina di miliardi di euro farebbe svoltare l’economia nazionale. Il PIL aumenterebbe in misura tale da non creare buchi fiscali alla scadenza dei titoli fiscali. La moneta complementare abbasserebbe il rapporto debito/PIL e non ci obbligherebbe a uscire dall’euro, e ad affrontare quindi un’altra grave crisi dagli esiti incerti7. Grazie alla nuova moneta la sovranità, la democrazia e l’unità nazionale si rafforzerebbero enormemente8.
L’Italia si sta disgregando, sta diventando una colonia sottoposta alle istituzioni UE e al capitale finanziario che, speculando sul debito pubblico, impone le sue politiche depressive a scapito dello sviluppo nazionale. La finanziarizzazione dell’economia europea provoca crisi e reclama la svendita dei gioielli nazionali. Moneta fiscale e politica industriale nazionale diventano indispensabili per contrastare la disgregazione.
NOTE
1 Una delle posizioni più esplicite e esemplari del filoeuropeismo astratto della sinistra la assunse Marco Bascetta del Manifesto quando criticò un mio articolo sul suo quotidiano, un articolo a sua volta critico verso l’acquisizione del pacchetto azionario di maggioranza di Telecom Italia da parte della società spagnola Telefonica. Bascetta scrisse: “Enrico Grazzini, affermava in conclusione del suo articolo che
2 Imf Country Focus, Italy: Reforms Needed For Stronger Growth and Stability, July 27, 2017
3 Vedi il convegno sul debito pubblico indetto dal M5s indetto all’inizio di luglio 2017
4 Vedi Corriere della Sera, Marcello Minenna, “Perché il Q-Exit può far male all’Italia” , 24 luglio 2017
5 Repubblica 19-6-2017 “Cambia la mappa del potere in banca: le mani dei fondi sulla finanza italiana”, a cura di Andrea Greco e Raffaele Ricciardi
6 Vedi eBook edito da MicroMega: “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall’austerità senza spaccare l’euro” a cura di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini, con la prefazione di Luciano Gallino.
7 Vedi su Micromega.net Luciano Gallino: “Una moneta fiscale per uscire dall’austerità senza spaccare l’euro”
8 Vedi economiaepolitica.it, Enrico Grazzini “Quale Moneta fiscale? Un confronto tra alcune proposte”. 14 luglio 2017
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