Ore 18:30 – Media israeliani: “Sirene di allarme a Sderot e nella regione meridionale di Bnei Shimon perché continua lancio di razzi da Gaza”
Ore 18:10 – Fonti palestinesi: “3 razzi lanciati contro Israele dalla Striscia di Gaza”. Nessun danno
Fonti palestinesi fanno sapere che poco fa sono stati lanciati tre razzi verso il territorio israeliano. Un primo missile sarebbe stato intercettato dal sistema difensivo israeliano Iron drome. Un altro sarebbe caduto nei pressi della cittadina israeliana di Sderot (a confine con la Striscia) senza provocare danni. Incerte le notizie sul terzo missile: fonti locali fanno sapere che è caduto all’interno della Striscia stessa.
Ore 18 – Tre giornalisti palestinesi feriti dall’esercito israeliano
Secondo i media arabi, sono almeno tre i giornalisti palestinesi feriti durante questa giornata di scontri: a Ramallah è stato colpito da un proiettile vero il corrispondente di Palestine Tv, Ali Dar Ali; a Qalqiliya il fotografo Mahmoud Fawzi è stato colpito alla testa; infine, a Gaza è stato ferito alla spalla da un candelotto lacrimogeno il fotografo di Anadolu Agency, Mustafa Hassouneh.
Ore 17.50 – Il capo negoziatore palestinese Erekat: “Non parleremo con l’America se Trump non farà un passo indietro su Gerusalemme”
Un portavoce del presidente Abbas ha fatto inoltre sapere che non “cederemo, non permetteremo l’implementazione delle politiche Usa a Gerusalemme. La rabbia continuerà”. Il partito del presidente Fatah, citato dalla radio militare israeliana, ha dichiarato stamane che, riconoscendo Gerusalemme come capitale d’Israele, Trump ha fatto “una dichiarazione di guerra contro il popolo palestinese”.
Poco fa il rappresentante egiziano all’Onu ha dichiarato al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che le “risoluzioni dell’Onu hanno respinto senza alcun dubbio l’occupazione d’Israele”.
Ore 16.45 – Iniziato il Consiglio di Sicurezza Onu su Gerusalemme. Dall’Egitto dura presa di posizione contro Trump
Mentre comincia a New York la riunione del Consiglio di Sicurezza su Gerusalemme e arrivano notizie sul viaggio “d’urgenza” del presidente russo Putin ad Ankara per discutere gli sviluppi della decisione di Trump, in Egitto lo sheikh dell’Università di al-Azhar annuncia il suo rifiuto ad incontrare il vice presidente americano Pence, che visiterà il paese tra una decina di giorni.
Ore 15.45 – Seconda vittima a Gaza
Dalla Striscia arriva la notizia di una seconda vittima dell’esercito israeliano, al momento non identificata, secondo quanto riportato da Afp e Sky News. Altre fonti arabe, invece, riportano di un manifestante in gravissime condizioni, disperate, ma ancora vivo.
Ore 15.10 – La prima vittima: un 30enne di Gaza
Il ministro della Salute della Striscia di Gaza riporta della prima vittima palestinese dei tre giorni di rabbia in Palestina: Mahmoud al-Masri, 30 anni, è stato ucciso dall’esercito a Khan Younis, confine meridionale tra Gaza e Israele. Sale a 300 il numero dei feriti, secondo la Mezzaluna Rossa.
Ore 15 – Manifestazioni in corso anche a Kabul e Istanbul
Sono migliaia i manifestanti afghani scesi in piazza in diverse città del paese a sostegno dei palestinesi: a Kabul circa mille persone hanno bruciato la foto di Trump e le bandiere israeliana e statunitense, mentre qualche decina cercava di raggiungere l’ambasciata Usa, per essere respinti dall’esercito afghano. A Herat 2.500 persone in piazza, 500 a Kunduz.
Manifestazioni molto partecipate – oltre che in Iraq, Malesia, Giordania e Indonesia, come precedentemente riportato su questa pagina – anche in Turchia, Egitto e Somalia
Ore 14.50 – Segretario di stato americano Tillerson: “No ambasciata Usa a Gerusalemme nei prossimi due anni”
"A quanto pare, l’ambasciata Usa non sarà trasferita da Tel Aviv a Gerusalemme almeno nei prossimi due anni”. A dirlo è stato poco fa il Segretario di stato americano Tillerson. Di fatto la sua dichiarazione conferma quanto pubblicato ieri da Times of Israel e riportato da Nena News secondo cui il presidente Trump avrebbe posticipato di altri 6 mesi la decisione. La Repubblica Ceca, intanto, fa sapere che non trasferirà la sua rappresentanza nella Città Santa.
Ore 14.35 – Ministero della salute palestinese: 200 feriti circa. 22 a Gaza. Uno sarebbe in condizioni giudicate “gravissime”
Ore 13:50 – al-Jazeera: “120 i feriti”. Esercito israeliano: “Scontri in 30 luoghi tra Gaza e Cisgiordania”
Secondo l’esercito, sono 3.000 i palestinesi che stanno protestando “bruciando copertoni, lanciando molotov e pietre ai soldati e ai poliziotti israeliani”.
Ore 13.20 – Il bilancio dei feriti: 110 feriti tra Cisgiordania e Gaza
Mezzaluna Rosa: “95 feriti in Cisgiordania (uno per pallottola vera, 21 per proiettili rivestiti di gomma, 72 per gas, 1 per pestaggio), 14 feriti a Gaza.
Ore 13.10 – Proteste e scontri in tutti i Territori, i primi arresti. VIDEO
In corso proteste in tutti i Territori Occupati, a cui l’esercito israeliano sta rispondendo con gas lacrimogeni, granate stordenti e proiettili rivestiti di gomma. Diversi manifestanti sono stati arrestati. Migliaia al confine tra Gaza e Israele, dove dura è la reazione israeliana: decine i feriti secondo la Mezzaluna Rossa. Nella Città Vecchia di Gerusalemme, migliaia di persone in marcia.
Il video di Nena News: cariche e arresti alla Porta di Damasco:
Ore 12.50 – Feriti a Gaza, Nablus e Kufr Qaddum. Fronte Democratico appoggia Fatah contro la visita di Pence
Secondo quanto riportato dalla Mezzaluna Rossa, sono già decine i feriti palestinesi negli scontri con l’esercito israeliano: sei intossicati al confine tra Gaza e Israele, quattro feriti a Kufr Qaddum – tra cui un giornalista ferito alla testa con un proiettilo ricoperto di gomma – e 40 intossicati a Qusra, sud di Nablus, dove pochi giorni fa un contadino di 49 anni è stato ucciso da un gruppo di coloni.
Intanto il Fronte Democratico si unisce a Fatah e al rifiuto della leadership di ospitare il vice presidente Usa Trump.
Ore 12.15 – Scontri in corso nella Città Vecchia di Gerusalemme. FOTO E VIDEO
In corso in questo momento una marcia dentro la Città Vecchia.
Il nostro direttore Michele Giorgio riporta di scontri pesanti. Scontri anche a Beit El, alle porte di Ramallah, e a Betlemme, vicino al Checkpoint 300 dove l’esercito sta lanciando gas lacrimogeni contro i manifestanti che rispondono con sassaiole.
Il video della marcia a Gerusalemme:
Il video della carica della polizia israeliana:
Ore 12.10 – Manifestazioni in corso nei paesi arabi e nei paesi musulmani
In queste ore sono in corso numerose manifestazioni nei paesi arabi e nei paesi a maggioranza musulmana nel mondo: a Istanbul ci si prepara alla protesta contro la decisione di Trump dopo la fine della preghiera del venerdì, mentre nella città sciita irachena di Bassora è in corso una manifestazione con decine di persone. Proteste anche nelle città tunisine di Gafsa e Biserta. Ventimila persone in piazza ad Amman, dove si trova oggi il presidente Abu Mazen. Il suo portavoce: “La rabbia palestinese continuerà, non ci ritireremo”.
Sono circa 5mila invece i manifestanti scesi in piazza a Kuala Lumpur, in Malesia, al grido “Giù le mani da Gerusalemme”. A guidare la manifestazione è Khairy Jamaluddin, ministro dello sport e leader dell’unione giovanile del partito di governo Umno. Proteste anche in Indonesia: di fronte all’ambasciata Usa hanno manifestato centinaia di persone con un enorme bandiera palestinese.
Ore 11.15 – Controlli della polizia nella Spianata delle Moschee
Sono in corso in questo momento gli ingressi dei palestinesi di Gerusalemme nella Spianata delle Moschee, per la tradizionale preghiera del venerdì. La polizia controlla gli ingressi. Foto e video di Nena News
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della redazione
La giornata di ieri si è conclusa con oltre cento feriti tra Gaza e Cisgiordania, colpiti da proiettili rivestiti di gomma e proiettili veri o intossicati dai gas lacrimogeni. Per tutto il giorno i negozi hanno tenuto le saracinesche abbassate, scuole, università e uffici pubblici hanno osservato la chiusura: lo sciopero generale indetto mercoledì sera – a pochi minuti dalla dichiarazione del presidente statunitense Trump che riconosceva Gerusalemme come capitale d’Israele – ha coinvolto davvero tutti.
Ramallah, Betlemme, Salfit, Tulkarem, Jenin, Qalqiliya, Hebron, Gerusalemme: le piazze si sono riempite. A Gaza le manifestazioni sono iniziate ieri mattina, i manifestanti hanno marciato verso il confine con Israele, zona interdetta unilateralmente dalle autorità israeliane: i soldati hanno aperto il fuoco contro i palestinesi, ferendone almeno nove di cui alcuni in modo grave. E in serata la Striscia è stata colpita da numerosi raid dell’aviazione israeliana in risposta al lancio di un missile che non ha provocato danni.
Ma è per oggi che si attendono le tensioni maggiori: è il “Giorno della Rabbia” in tutti i Territori e nello Stato di Israele. Dopo la preghiera del venerdì, manifestazioni sono previste ovunque in Cisgiordania, Gaza, Gerusalemme e nelle città palestinesi dentro Israele, Kufr Qassem, Jaljulia, Baqa el Gharbie, Kufr Karaa, Umm al Fahem, Tarma, Kufr Qanna. E domani si prosegue con manifestazioni a Rahat, al Renee, Arrabe, Majdal Krum e Taibe, mentre domenica gli studenti palestinesi manifesteranno all’università di Tel Aviv.
Le autorità israeliane hanno incrementato ulteriormente la presenza militare in Cisgiordania e a Gerusalemme est, inviando centinaia di poliziotti e soldati. “Diverse centinaia di poliziotti e poliziotti di frontiera sono stati dispiegati dentro e nei pressi della Città Vecchia”, ha fatto sapere il portavoce della polizia, Micky Rosenfeld.
Sul piano politico reagiscono i principali partiti palestinesi: Hamas ha chiamato ieri alla Terza Intifada – oggi, 8 dicembre, è il trentesimo anniversario dallo scoppio della Prima - con il leader Haniyeh che ha fatto sapere di aver “dato istruzioni a tutti i membri di Hamas ad essere pronti a confrontare questo nuovo pericolo che minaccia Gerusalemme e la Palestina”. Ha poi fatto appello al presidente dell’Autorità nazionale palestinese – con cui Hamas è in fase di riconciliazione – perché interrompa subito il coordinamento alla sicurezza con lo Stato di Israele e il dialogo con gli Stati Uniti.
Da parte sua, Abu Mazen è stretto tra due fuochi: dopo aver condannato la decisione di Trump e ordinato il ritiro dei rappresentanti dell’Olp negli Stati Uniti, è corso ad Amman per discutere nuove mosse con il re Abdallah di Giordania, ma sembra incapace di compiere una vera rottura, agitando così anche la base di Fatah stanca di negoziati infiniti senza via d’uscita. Più dura la leadership del partito con Jibril Rajoub, ex uomo forte dei servizi di sicurezza, che ha annunciato il boicottaggio degli incontri con rappresentanti Usa in visita nella regione: “Non accoglieremo il vice di Trump [il vice presidente Mike Pence, ndr]. Ha chiesto di incontrare Abbas il 19 di questo mese a Betlemme: quell’incontro non si terrà”, ha detto Rajoub.
Chi approfitta subito delle parole di Trump è il governo israeliano: ieri il ministro dell’Abitazione, Yoav Gallant, membro del partito di destra Casa Ebraica, ha detto che presenterà la prossima settimana al consiglio dei ministri il piano di costruzione di 14mila nuove case per coloni, di cui 6mila a Gerusalemme est.
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