Passano gli anni e i governi. Ma sulla strategia delle stragi di Stato continua a restare in piedi un muro di omertà. Non sarà certo il ministro dell’interno leghista a far uscire anche solo una fotocopia dagli archivi dei servizi. Così come fece Giorgio Napolitano quando sedette sulla stessa poltrona.
Riproponiamo dunque questo pezzo, da noi pubblicato in occasione dell’anniversario, ormai sei anni fa. Che fa luce su un alcuni tentativi di depistaggio che hanno visto lavorare di comune accordo servizi segreti italiani e il Mossad israeliano. Non sono stati gli unici depistaggi, ovviamente; questo è arrivato quasi ultimo, nel disperato tentativo di mischiare le carte, farne un “complotto internazionale” e dare una sponda al governo di Tel Aviv.
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Il 2 agosto 1980 alla Stazione di Bologna, alle ore 10.25, una bomba esplode nella sala d’aspetto di seconda classe, affollata di persone in viaggio per le vacanze. L’esplosivo, una miscela tra i 20 e i 25 chilogrammi di tritolo, T4, nitroglicerina e altri materiali, è contenuto in una valigia piazzata sopra un tavolino portabagagli, a 50 centimetri da terra, sotto il muro portante dell’ala ovest. Il treno straordinario Ancona-Basilea, fermo sul primo binario, arresta in parte e restituisce l’onda d’urto dell’esplosione. Crolla un tratto del fabbricato lungo circa 50 metri, con i locali del ristorante e delle sale d’attesa di prima e seconda classe, crollano 30 metri di pensilina. Chi non è morto investito direttamente dallo scoppio, muore o viene gravemente ferito sotto le macerie. Radio e televisione interrompono i programmi e annunciano un gravissimo incidente a Bologna. La prima voce che circola è che sia stata una fuga di gas o l’esplosione di una caldaia. Ma basta poco ad accorgersi che si è trattato di ben altro.
Le vittime della strage del 2 agosto 1980 sono 85. La più piccola si chiamava Angela Fresu, aveva tre anni e veniva da Montespertoli, vicino Firenze. Il più anziano è Antonio Montanari, aveva 86 anni e aspettava l’autobus sul marciapiedi davanti alla stazione.
Il Presidente del Consiglio dell’epoca è Francesco Cossiga, “l’amerikano” con molti scheletri nell’armadio ma che se li è portati nella tomba senza mai aver spiegato che cosa sia accaduto in questa e nelle altri stragi di Stato. Tanato per rammentare un esempio, il 13 gennaio due alti ufficiali del Sismi, il servizio segreto militare, Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte, su input del capo della Loggia P2 Licio Gelli e con la collaborazione del faccendiere-collaboratore dei servizi segreti statunitensi Francesco Pazienza, faranno ritrovare sul treno Taranto-Milano una valigetta con armi, esplosivo (dello stesso tipo di quello utilizzato nella strage di Bologna) e documenti che dovrebbe accreditare la pista del terrorismo internazionale (l’intenzione – scriveranno i giudici a sostegno delle condanne per depistaggio – è coprire la matrice neofascista della strage).
I tribunali e le inchieste della magistratura hanno individuato tre colpevoli, i neofascisti Giuseppe Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini, membri dei Nar. I tre si dichiarano innocenti: ammettono di aver organizzato e commesso parecchi omicidi ma insistono che con la strage di Bologna non c’entrano.
Nel maggio del 1991, Cossiga, diventato presidente della Repubblica, intervenendo davanti al Comitato parlamentare per i servizi di sicurezza afferma di essersi sbagliato ad addebitare ai fascisti la strage del 2 agosto a Bologna e si dice concorde con Giulio Andreotti sull’opportunità di “togliere la targa che alla stazione definisce fascista la strage del 1980”. Si scusa con l’allora Msi, affermando che il giudizio che diede allora “fu il frutto di errate informazioni, conseguenza d’intossicazione e di subcultura”. In una intervista al Corriere della Sera dell’8 luglio 2008, Francesco Cossiga intervistato da Aldo Cazzullo afferma che: “La strage di Bologna è un incidente accaduto agli amici della “resistenza palestinese” che, autorizzata dal “lodo Moro” a fare in Italia quel che voleva purché non contro il nostro Paese, si fecero saltare colpevolmente una o due valigie di esplosivo. Quanto agli innocenti condannati, in Italia i magistrati, salvo qualcuno, non sono mai stati eroi. E nella rossa Bologna la strage doveva essere fascista. In un primo tempo, gli imputati vennero assolti. Seguirono le manifestazioni politiche, e le sentenze politiche”.
Nell’aprile del 2009, Ilich Ramirez Sanchez, più noto alle cronache internazionali degli anni Settanta come Carlos, detenuto politico nel carcere francese di Poissy, viene ascoltato sulla strage del 2 agosto per rogatoria a Parigi dal pubblico ministero bolognese Enrico Cieri, nell’interrogatorio afferma che “quella è roba della Cia, i servizi segreti italiani e tedeschi lo sanno bene”.
Ad agosto del 2011, il quotidiano conservatore bolognese Il Resto del Carlino, rivela che nell’inchiesta bis sulla strage alla stazione di Bologna sono indagati i terroristi tedeschi Thomas Kram, 63 anni, e Margot Frohlich, 69, legati all’organizzazione di Carlos, (l’ORI, Organizzazione Rivoluzionaria Internazionale) in carcere a Parigi. Ma lo stesso Carlos sulla presenza di Kram a Bologna aveva già precisato che: “I servizi sapevano bene che a Bologna quel giorno c’era Thomas Kram e farlo saltare in aria con la stazione sarebbe stato come mettere la firma dei palestinesi sull’eccidio... Così l’Italia si sarebbe staccata dai palestinesi e avvicinata agli israeliani. Ma Kram si è salvato e l’operazione è fallita”.
(L'immagine utilizzata in questo articolo ritrae un’opera del pittore Carlo Carosso dedicata alla strage del 2 agosto alla stazione di Bologna e collocato nella stazione di Asti)
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