Anche perché, sul piano scientifico e organizzativo, nessuno più dei medici lombardi conosce davvero gli abissi di luridume ben nascosti dagli specchietti per le allodole sulle “eccellenze” della sanità regionale. Che è il risultato di una strategia di privatizzazione di lungo periodo, in cui è stata privilegiata l’ospedalizzazione rispetto alla prevenzione, sulla base di un ragionamento economicamente banale e sanitariamente devastante: la prevenzione costa, l’ospedalizzazione rende.
Avete presente l’antico proverbio “prevenire è meglio che curare”? L’esatto opposto...
A quel punto bastava – com’è stato fatto – dirottare sempre più risorse verso gli ospedali privati, creando “concorrenza” fasulla con quelli pubblici, nel mentre si smantellava la rete dei medici di base (gli unici che si possano accorgere che qualcosa non va a livello territoriale prima che esploda un problema irrisolvibile).
Il coronavirus si è incaricato di dimostrare che questa era una follia e che quella classe dirigente – amministratori servili e imprenditori avidi – è responsabile della strage verificatasi nella regione con più morti e contagiati al mondo. Quanto basta per definirla, sinteticamente, criminale. Senza nemmeno ricordare i salti mortali fatti per evitare che fossero dichiarate “zona rossa” la Val Seriana e altre aree ristrette.
I medici di base si erano espressi in modo molto chiaro, già un mesi fa, denunciando la “caporetto” di un sistema sanitario che i Fontana e i Gallera continuavano a “narrare” come il paradiso.
E lo stesso avevano fatto subito dopo i chirurghi, a dimostrazione del fatto che il bubbone era troppo evidente per continuare a tenerlo sotto il tappeto.
Poi sono partite, tardive, le inchieste della magistratura sulla strage nelle case di riposo – non solo lombarde, ma in primo luogo lombarde – visto che addirittura una delibera della Giunta aveva “chiesto” a quelle strutture (spesso con un servizio medico limitato alle “cure palliative”) di ospitare un po’ di contagiati da Covid-19. Come accendere un cerino in un deposito di benzina...
A quel punto deve essere diventato chiaro anche ai più imboscati tra i servi che il gioco si faceva pericoloso. La velocità con cui Fontana e Gallera avevano scaricato sull’Ats regionale (Agenzia di tutela della salute) la responsabilità di aver suggerito quella delibera ha convinto i vertici di questa struttura a correre ai ripari.
Cercandosi un avvocato.
Siccome però la prassi dello scaricabarile è la regola più antica delle amministrazioni vigliacche, anche ma non solo di quelle “in quota Lega”, la ricerca della consulenza legale ha avuto individuato due obiettivi: gettare la croce sui medici (!) e difendere il “modello Lombardia”.
La consulenza è stata infatti affidata “all’avvocato Angelo Capelli del foro di Bergamo”. Ossia uno tra gli autori della riforma del sistema sanitario della Lombardia legaiola. Chi più di lui, insomma, è indicato per cercare di salvare capra, cavoli e anche se stesso?
Questa intervista realizzata dall’Agenzia Agi alla segretaria della Federazione dei medici di medicina generale (Fimmg) lombardi, Paola Pedrini, chiarisce senza ombra di dubbio quale sia la “cultura amministrativa” di certa gente.
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L’Ats Bergamo ha paura di aver sbagliato qualcosa. Mette le mani avanti e va dall’avvocato *
“Assurda” se non “bizzarra” per Paola Pedrini, segretario lombardo della Federazione dei medici di medicina generale (Fimmg) la richiesta di una consulenza legale da parte dell’Agenzia di tutela della salute (Ats) di Bergamo, per accertare se ci siano state ‘responsabilità’ da parte dei medici di base nella gestione dell’emergenza “con particolare riferimento alla disponibilità e utilizzo dei dispositivi di protezione individuale”.
“È significativo come gesto – spiega – perché in realtà vuol dire che un po’ di paura l’agenzia ce l’ha, sta mettendo le mani avanti”.
“A Bergamo abbiamo il maggior numero di medici che si sono infettati o che sono morti: su 700 medici in provincia, 150 si sono ammalati e 6 sono deceduti. Quindi – aggiunge Pedrini – vedere che si cerca una consulenza legale per eventualmente cercare di girare la colpa sul medico stesso, mi sembra assurdo, ancora più che demoralizzante”.
E anche la “scelta dell’avvocato è stata infelice per noi”.
La consulenza, come si legge nella delibera firmata dal Direttore generale Massimo Giupponi, è stata affidata “all’avvocato Angelo Capelli del foro di Bergamo”. “Capelli è stato tra gli autori della riforma del sistema sanitario regionale che ai medici di famiglia non era proprio piaciuta – ricorda Pedrini –. Dunque, anche la scelta dell’avvocato è significativa, non è un avvocato qualunque per la sanità lombarda e soprattutto per Bergamo”.
La consulenza è ampia e riguarda anche come è stata gestita l’emergenza sanitaria nell’ospedale di Alzano Lombardo e nelle Rsa. Ma per i medici di base cosa si vuole accertare?
“Sui medici di famiglia – spiega – posso immaginare che l’Ats si chieda se effettivamente doveva fornirci i dispositivi di protezione perché non siamo suoi dipendenti, siamo liberi professionisti convenzionati con il sistema sanitario nazionale, sia noi che i pediatri di famiglia. Ma è una mia supposizione. Il punto è che in situazioni di emergenza la risposta è ‘sì’, sono l’Ats e la Regione che devono creare quanto meno un canale preferenziale per fornire i dpi. Inoltre nel piano pandemico c’è proprio scritto che la fornitura dei dispositivi di protezione va fatta anche ai medici di famiglia“”.
Dunque la ‘mossa’ dell’Ats non vi preoccupa?
“Siamo assolutamente tranquilli” assicura Pedrini.
Che ricorda anche che “fin dai primi casi di coronavirus i medici hanno cercato di approvvigionarsi di mascherine ma erano esaurite. Abbiamo provato anche come associazione a fare degli acquisti per i medici di famiglia, ma l’altro problema che è insorto è che questi ordini venivano bloccati, fermi 8 giorni e più, in dogana dalla Protezione Civile” perché tutti i dpi dovevano essere destinati alle strutture ospedaliere.
“Quello che ci fa ancora più male – aggiunge – è che ci aspettavamo che in un momento del genere, soprattutto a Bergamo dove la situazione è una delle peggiori, magari quei soldi potevano essere ben spesi per un consulente scientifico e non per un consulente legale”.
Ce ne sarebbe ancora bisogno?
“Certo, l’emergenza non è passata, i casi si sono ridotti ma – avverte – l’equilibrio è veramente precario, non siamo ancora pronti a superare le criticità che ci sono state nella Fase 1. I tamponi sono ancora insufficienti, le indagini epidemiologiche fatte sui contatti dei pazienti sospetti sono assolutamente insufficienti. Siamo ancora sul chi va là”.
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