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07/07/2020

Brancaccio: "Il Mes è un pessimo affare. Soprattutto per gli europeisti"

Il Mes è un pessimo affare, e va messo in soffitta persino dai cosiddetti “europeisti”. La convenienza economica è dubbia, il rischio di stigma finanziario è reale, le condizionalità ora sospese potrebbero essere riattivate. È quanto afferma in una intervista all’Huffington Post Emiliano Brancaccio, economista e docente all’Università del Sannio, nella quale fa una attenta disamina dei pro e soprattutto dei contro di un eventuale ricorso al Fondo Salva-Stati da parte dell’Italia. Nel marzo scorso, insieme ad altri colleghi economisti, Brancaccio ha pubblicato sul Financial Times un appello per un “piano anti-virus” fondato su un maggior controllo della speculazione sui mercati finanziari e su una moderna pianificazione degli investimenti pubblici in Europa.

Partiamo dal punto che tutti i sostenitori del Mes citano per chiederne l’attivazione: il famoso risparmio di 5 miliardi in dieci anni. Si può davvero quantificarlo con certezza nel momento in cui si chiede l’accesso?

Il cosiddetto “risparmio” del Mes si calcola in base ai tassi d’interesse vigenti nel momento in cui i finanziamenti vengono erogati. Per adesso il differenziale tra Mes ed emissioni del Tesoro è di circa 480 milioni all’anno. Bisogna capire che questa differenza dipende solo in parte dal “libero” gioco della domanda e dell’offerta di titoli, che ormai di “libero” ha ben poco.

In che senso?

Da tempo la Bce ha messo le briglie a tutto il mercato, per impedire un’esplosione degli spread tra i tassi e una nuova crisi dell’eurozona. Questo aspetto va sottolineato, perché chiarisce che anche l’eventuale risparmio derivante dall’uso del Mes è in ultima istanza una risultante delle scelte della banca centrale.

Le forze politiche a sostegno del Mes sostengono che con i 36 miliardi prestati dal fondo potremmo finanziare anche spese indirette, fino a comprendere la costruzione di scuole o infrastrutture, o misure di spesa corrente come l’assunzione di nuovo personale. È davvero così?

I dispositivi del Mes “pandemico” sono soggetti a diverse interpretazioni, e non è una novità. Le stesse regole dei Trattati presentano degli elementi di indeterminatezza che tendono poi a essere risolti in seno al Consiglio Europeo in base ai rapporti di forza del momento. Questo metodo opaco vale tanto più per il Mes, che ora si basa non solo sulle norme che lo regolano ma anche sull’interpretazione di un accordo politico vago e contingente.

Cosa vuol dire?

Non mi meraviglierei se in futuro, per mere ragioni di tattica politica, un rappresentante dei cosiddetti paesi “frugali” dichiarasse che l’Italia ha impiegato i soldi del Mes oltre il mandato europeo. Smentirlo con i codici alla mano sarebbe un po’ complicato, proprio perché il quadro delle norme e delle interpretazioni è ancor meno chiaro del solito. Ancora una volta, tutto dipenderà dai rapporti di forza prevalenti.

I detrattori del Mes ritengono che le condizionalità ora sospese per questa particolare linea di credito possano tornare in un secondo momento, visto che i regolamenti Ue non sono stati modificati e per ora fa fede la famosa lettera di Gentiloni e Dombrovskis. Si tratta di timori esagerati?

Sono timori fondati. Durante il lockdown c’era stato anche un tentativo di riscrivere alcune norme dei Trattati e lo stesso accordo del Mes, ma l’operazione è abortita anche perché troppo a lungo si è cercato di minimizzare l’enormità della crisi. Alla fine ci siamo dovuti accontentare di una tregua politica ambigua, come si evince anche dal comunicato dell’Eurogruppo in cui si insiste sull’impegno al “rafforzamento dei fondamentali”. Possiamo già prevedere che i paesi che l’hanno sempre criticato metteranno l’accordo sul Mes nuovamente sotto attacco, allo scopo di interpretarlo in senso più restrittivo.

Cos’è l’effetto “stigma” di cui tutti parlano a proposito del Mes? Molti dicono non esista in questo caso...

Il Mes è un creditore privilegiato, se vi facciamo ricorso è logico che il mercato esiga tassi d’interesse più alti sulla parte restante del debito pubblico. Ovviamente, anche in tal caso l’aumento dei tassi si verifica solo se la Bce lo consente e comunque si fa sentire nel tempo, sulle nuove emissioni di titoli e specialmente se l’utilizzo del Mes diventa sistematico. Il problema è che nel nostro caso basta un piccolissimo incremento dei tassi sui titoli di stato italiani per cancellare il modesto risparmio che per adesso deriverebbe dal Mes. È un rischio che va tenuto ben presente.

Anche Cipro, dopo una iniziale apertura, ha fatto retromarcia sul Mes e ha detto: “Per ora, no grazie”. Perché, in definitiva, nessuno lo vuole?

In parte perché si tratta di un meccanismo superato dagli eventi: non serve più nemmeno ad attivare gli acquisti di titoli della Bce, che oggi seguono altre vie. Ma soprattutto viene evitato per una questione di fondo. Il Mes è un accordo extra-Trattati che assume per statuto il solo “punto di vista del creditore”. La sua logica fuoriesce completamente dal metodo comunitario, in cui bene o male le istituzioni sono tenute a rappresentare tutti, creditori o debitori che siano.

Qual è a suo avviso l’errore che si sta commettendo nel dibattito sul Mes?

Il dibattito politico non è all’altezza della gravità della crisi, e per questo finisce anche per generare dei cortocircuiti logici. Il caso del Mes mi sembra emblematico: contestato dai cosiddetti “sovranisti”, a ben vedere può costituire un problema soprattutto per gli “europeisti”.

Per gli europeisti?

Esatto. Quel meccanismo è infatti la summa di tutti i guasti di un assetto europeo pericolosamente sbilanciato a favore dei creditori. Sostenere il Mes significa avallare questo sbilanciamento istituzionale, e creare le premesse per quel mostruoso avvitamento economico che i keynesiani chiamano “deflazione da debiti” e che può mettere nuovamente in pericolo la sopravvivenza dell’Unione. Mi rendo conto che le forze politiche sono accecate dai tatticismi di breve periodo, ma dal punto di vista della logica economica resta un fatto innegabile: mettere in soffitta il Mes sarebbe nell’interesse vitale del progetto europeo.

Però se si mette da parte il Mes resta il problema che le trattative sul Recovery Fund sono in alto mare. Sono contrari i “frugali” e una parte del gruppo Visegrad, l’Irlanda frena sulla digital tax. Quale significato politico avrebbe un ridimensionamento della proposta della Commissione?

Al di là dei proclami lo strumento mi sembra debole e tardivo rispetto alla gravità della recessione. Come ha segnalato l’influente Istituto Bruegel, il guaio principale del Recovery Fund è che se anche venisse approvato entro l’estate e senza ripensamenti, in ogni caso nel 2020 non arriverebbe nemmeno un euro, nel 2021 otterremmo appena il 9 percento delle somme stanziate e nel 2022 il restante 14 percento. Questo significa che più di tre quarti delle risorse non arriverebbero prima del 2023. Considerato che il Pil sta precipitando adesso in tutta Europa, a una velocità mai vista nella storia del capitalismo, il ritardo della politica economica europea è inquietante.

Come se non bastasse, ieri la Commissione ha già riaperto il capitolo “Patto di Stabilità”. Presto potrebbero tornare in vigore i vecchi vincoli di bilancio. Christine Lagarde ha chiesto una modifica di quelle regole, da molti studiosi considerate inefficaci se non deleterie. L’Olanda e non solo le difende. Quali rischi per l’Italia con un ritorno alla disciplina fiscale in questa fase?

Il problema non riguarda solo l’Italia, in questo momento nessun paese rispetta i parametri del Patto di stabilità. Ripristinarlo senza profondi cambiamenti significa una cosa soltanto: che l’eurozona salta per aria. Se il governo olandese e i suoi sodali vogliono questo esito, lo dicano apertamente e senza altre ipocrisie.

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