Lo sguardo di Kent, a 77 anni, è lucidissimo e da ogni riga traspare la sua passione per una causa che sposò da giovane e che non ha mai abbandonato.
Intreccia, grazie alle domande, il passato della sua militanza nelle Panthers con un presente carico di possibilità, cercando di trasmettere ai giovani cosa fosse la “vecchia scuola” fatta di dura militanza quotidiana, formazione politica e repressione.
L’ottimismo di Kent è lo stesso che trapela dalle prese di posizione di una altra “veterana” della lotta di liberazione afro-americana Angela Davis:
“Questo è un momento straordinario. Non ho mai sperimentato nulla di simile alle condizioni che stiamo vivendo attualmente, la congiuntura creata dalla pandemia di Covid-19 e il riconoscimento del razzismo sistemico che è stato reso visibile in queste condizioni a causa delle morti sproporzionate nelle comunità di Blacks e Latinos. E questo è un momento in cui non so se mi sarei mai aspettata di sperimentare (...) ho spesso detto che non si sa mai quando le condizioni possono dar luogo a una congiuntura come quella attuale, che sposta rapidamente la coscienza popolare e ci consente improvvisamente di muoverci nella direzione del cambiamento radicale.È un fatto assolutamente rilevante che una generazione di attivisti sopravvissuti al tentativo di annichilimento sistematico da parte degli apparati statali prenda parola e crei un ponte tra quel tentativo di “assalto al cielo” e le attuali mobilitazioni.
Se uno non coglie l’occasione quando si presenta un momento del genere, non possiamo sfruttare le opportunità di cambiamento. E, naturalmente, questo momento passerà. L’intensità delle attuali dimostrazioni non può essere sostenuta nel tempo, ma dovremo essere pronti a cambiare marcia e affrontare questi problemi in diversi campi, tra cui, ovviamente, quello elettorale”.
Lo hanno fatto per esempio alcuni ex membri delle Pantere Nere e del Black Liberation Army, rivolgendosi ad una serie di artisti afro-americani del mainstream, richiamandoli alle proprie responsabilità di fronte alla loro comunità e al ghetto globale in cui vivono i nuovi dannati della terra:
“Riconosciamo tutti che siamo in un periodo che è uno ‘spartiacque’ tra il fallimento economico e quello governativo, una pandemia e ora un movimento di resistenza per cui le cose che scaturiranno non saranno mai più le stesse. Ciò che facciamo tutti in questo periodo avrà un impatto diretto sui destini, la sopravvivenza e la libertà dei neri e di altri nel mondo che soffrono della stessa oppressione. Nelle favelas sud americane, nelle baraccopoli sud-africane, nei territori palestinesi, o nei ghetti neri dell’America razzista, il capitalismo e la supremazia bianca, hanno tramutato, per i profitti di pochi, il mondo intero in un ghetto. Quindi, dovremmo prestarci attenzione l’un l’altro, perché qui, nel cuore dell’America razzista, siamo tutto ciò che abbiamo, e insieme ai nostri veri alleati, siamo davvero tutto ciò di cui abbiamo bisogno.”Siamo di fronte ad una forte crisi di legittimità rispetto ad un “sistema sociale fallito”, come l’ha definito Cornel West – storico attivista ed intellettuale afro-americano:
“Il catalizzatore è stato senza dubbio il linciaggio pubblico di Fratello George Floyd, ma [vi sono anche, ndt] i fallimenti dell’economia capitalista predatrice nel fornire i bisogni di base di cibo, assistenza sanitaria e istruzione di qualità, lavori con un salario dignitoso, allo stesso tempo il crollo della classe politica, il crollo della classe professionale.Tutti gli indicatori sembrano confermare che non sembra esserci una inversione di tendenza nella gravità della situazione da ogni punto di vista. Solo sul fronte sanitario i contagiati negli Stati Uniti sono 2 milioni e 600 mila, le morti sono 126 mila, un quarto di quelle mondiale sebbene la popolazione statunitense sia solo il 4% di quella del Pianeta. Decessi che hanno colpito in proporzione molto di più la popolazione nativo-americana, afro-americana ed i latinos rispetto alle altre.
La loro legittimità è stata radicalmente messa in discussione, ed è multirazziale. È la dimensione neofascista in Trump. È la dimensione neoliberista di Biden, Obama, Clinton e così via. E include gran parte dei media. Comprende molti professori nelle università. I giovani stanno dicendo: ‘Siete stati tutti ipocriti. Non ti sei preoccupato per la nostra sofferenza, la nostra miseria. E non crediamo più nella tua legittimità.’ E tutto si riversa in una violenta esplosione.”
Difficile pensare che agli afro-americani – ma questa volta non solo a loro – rimanga altra possibilità che non sia quella di insorgere.
Buona Lettura
*****
Le ultime tre settimane Kent Ford le ha passate nelle strade di Portland, manifestando contro la brutalità della polizia e lottando per la giustizia razziale.
Ford, 77 anni, sa il fatto suo sulla repressione poliziesca e sulla militanza politica: cinquantuno anni fa ha fondato la sezione di Portland delle Black Panthers.
Dopo essere uscito di prigione, dove era stato detenuto con l’accusa di disordini e sommosse, Ford, dagli scalini della sede della polizia di Portland annunciò ufficialmente la nascita delle sezione locale delle Black Panthers con le seguenti parole: “se verranno portate avanti queste tattiche fasciste, inizieremo a difenderci”.
Era il giugno del 1969 e la sezione era già parzialmente attiva con alcune iniziative non pubbliche. Dopo l’assassinio di Martin Luther King Jr., Ford aveva partecipato, insieme ad altri attivisti afroamericani, a incontri settimanali di formazione politica in cui venivano letti Kwame Nkrumah, Mao, e Huey Newton.
Sarebbero sorti presto due importanti centri medici: la clinica odontoiatrica Malcolm X e la clinica popolare gratuita Fred Hampton.
La violenza e la cancellazione della memoria storica sono entrambi elementi della repressione statale ed è di primaria importanza mantenere vive le storie di chi li ha subiti.
Quando il dissenso viene schiacciato o rimane sotto traccia, si creano delle fratture tra una generazione e l’altra, e molti temi rischiano di perdere rilevanza.
Ford è determinato a riportare questi contenuti in primo piano, lavorando con la nuova generazione di attivisti per insegnare loro il metodo della “vecchia scuola” e allo stesso tempo mettere in campo nuove tecniche e prospettive.
Jules Boykoff: la recente ondata di omicidi di cittadini afroamericani da parte della polizia – tra cui George Floyd e Breonna Taylor – ha spinto la gente in tutto il paese scendere in strada e manifestare. C’è un qualche legame tra gli episodi di repressione che tu hai subito con quanto sta accadendo oggi?
Kent Ford: Allora la comunità era una polveriera proprio come oggi. La polizia ci stava addosso, contestandoci infrazioni ridicole. Una lucina della targa mancante, una freccia fulminata, attraversamento fuori dalle strisce pedonali. Cose davvero di poco conto. La mia prima esperienza con la brutalità della polizia risale alla fine degli anni Sessanta, quando dei poliziotti mi trascinarono fuori da una volante per malmenarmi. Ero ammanettato, proprio come Floyd. Sostenevano che avessi ingoiato qualcosa, che non era vero, e uno di loro mi infilò un dito in gola. Io d’istinto chiusi la mascella e questo urlava come un pazzo “mi ha morso! Ha morso il mio dito!”.
Appena finirono di menarmi, io mollai il dito. Mi accusarono di disordini e incitamento alla sommossa e mi portarono in prigione. Promisi a me stesso e a Dio che se fossi sopravvissuto a quella nottata avrei combattuto il sistema fino all’ultimo dei miei giorni. Alla fine venni prosciolto e un giudice federale mi accordò un risarcimento di seimila dollari.
Il punto 7 del manifesto in dieci punti delle Black Panthers recita “vogliamo la fine immediata della brutalità della polizia e dell’uccisione dei neri”. Ed è stato scritto nel 1966! Siamo nel 2020 ed è ancora drammaticamente attuale. Quando la polizia ha ucciso George Floyd in Minnesota si è trattato di una vera e propria esecuzione pubblica. E lo stesso per Breonna Taylor. Quasi ogni città americana ha storie di questo tipo. Qui a Portland ci sono quelle di Keaton Otis, Aaron Campbell e Kendra James. Keaton Otis fu ucciso con 23 colpi di pistola dalla polizia di Portland, pochi mesi dopo il caso di Aaron Campbell. Ogni mese vado a una veglia in onore di Otis.
Provo a collegare quanto sta accadendo a Portland con quello che accade in altre parti del paese. Non si può capire cosa sia successo a Floyd senza parlare della Palestina. I sionisti hanno sottratto le terre dei palestinesi. Non si può parlare della situazione interna di questo paese senza considerare la macchina da guerra americana all’estero. C’è una linea diretta. Ammetto di essermi bevuto anch’io un po’ della retorica secondo la quale con Obama le cose sarebbero andate meglio. Non dimentichiamo però che il movimento Black Lives Matter è nato durante il mandato di un presidente nero. È molto più grande di Obama. È un vero e proprio razzismo sistemico.
Puoi parlarci del programma di mutuo soccorso istituito dalle Black Panthers a Portland?
I nostri programmi di sostentamento sono il cuore nevralgico della nostra attività quotidiana. Entro il 1970 avevamo due centri medici che lavoravano a pieno regime. Alla clinica dentale Malcolm X i dentisti volontari visitavano pazienti lunedì, mercoledì e venerdì sera. La clinica popolare gratuita in memoria di Fred Hampton contava più di venti medici volontari, una cinquantina di infermiere ed era aperta cinque sere a settimana dalle sette alle dieci. Le cliniche offrivano cure mediche gratis a chiunque, senza badare alla razza. La comunità ne aveva un gran bisogno, quelle cliniche erano sempre affollatissime.
L’iniziativa delle colazioni gratuite era uno dei punti più significativi del nostro programma. A Portland servivamo circa 125 ragazzini al giorno. Ci alzavamo alle 5 del mattino e caricavamo il camion con pericolose armi di distruzione di massa: pancetta, uova, pastella per i pancake. E quello fu uno dei guai peggiori che combinammo. Eravamo spesso a corto di volontari, ma in qualche modo ce la siamo sempre cavata. La gente viene da me oggi e mi dice “Signor Ford, sono uno dei ragazzini che lei sfamava.” Lo trovo bellissimo. La città aveva completamente tagliato fuori questa zona di Portland, era terra di nessuno. La gente di quei quartieri ci adorava; noi pensavamo a loro e loro pensavano a noi, ci si sosteneva a vicenda.
E avevate anche un programma di formazione politica.
Sì, eravamo dei gran promotori della formazione politica, o FP, come la chiamavamo allora. Richiedevamo ad ogni membro del partito di dedicare almeno due ore al giorno alla lettura. Avevamo anche un gruppo di lettura in cui si discutevano i testi di Kwame Nkrumah, James Baldwin, Angela Davis, Malcolm X, Harold Cruse, Mao. I dannati della Terra di Frantz Fanon era come una bibbia per noi.
Le lezioni di politica si tenevano ogni mercoledì e ogni domenica sera, ed erano focalizzate su quanto accadeva intorno a noi a livello locale, nazionale e internazionale. Le nostre letture si focalizzavano su tre grandi mali dell’imperialismo: militarismo, capitalismo e razzismo. Alcune volte partecipavano anche degli avvocati, per darci delle nozioni legali di base riguardo le manifestazioni e le infrazioni stradali che avrebbero potuto contestarci, per aiutarci a tenere la situazione sotto controllo.
E rimani un avido lettore ancora oggi.
Leggere autori come Arundhati Roy, Malcolm X, Cornel West, Angela Davis, Assata Shakur o Gary Younge, può aiutare a capire molto la politica. Younge è una della menti più brillanti al mondo, lo metterei addirittura al livello di Malcolm X.
Altre letture importanti: The New Jim Crow, di Michelle Alexander; The Holocaust and the Nakba: A New Grammar of Trauma and History, a cura di Bashir Bashir e Amos Goldberg; A More Beautiful and Terrible History: The Uses and Misuses of Civil Rights History, di Jeanne Theoharis.
Li leggi, li metabolizzi, li fai diventare tuoi e poi li porti con te nelle strade e nelle piazze.
I media hanno largamente usato la dicotomia del buon manifestante/cattivo manifestante. Cosa ne pensi?
Non mi faccio ingannare da queste stronzate. Ai nostri tempi eravamo noi i cattivi manifestanti che venivano sbattuti in prima pagina. Siamo tutti lì fuori per un motivo, combattere i soprusi della polizia e fermare la violenza contro i neri. Siamo tutti sulla stessa barca. L’idea che ci siano delle brave e delle cattive persone serve solo a creare delle divisioni nel movimento.
Per quanto tempo ci è stato detto di manifestare in modo pacifico? E guarda che fine hanno fatto Martin Luther King e Malcolm X. Trump non fa che parlare di pericolosi antifa e atti di terrorismo, ma io voglio invece ringraziare gli antifa per aver salvato la vita di Cornel West a Charlottesville. Voglio far sapere agli antifa che sono i benvenuti ai nostri comizi; uniamo le nostre forze. Non voglio nemmeno sentirla nominare la parola “saccheggio”.
Gli Stati Uniti non hanno fatto altro che saccheggiare le comunità nere, da sempre.
Portland è una città a prevalenza bianca, in parte a causa dell’atto costitutivo dello stato dell’Oregon, che fino agli anni Venti aveva bandito i neri dallo stato. Com’è stato avere sostenitori bianchi e collaborare con loro in una città abitata quasi solo da bianchi?
Questo c’era e con questo abbiamo fatto funzionare le cose. Abbiamo stretto alleanze con gli Studenti per una Società Democratica (SDS), con il Partito per la pace e la libertà, con il Partito Comunista e con la Lega internazionale femminile per la pace e la libertà.
Abbiamo sempre avuto il supporto di gruppi anticapitalisti e antimperialisti. Perfino Bill Walton, dei Trail Blazers di Portland (squadra di Basket locale che gioca nella NBA, ndr) ha partecipato alle nostre manifestazioni e iniziative di tanto in tanto. Molti dei nostri sostenitori ci hanno aiutato con le cauzioni quando ne avevamo bisogno. Hanno addirittura istituito un fondo per le nostre cauzioni senza fare domande. Quando è toccato a me finire dentro per sommossa, la mia cauzione di 80mila dollari è stata pagata da due bianchi: metà da Morris Malvin, un radiologo e metà da Panny Sabin, l’ereditiera della Blue Bell Potato Chips che ha pagato in azioni della sua azienda.
Malbin si è occupato di molte raccolte fondi per noi. Tutti i dottori nelle nostre cliniche erano bianchi. Da sempre vedo la gente unirsi nelle lotte, bianchi neri, nativi, e questo mi aiuta a tenere alta la mia motivazione.
Gary Younge ha detto “Quando le persone parlano della natura distruttiva delle rivolte, dovrebbero tenere a mente in primis la natura distruttiva di ciò che le ha provocate, ma anche le possibilità che spesso vengono aperte da questi momenti storici.”
È proprio così. Le persone che stanno portando avanti le proteste a Portland hanno una forza incredibile e un grande cuore. Stanno facendo arrivare alla gente i messaggi giusti. Parlano ai manifestanti dei loro diritti. Parlando al telefono con due di loro, qualche giorno fa, li ho incoraggiati a continuare a portare queste istanze nelle strade. Perché è lì che devono essere risolte.
Riceveranno presto delle pressioni per iniziare ad accettare dei compromessi. Non possiamo farci fregare accontentarci di qualche riforma irrilevante. Abbiamo l’opportunità di pensare in grande: limitare i fondi per la polizia, porre fine al problema della mancanza di alloggi, rivendicare un lavoro per tutti.
In questo momento stiamo vedendo lo spirito nelle strade di tutti gli Stati Uniti, anche nelle piccole città. Qui in Oregon, ci sono proteste in città che di solito non vedono mobilitazioni, luoghi come Klamath Falls. Questa è la vera coalizione arcobaleno di cui parlava Fred Hampton negli anni ’60 prima che la polizia lo crivellasse di pallottole insieme a Mark Clark.
Ora siamo in movimento. Abbiamo una reale possibilità di migliorare le cose per i nostri nipoti. È un peccato che sia stato necessario vedere quegli orribili otto minuti e 46 secondi per far prendere coscienza alle persone della realtà della situazione. Dobbiamo guardarci l’un l’altro le spalle, guardarci l’un l’altro.
Ora ho 77 anni e chissà, potrei non essere qui oggi, domani o il giorno successivo. Ma posso star certo che di una cosa: fintanto che le persone saranno fuori per le strade a lottare contro l’omicidio dei neri, io sarò lì.
Sono a fine corsa ma è come se mi sentissi all’inizio. Siamo stati qui prima, ma questa volta portiamolo alla sua conclusione. Ricominciamo e facciamolo bene.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento