Come ricorda l’ex Pantera Nera di Portland Kent Ford in una recente intervista: “Il punto 7 del manifesto in dieci punti delle Black Panthers recita ‘vogliamo la fine immediata della brutalità della polizia e dell’uccisione dei neri‘. Ed è stato scritto nel 1966! Siamo nel 2020 ed è ancora drammaticamente attuale”.
Le cosiddette “riforme della polizia”, attuate dopo lo sviluppo del movimento Black Lives Matter nel 2014 – durante il secondo mandato presidenziale di Obama – non hanno modificato sostanzialmente la situazione.
Come ha scritto “The Intercept” all’inizio delle mobilitazioni,dopo la morte a fine maggio del 46enne George Floyd da parte degli agenti di polizia di Minneapolis, il 25 maggio: “Anni di pessima condotta e brutalità della polizia locale hanno portato molti a protestare e a parlare della ‘riforma’. Ma la morte di George Floyd è un pressante rimando al fatto che qui, come in tutto il paese, la riforma della polizia ha fallito, e che è arrivato il momento di qualcosa di diverso”.
Quel qualcosa di diverso si è concretizzato nell’ampio e articolato movimento “Defund the Police” che, sotto una inedita pressione popolare, sta avendo notevoli successi nei vari Stati e nelle varie città, mentre una “riforma della polizia” piuttosto blanda voluta dai democratici è passata al Congresso, ma difficilmente passerà al Senato, dove i Repubblicani possono contare su una solida maggioranza.
New York – sotto la pressione di BLM, che si è accampata davanti al municipio – il 30 giugno ha votato per la riduzione del budget alla polizia di più di un miliardo di dollari, la rinuncia alla prevista assunzione di duemila agenti e lo “smantellamento” di una squadra di 600 agenti implicati in differenti casi di violenza poliziesca...
“Una recente indagine del Lincoln Institute of Land Policy (...) mostra come nelle città statunitensi le spese complessive per la polizia – non solo quelle dei fondi destinati dalle amministrazioni locali – sono aumentate sul lungo periodo, anche se il tasso del crimine calava. (...) Mentre nel 1977, nelle prime 150 città nord-americane, la spesa media era pari al 6,6%, quaranta anni dopo – nel 2017 – era pari al 7,8%. A Boston, Los Angeles e Milwaukee, ogni 10 dollari spesi dall’amministrazione locale un dollaro va alla polizia; a Minneapolis uno ogni 20″.
Per avere un termine di paragone bisogna ricordare che in media solo il 5% è speso per le politiche abitative, il 3% per i parchi. In questa gara a chi spende di più in termini percentuali Tucson ha il primato con il 16%; mentre la città più grande che spende di più in polizia – sempre in termini percentuali – è Los Angeles, che con i suoi 4 milioni di abitanti spende l’11%. La seconda è Jacksonville, con poco più di 920 mila abitanti, che spende il 12%.
La polizia si è ritrovata a ricoprire compiti prima affidati a strutture del welfare, ovvero come ha detto un ex capo della polizia nell’attuale staff di Obama "è stata usata per riempire i vuoti dove i servizi della città non erano adeguati‘, di fatto contribuendo a far diventare i problemi sociali delle questioni criminali tout court. New York ha una percentuale relativamente bassa – attorno al 6 per cento – di spese per la polizia, ma molto alta in termini assoluti: 5,7 miliardi di dollari nel 2017. (...)”.
Un aumento che non ha riguardato le spese per gli organici, ma per tecnologie e addestramento di tipo militare.
Se, come ricorda Glen Ford, la diminuzione delle entrate e la politica falsamente riformista dell’establishment democratico contribuiranno a dare l’idea di una svolta decisiva, la pressione popolare sarà determinante.
In questo quadro appare chiaro come sia stato fondamentale il lavoro di preparazione del terreno fatto da attivisti e da ricercatori nel corso di questi lunghi anni, così come di coloro – tra gli artisti afro-americani – che hanno rielaborato creativamente la storia del movimento di liberazione nero.
Critical Resistance – co-fondato da Angela Davis nel 1997 – è forse il gruppo che ha precorso i tempi, sorgendo in un momento in cui l’establishment democratico aveva sposato politiche di “legge e ordine” più conservatrici dei Repubblicani.
Come ha sottolineato proprio Angela Davis, la prospettiva abolizionista ha in sé la prospettiva di una società altra.
“Beh, l’appello a togliere i fondi alla polizia è, a mio avviso, una richiesta abolizionista, ma riflette solo un aspetto del processo rappresentato da questa richiesta. Sconfiggere la polizia non significa semplicemente ritirare fondi per le forze dell’ordine e non fare nient’altro. E sembra che sia questa comprensione piuttosto superficiale del tema che ha fatto muovere Biden nella direzione in cui si sta muovendo. Si tratta di spostare i fondi pubblici verso nuovi servizi e nuove istituzioni – i consulenti di salute mentale, che possono rispondere alle persone in crisi senza armi. Si tratta di spostare i finanziamenti verso l’istruzione, l’edilizia abitativa, le attività ricreative. Tutte queste cose aiutano a creare sicurezza. Si tratta di apprendere che la sicurezza, salvaguardata dalla violenza poliziesca, non è realmente sicurezza. E direi che l’abolizione non è principalmente una strategia negativa. Non si tratta principalmente di smantellare, sbarazzarsi di, ma si tratta di avere una visione differente.”
In un momento in cui l’unica strategia discorsiva usata da Trump, in campagna elettorale, è la rivendicazione dei valori del suprematismo bianco ed il tuonare contro “il fascismo dell’estrema sinistra”, per distogliere l’attenzione dalla disastrosa situazione sanitaria in via di peggioramento e la catastrofica situazione sociale, ed il partito democratico brilla per inconsistenza, si è aperto uno spazio politico che affonda le sue radici in un passato rivoluzionario che sembrava rimosso.
Buona lettura.
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Il primo lavoro nel mondo dei media di Glen Ford risale al 1970, quando era speaker in una radio di proprietà di James Brown, ad Augusta. A breve si sarebbe unito al partito delle Black Panthers. Nel corso dei decenni a venire Ford ha diretto numerose emittenti radio e condotto programmi televisivi.
Nel 2006, insieme a Margaret Kimberly e Bruce Dixon, un ex membro delle Black Panthers di Chicago, ha fondato Black Agenda Report, ancora oggi una delle voci più autorevoli della sinistra antimperialista americana.
L’ho incontrato il 19 giugno per parlare delle proteste in corso e di come queste si collegano alle battaglie storiche delle Black Panthers. Segue un estratto dell’intervista particolarmente rilevante in relazione alle manifestazioni di questi giorni.
Qualcuno sta confrontando in modo negativo quello che sta accadendo oggi nelle strade degli Stati Uniti con quanto ha avuto luogo negli anni delle Black Panthers, nonostante entrambi siano orientati ad arginare il razzismo e la violenza sistemici delle forze di polizia. Ci parli degli obiettivi e delle strategie che avete adottato voi Black Panthers e di come potrebbero collegarsi con quelli in uso oggi?
Negli ultimi 50 anni, dai tempi delle Black Panthers, non ci sono stati sostanziali cambiamenti negli equilibri di potere in questo paese. Abbiamo solo un gran numero di neri tra i democratici che collaborano alla incarcerazione di massa degli afroamericani, sviluppatasi e impostasi dopo le ribellioni degli anni Sessanta, incluse quelle delle Black Panthers.
Il modo in cui il regime ha risposto a queste rivolte è stato appunto quello di disporre delle incarcerazioni di massa di neri, che ha portato, dagli anni Settanta, ad un incremento della popolazione carceraria da 200mila alle attuali 2,3 milioni di persone. È la drammatica misura dell’espansione del regime.
Lo scopo era duplice: in primo luogo criminalizzare la popolazione nera nella sua totalità, in modo da poter facilmente imporre un ipotetico “Stato di Polizia” sulle comunità nere. Era poi una misura controrivoluzionaria da scagliare contro gli attivisti e i militanti per neutralizzarli in poco tempo.
Ci sono delle assonanze significative tra quello che negli anni Sessanta diventò un grande movimento popolare e quanto sta accadendo oggi. Molte delle persone scese in strada hanno invocato a gran voce il controllo comunitario sulle forze di polizia, che era una delle principali rivendicazioni delle Black Panthers.
Una delle pratiche per cui siamo diventati famosi in tutto il mondo era appunto l’istituzione di squadre di sorveglianza dell’operato della polizia composte dai membri della comunità. In pratica, gli attivisti seguivano con le loro auto le volanti della polizia durante i loro pattugliamenti e, se notavano che venivano commessi abusi nei confronti di cittadini neri, si avvicinavano armati di fotocamera e documentavano l’evento senza avvicinarsi o intervenire.
Queste pratiche erano ispirate a quelle delle Community Alert Patrols che operavano a Los Angeles nel 1965 in cui appunto persone del vicinato seguivano le pattuglie della polizia e sorvegliavano il loro operato. In questo consisteva dunque il controllo comunitario della polizia che rivendicavano le Black Panthers.
L’idea di base era che fosse la comunità stessa ad assumere e licenziare gli agenti e a determinare le linee guida del loro lavoro. Chiaramente volevamo impedire che la polizia si comportasse come una forza d’occupazione, che è quello che generalmente fa in ogni comunità nera.
Come appare quindi una forza di polizia controllata dalla popolazione? Cosa fa? Cosa protegge? Sono tutti interrogativi che le Black Panthers hanno sollevato.
Purtroppo, il livello di repressione che l’FBI esercitava sulle BP, segnalate come principale minaccia alla sicurezza interna degli Stati Uniti, ci impediva di esplorare a pieno le possibilità offerte dal controllo comunitario.
L’organizzazione era troppo impegnata a sopravvivere giorno per giorno sotto i colpi di questo attacco militare.
Queste istanze vengono riprese oggi dai numerosi gruppi di attivisti che scendono nelle strade delle nostre città e invocano con decisione una ripresa del controllo comunitario sulle forze di polizia. E sono rivendicazioni di un movimento in piena regola, con dislocazioni in più di venti città che si sono unite alla coalizione per richiedere il controllo comunitario. A Chicago, una delle città dove il movimento è più radicato, 19 dei 50 membri del consiglio cittadino hanno firmato a favore dell’introduzione di questa prassi.
Non si tratta di semplici organi di monitoraggio, ma di vere e proprie istituzioni cittadine con membri eletti che si occuperebbero non solo delle assunzioni e dei licenziamenti, ma di stilare direttamente le linee guida generali per l’operatività della polizia.
A Chicago sono state messe finalmente per iscritto e sottoposte al legislatore le idee nate tra le fila dalle Black Panthers cinquanta anni fa.
In quale direzione sta andando il movimento?
I democratici in carica a Minneapolis, New York e molte altre grandi città non hanno nessuna intenzione di sciogliere gli organi di polizia, è tutta una messa in scena. Stiamo attraversando una fase economica molto problematica, simile alla Grande Depressione o alla crisi del 2008. In situazioni come queste, il gettito fiscale diminuisce drasticamente e con esso gli investimenti pubblici.
Verrà fatta passare per una riforma radicale della polizia, ma si tratta invece di tagli amministrativi già previsti da tempo. Non vedremo certo la polizia rifondata da quei politici democratici che ne hanno sempre garantito l’impunità, aggravandone e rinforzandone le pratiche deleterie. Questo è un lavoro che spetta al movimento, attraverso il controllo comunitario. Tocca a noi, alla gente comune, scendere nelle strade e lottare per la nostra autodeterminazione. È così che funziona la democrazia.
È noto che i membri le forze di polizia, tutte, vengono impiegati per il 90% del loro orario di lavoro in attività che non hanno nulla a che vedere con il contrasto al crimine. Si occupano di stabilire una presenza di tipo militare per disincentivare le persone ad adottare determinati comportamenti. Dirimono liti domestiche. Si occupano, a modo loro, di persone affette da patologie psicologiche perché gli Stati Uniti non hanno nemmeno un sistema assistenziale per questi soggetti.
Quasi tutti i centri di salute mentale sono stati chiusi tra gli anni Sessanta e i Settanta. Queste persone malate sono oggi per strada e le loro uccisioni da parte della polizia sono moltissime.
Dobbiamo capire e definire cosa significhi fare il poliziotto. Affinché le lotte dei movimenti abbiano successo è fondamentale che la gestione dei fondi che verranno auspicabilmente tolti alla polizia venga affidata alle comunità locali, e che esse abbiano il controllo dei programmi sociali che andranno a sostituire le forze di polizia.
Nessun assistente sociale statunitense con un minimo di integrità vi dirà che l’ente per cui lavora fa gli interessi dei suoi assistiti, le persone della comunità che dovrebbe tutelare.
Sotto molti aspetti questi programmi sono invece ostili alla popolazione. Anche questi vanno quindi posti sotto il controllo comunitario, prima ancora che venga affidato loro il lavoro e le funzioni che verrebbero tolte alla polizia. Funzioni che al momento essa svolge in modo superficiale e criminoso.
Si sente davvero aria di cambiamento. E, diciamolo, i democratici non si sarebbero mobilitati in favore di certe istanze senza l’enorme pressione mediatica, se nessuno avesse dato alle fiamme la stazione di polizia di Minneapolis e soprattutto senza questa grande partecipazione di piazza. Quali sono i risultati migliori di queste proteste?
Per quanto possa far piacere sentir dire che la polizia va rifondata dalle fondamenta e che l’attuale sistema non è riformabile, siamo consapevoli che nessuna riforma davvero consistente verrà fatta. Le istituzioni hanno dato risalto alle richieste del movimento BLM perché vi sono state costrette dalle manifestazioni di piazza. Ma questo non significa molto. Cercheranno di cavarsela con il minimo sforzo possibile.
Rispondono ancora a chi controlla il partito democratico, è così che funziona l’oligarchia.
Uno di loro, Bloomberg, ha infatti deciso di correre per le presidenziali ed è stato sostenuto da un imbarazzante numero di sindaci neri. Sappiamo bene chi comanda il partito democratico: “mecenati” che sono ben contenti di avere gli sbirri a proteggere i loro patrimoni e i loro interessi.
Dobbiamo rimboccarci davvero le maniche e fare il lavoro sporco, fare tutto il possibile per ottenere dalla circoscrizioni il reale controllo comunitario, costruirlo giorno per giorno. Dobbiamo creare delle reti con gli assistenti sociali di ogni etnia, neri, latini, bianchi, per capire esattamente cosa non va nei servizi sociali e nella loro rete di distribuzione e rifondarli dalla base.
È un’impresa durissima, sarà il lavoro di una vita, forse anche di più, ma oggi possiamo iniziarlo grazie all’enorme ondata di manifestazioni e, in parte, grazie alle concessioni fatte da chi ci governa, o meglio, dai servi di chi ci governa.
Dobbiamo usare questa piccola apertura per inserirci a pieno nel dibattito e approntare tutta una serie di progetti di riorganizzazione sociale e di sostegno all’auto-realizzazione delle persone.
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