L’esplosione dei contagi di Coronavirus negli Stati Uniti e il
deterioramento dell’economia americana stanno spingendo
l’amministrazione Trump ad alzare drammaticamente i toni dello scontro
con la Cina. L’ultimo esempio di questa escalation si è registrato nel
fine settimana con il dispiegamento di ben due portaerei in quello che è
da tempo uno dei terreni di sfida più caldi e pericolosi tra le due
potenze, vale a dire le acque del Mar Cinese Meridionale.
La “USS Ronald Reagan” e la “USS Nimitz” hanno iniziato esercitazioni
militari in quest’area sabato scorso proprio mentre operazioni simili
delle forze navali cinesi erano in corso nelle vicinanze. Le due
portaerei sono state accompagnate da velivoli e navi da guerra, per un
totale di oltre diecimila uomini impegnati. Secondo il New York Times,
il dispiegamento anche di una sola portaerei americana serve
solitamente a inviare un chiaro messaggio per far desistere paesi rivali
da una qualche attività sgradita. L’invio di due portaerei rappresenta
perciò una “significativa dimostrazione di forza”.
Per dare l’idea del livello di provocazione delle operazioni
americane dei giorni scorsi è sufficiente ricordare come negli ultimi
vent’anni la Marina militare USA abbia condotto esercitazioni di guerra
con due portaerei contemporaneamente appena cinque volte. Non solo,
pochi giorni prima, una terza portaerei – la “USS Roosevelt” – aveva
operato nel vicino Mare delle Filippine.
Come di consueto, i vertici della Marina militare hanno ufficialmente
escluso che le manovre siano dirette contro Pechino, anche perché a
loro dire sarebbero state programmate da tempo. Le provocazioni
americane nel Mar Cinese Meridionale avvengono inoltre sempre sotto la
copertura di attività volte a riaffermare la “libertà di navigazione”.
Le ultime dichiarazioni hanno lasciato tuttavia intendere che
l’obiettivo è quello di testare le capacità difensive USA, ovvero di
preparare la macchina da guerra americana a un conflitto con la Cina.
Nei giorni scorsi, oltretutto, il Pentagono aveva apertamente
criticato le esercitazioni militari cinesi nelle acque contese al largo
delle isole Paracel, condotte tra l’uno e il cinque di luglio. Il
comunicato ufficiale affermava come “le esercitazioni militari in
territori contesi nel Mar Cinese Meridionale non contribuiscano ad
allentare le tensioni e al mantenimento della stabilità”. In tutti i
casi, Washington sostiene anche di voler assicurare la sovranità e i
diritti dei paesi del sud-est asiatico, molti dei quali sono appunto
coinvolti in dispute territoriali e marittime con Pechino.
Al di là della legittimità delle rivendicazioni della Cina e degli
altri paesi della regione, l’interesse degli Stati Uniti per quest’area
ha a che fare con fattori ben diversi. Fin dai primi anni
dell’amministrazione Obama, il governo e i militari americani avevano
concentrato la propria attenzione sul Mar Cinese Meridionale, sia per
l’importanza strategica che questa trafficatissima via navale ha per
Pechino sia per la vicinanza al territorio cinese e ad alcune delle più
importanti installazioni militari di questo paese.
Le pressioni sulla Cina sono poi aumentate con l’arrivo di Trump alla
Casa Bianca. Le operazioni americane nel Mar Cinese Meridionale si sono
così moltiplicate e nel contempo Washington ha cercato di coinvolgere
alcuni dei propri alleati nell’offensiva anti-cinese. In particolare,
gli USA hanno spinto per la creazione del cosiddetto “Quad”, cioè una
semi-alleanza militare diretta al contenimento della Cina e di cui fanno
parte l’Australia, il Giappone e l’India.
L’interesse per il Mar Cinese Meridionale da parte americana è dunque
ormai una costante nella strategia anti-Pechino. La decisione di
procedere con una provocazione di portata così notevole, come quella del
fine settimana, è da collegare però, oltre che alle già ricordate
esercitazioni militari cinesi in corso, anche all’attitudine
parzialmente cambiata di alcuni paesi dell’area in merito alle contese
territoriali e, di riflesso, alla rivalità tra Washington e Pechino.
In
altri termini, la Casa Bianca e il Pentagono non hanno esitato a
inviare nella regione una forza di fuoco eccezionale anche per rimarcare
un’evoluzione sfavorevole alla Cina nell’ultimo periodo. Un’evoluzione
segnata, tra l’altro, dal riavvicinamento strategico tra USA e
Filippine, dopo il tentativo di disgelo con Pechino del presidente
Rodrigo Duterte parzialmente rientrato,
e da una presa di posizione a favore di un accordo collettivo sulle
dispute nel Mar Cinese da parte dell’Associazione delle Nazioni del
Sud-est Asiatico (ASEAN). Quest’ultimo organismo aveva sempre tenuto un
atteggiamento cauto in proposito per non irritare la Cina che, a sua
volta, predilige negoziati e accordi bilaterali.
Più in generale, gli USA intendono “affondare” il colpo in un punto
nevralgico per gli interessi cinesi e fondamentale per le mire americane
di dominio in Asia orientale, con una calcolata escalation di
provocazioni che hanno caratterizzato questi ultimi mesi di emergenza
sanitaria globale. La sfida di Washington a Pechino nell’ultimo anno del
primo mandato di Trump si sta consumando infatti a tutto campo e
include, oltre alle manovre nel Mar Cinese, le accuse per la gestione
dell’epidemia di Coronavirus, la denuncia del giro di vite imposto a Hong Kong,
l’aperta condanna del trattamento riservato alla minoranza Uigura nella
regione dello Xinjiang e la vera e propria guerra dichiarata contro il
colosso delle telecomunicazioni Huawei.
Per quanto riguarda le ultime esercitazioni americane nel Mar Cinese
Meridionale, il governo cinese non ha ancora rilasciato dichiarazioni
ufficiali. L’irritazione di Pechino è tuttavia nota e viene
frequentemente espressa con estrema durezza. Sulla questione era ad
esempio tornato qualche settimana fa un portavoce del ministero della
Difesa, il quale aveva spiegato che “gli Stati Uniti, come paese situato
al di fuori della regione, hanno usato la giustificazione della
‘libertà di navigazione’ per inviare provocatoriamente navi e aerei da
guerra nel Mar Cinese Orientale e in quello Meridionale”. L’effetto di
queste operazioni, concludeva senza mezzi termini il ministero, è quello di “compromettere seriamente la pace e la stabilità della regione”.
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