08/08/2020
Beirut ricorderà a lungo questa catastrofe, e il tradimento dei suoi cittadini
di Robert Fisk - The Indipendent
Ci sono momenti nella storia di una nazione che restano scolpiti per sempre. Possono non essere le peggiori catastrofi che hanno travolto il popolo. Neppure i più gravi politicamente. Ma catturano la tragedia senza fine di una società.
Ci viene in mente Pompei, la sicurezza romana e la corruzione imperiale che vengono sopraffatti in un attimo da un’azione di Dio – così disastrosa che per i secoli a venire possiamo vedere la rovina di questo popolo, persino i loro corpi.
Per questo c’è bisogno di un’immagine, qualcosa che possa focalizzare la nostra attenzione in un mero secondo della follia che c’è dietro una calamità umana. Il Libano ha appena fornito quel momento.
Non sono i numeri che contano in questo contesto. La sofferenza che Beirut ha vissuto martedì non si avvicina a un casuale bagno di sangue in una guerra civile – neppure alla ferocia della morte, spesso quotidiana, che per questa ragione vive la Siria.
Anche se vengono contati i decessi in totale – da 10 a 60 a 78 la scorsa notte, e che quasi sicuramente raggiungeranno il centinaio oggi – difficilmente verrà registrata sulla scala Richter delle guerre. A quanto pare, non è stata nemmeno una conseguenza della guerra, non nel senso diretto suggerito da uno dei leader più folli del mondo.
È l’iconografia che verrà ricordata, e ciò che tutti sappiamo rappresenta. In una terra che riesce a malapena a far fronte a una pandemia, esiste all’ombra del conflitto, affronta la fame e attende l’estinzione. Quelle due nuvole sopra Beirut non saranno mai cancellate.
Le immagini di fuoco, tuoni e apocalisse che i video hanno raccolto a Beirut sono un tutt’uno con i dipinti medievali che hanno cercato di catturare, attraverso l’immaginazione piuttosto che la tecnologia, i terrori di pestilenza, guerra, carestia e morte.
Conosciamo tutti il contesto, ovviamente, l’importantissimo “background” senza il quale nessuna sofferenza è completa: un paese in bancarotta che è stato tenuto in mano per generazioni da vecchie famiglie venali, schiacciato dai suoi vicini, dove i ricchi schiavizzano i poveri, e la sua società è retta dallo stesso settarismo che la sta distruggendo.
Può esserci un riflesso più simbolico dei suoi peccati che i velenosi esplosivi stipati così promiscuamente nel centro della sua metropoli più grande e il cui primo ministro dice poi che i “responsabili di tutto questo” – non lui, non il governo, siate certi – “pagheranno il prezzo”? Ancora non hanno imparato, vero?
E sicuramente, sappiamo tutti come questa “storia” continuerà nelle prossime ore e giorni. L’incipiente rivoluzione libanese dei giovani e degli eruditi deve sicuramente acquisire ora nuova forza per rovesciare i governanti del Libano, per chiedergli conto, per costruire un nuovo stato moderno non confessionale dalle macerie della “repubblica” creata dalla Francia in cui sono spietatamente nati.
Ebbene, la tragedia, su qualsiasi scala, è un cattivo sostituto del cambiamento politico. L’immediata promessa fatta da Emmanuel Macron tra gli incendi di ieri – che la Francia starà “sempre” accanto alla nazione paralizzata che ha creato nella hubris imperiale cento anni fa – è stata una delle ironie più piccanti delle ultime ore, anche perché il ministro degli esteri francese solo pochi giorni prima si era lavato le mani dall’economia libanese.
Negli anni ’90, quando stavamo progettando di creare un altro nuovo Medio Oriente all’indomani dell’annessione di Saddam del Kuwait, gli ufficiali militari statunitensi (tre nel mio caso nel nord dell’Iraq) iniziarono a parlarci di “fatica da compassione”. In modo oltraggioso, questo significava che l’Occidente correva il pericolo di allontanarsi dalla sofferenza umana.
Vedete, ce n’era troppa. Tutte queste guerre territoriali, anno dopo anno: sarebbe prima o poi il momento di dover chiudere le porte della generosità. Forse quel momento è arrivato quando i profughi della regione hanno cominciato a marciare a centinaia di migliaia verso l’Europa, preferendo la nostra società alla versione offerta dall’Isis.
Ma torniamo in Libano, dove la compassione occidentale potrebbe essere molto fragile. La prospettiva storica può sempre essere invocata per proteggerci dall’onda d'urto delle esplosioni e quindi dalla torreggiante nuvola di fumo e dalla città spezzata. Pompei, dicevano, spazzo via solo duemila vite. E che dire del posto terribile occupato da Beirut nell’antichità? Nel 551 d.C. Berito fu scossa da un terremoto, era la sede della flotta imperiale romana del Mediterraneo orientale, l’intera città venne distrutta, uccidendo, secondo le statistiche dell’epoca, 30.000 anime.
Le colonne romane sono ancora visibili, là dove sono cadute, oggi prostrate, a meno di mezzo miglio dal luogo dell’esplosione di ieri. Potremmo anche pensare alla oscura follia degli antenati del Libano. Quando la marea si ritirò, si diressero verso il fondo del mare per saccheggiare navi affondate da tempo, solo per essere travolti dal successivo tsunami.
Ma può una nazione moderna – e uso consapevolmente la parola “moderno” nel caso del Libano – rialzarsi in mezzo a una combinazione di angoscia così fetida? Sebbene in gran parte risparmiato – fino ad ora – dalla morte di massa portata dal Covid-19, il Libano ora affronta una pestilenza con pietosi mezzi di soccorso.
Le sue banche hanno rubato i risparmi della propria gente, il suo governo si dimostra indegno del proprio nome. Kahlil Gibran, il più feroce dei suoi poeti, ci ha esortato a “compatire la nazione il cui statista è una volpe, il cui filosofo è un giocoliere e la cui arte è quella di rattoppare e imitare“.
Chi può imitare ora il Libano? Chi sceglierà le prossime volpi? Gli eserciti hanno la reputazione di mettersi nei panni su misura dei potenti arabi; il Libano ci ha provato una volta nella sua storia, con dubbi risultati.
Oggi siamo incoraggiati a considerare la mostruosa esplosione come una tragedia nazionale – e quindi degna di un “giorno di lutto”, qualunque cosa significhi – anche se ho notato, tra coloro che ho chiamato in Libano all’indomani del disastro, che alcuni che hanno sottolineato come il luogo dell’esplosione e la maggior parte dei danni sembravano essere nel settore cristiano di Beirut. Uomini e donne di tutte le fedi sono morti ieri. Ma questo sarà un orrore speciale per una delle maggiori minoranze in Libano.
In passato, dopo numerose guerre, il mondo – gli americani, i francesi, la Nato, l’UE, persino l’Iran – hanno firmato per rimettere insieme il Libano. Ma come possono gli stranieri ripristinare una nazione che sembra irrecuperabile?
C’è un’oscurità in quel luogo, una mancanza di responsabilità politica che è abbastanza endemica da essere diventata di moda. Nessun grande omicidio politico in Libano – di presidenti, primi ministri o ex primi ministri, di membri del parlamento o di partiti politici – è mai stato risolto nella sua storia.
Ecco una delle nazioni più istruite della regione con i più talentuosi e coraggiosi – e generosi e gentili – dei popoli, benedetti dalle nevi, dalle montagne e dalle rovine romane e dal cibo più raffinato e dal più grande intelletto e da una storia millenaria. Eppure ancora non può gestire la sua valuta, avere la sua energia elettrica, curare i suoi malati o proteggere la sua gente.
Com’è mai possibile che 2.700 tonnellate di nitrato di ammonio possano essere immagazzinate in un fragile edificio per così tanti anni dopo essere state rimosse da una nave moldava in viaggio per il Mozambico nel 2014, senza misure di sicurezza adottate da coloro che hanno deciso di lasciare questo materiale proprio nel centro della capitale?
E tutto ciò che ci rimane è il torreggiante inferno e la sua cancerosa onda d’urto bianca, e poi la seconda nuvola a forma di fungo (senza menzionare altro).
Questo è il sostituto di Kahlil Gibran, il post-copione di tutte le guerre. Contiene il vuoto della paura che affligge tutti coloro che vivono in Medio Oriente. E, brevemente, in modo terrificante, il mondo lo ha visto.
Fonte
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