Che i governanti cinesi vadano con la mano pesante ad #HongKong nei confronti del dissenso, più o meno auto-organizzato, è innegabile e proprio oggi sono stati arrestati quattro studenti grazie alla nuova legge sulla “sicurezza nazionale”. Ma il punto più alto dell’azione repressiva messa in atto da Pechino ad Hong Kong, è certamente l’esclusione del leader del “movimento pro-democrazia”, Joshua Wong, dalla corsa alle elezioni legislative.
Wong, nonostante la sua giovanissima età, oggi ha 22 anni, è già un politico navigato e piace a tanti in Occidente, dove è stato elevato a icona immortalata sulla copertina del Time. Ma per Pechino, Wong, è, senza dubbio, al soldo degli Stati Uniti e della Cia, intenzionate a tentare una manovra di sfondamento che da Hong Kong riesca ad arrivare al cuore del “regno di mezzo”. Per questo viene seguito costantemente da agenti di sicurezza.
In ogni caso, quel che viene da chiedersi è come mai sulle proteste di Hong Kong, sui nostri media, telegiornali e radio giornali, ci viene offerto un aggiornamento a cadenza quotidiana, mentre su ciò che, in termini di repressione del dissenso, di deriva autoritaria, di torture, detenzioni arbitrarie e sparizioni forzate avviene, tutti i santi giorni, in tanti altri paesi (Egitto, Emirati Arabi, Turchia, Israele e tanti paesi dell’America Latina) a livello pressoché quotidiano e nei quali la repressione dei diritti civili e politici, si esprime, certamente, in forme e dinamiche assai più gravi e cruente di quelle osservate fin qui ad Hong Kong, sui media pubblici e privati non si trova, invece, nulla?
Prendiamo, ad esempio, il caso della #Bolivia: paese in cui hanno destituito con un golpe il legittimo presidente, Evo Morales, accusandolo di frodi elettorali rivelatesi poi assolutamente infondate ed in cui hanno soffocato le successive proteste di indios e di contadini nel sangue.
Eppure lì, come in Brasile, stanno succedendo cose gravissime: ancora una volta, approfittando dell’emergenza sanitaria che sta mettendo in ginocchio l’intera America latina, il governo dei golpisti guidato da Jeanine Añez ha colto la palla al balzo per rinviare di nuovo le elezioni presidenziali boliviane, già rimandate al 6 settembre e adesso spostate al 18 ottobre sulla base dell’andamento della curva epidemiologica del Covid-19.
Tutto ciò per impedire la vittoria di quel #Mas che tutti i sondaggi danno per vincente anche e soprattutto a causa della pessima gestione governativa dell’emergenza pandemica che sta provocando tantissimi morti tra le fasce più povere e deboli della popolazione.
Ora, io non voglio che non si parli delle proteste di Hong Kong. Io voglio che se ne parli in modo non strumentale e serio, in modo tale da metterci davvero nelle condizioni di capire i termini di una situazione invero assai complessa.
Ma quello che ormai rende le corrispondenze da Hong Kong uno stanco rituale vuoto, cui non si appassiona quasi più nessuno, neanche chi le scrive, è questo uso sistematico di due pesi e due misure che fa si che, il lettore più avveduto, non possa che annoverare quel bollettino quotidiano sulle proteste di Hong Kong come una forma di propaganda unilaterale, molto embedded e troppo in sintonia con l’attuale politica aggressiva di Trump nei confronti della Cina, banalizzando in tal modo anche le sacrosante richieste di maggiore libertà ed autonomia avanzate dal cosiddetto “movimento degli ombrelli”.
Insomma, mentre sottolineano le domande di democrazia e libertà degli studenti di Hong Kong, i media occidentali appaiono del tutto insinceri e sembrano molto più occupati a rinsaldare un clima da guerra fredda in cui hanno già scelto da quale parte stare.
Di certo sempre dalla parte degli Usa, paese in cui le brutalità poliziesche e la repressione contro i manifestanti del movimento #blacklivesmatter è stata ed è ancora durissima (pestaggi, uccisioni ed arresti arbitrari di massa). Paese le cui carceri sono piene di neri e latinos ed in cui la pena capitale è ancora in vigore in 29 Stati su 50.
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